FOCUS
IL PROLOGO
UNA GUERRA RIMOSSA
Le testimonianze della Guerra di Successione spagnola che si possono trovare in due fra i maggiori musei militari d’Europa, l’Hôtel National des Invalides di Parigi e lo Heeresgeschichtliches Museum (Museo di Storia Militare) di Vienna, sono un elemento che – in maniera più immediata della stessa storiografia – può far capire la reticenza che ha circondato questa guerra, o meglio il silenzio da un lato e il richiamo indiretto dall’altro. Parigi e Vienna: due fra i maggiori centri europei che, all’epoca del conflitto, si fronteggiavano in schieramenti opposti, a capo di due opposte coalizioni.
All’interno dell’Hôtel National des Invalides – costruito originariamente, sotto Luigi XIV, per accogliere ed assistere gli invalidi di guerra – fu creato, nel 1905, il Museo dell’esercito (Musée de l’Armée), tra i più grandi musei d’arte e di storia militare del mondo. In questo pantheon, raccolto intorno alla tomba di Napoleone I e di altri eroi, non vi è cenno al conflitto che diede inizio al Settecento con gran dispiegamento di forze, anche francesi: nessun riferimento alle campagne condotte dai generali di Luigi XIV in Italia settentrionale, e alla loro sconfitta.
All’Arsenale di Vienna, non lontano dal Palazzo del Belvedere, sorge un altro antico e non meno prestigioso museo di storia militare con quattro sale dedicate a rispettivi segmenti di storia austriaca: la Guerra dei Trent’anni, le guerre contro i turchi, le Guerre napoleoniche e le due guerre mondiali. Qui il ricordo delle battaglie della guerra del primo Settecento è solo evocato, per il tramite di alcuni oggetti appartenuti a uno dei suoi maggiori attori, Eugenio di Savoia: non una narrazione dei fatti d’armi, ma la rassegna di una serie di cimeli, fra cui grandeggia l’imponente catafalco del principe, vittorioso comandante nelle campagne contro i turchi, ma anche valoroso generale sui campi della guerra per la successione al trono di Spagna.
Il punto di vista nazionale che ha ispirato i due musei ha evidentemente giocato sulla rimozione di una parte della memoria bellica dei due Paesi.
A Parigi campagne e assedi decisivi nel contrastare le ambizioni espansionistiche del re di Francia sono stati curiosamente cancellati, per tacere la sconfitta militare delle truppe francesi in una fase importante della guerra. A Vienna la complessità del ruolo rivestito nel conflitto dall’Impero asburgico è stata sfumata e inglobata nella biografia esemplare di Eugenio di Savoia. Nella sala del museo viennese il grande condottiero è, però, visto non tanto come l’esponente di una consolidata “internazionale aristocratica delle armi”, ma come il fedele ufficiale al servizio degli Asburgo d’Austria. La spiegazione va trovata, cioè, in quel tipo di lettura nazionale, rigida e costruita a posteriori, con la quale si è tramandata la storia di una fase dell’antico regime, in realtà delicatissima e profondamente europea.
Il XVIII secolo si aprì non con una sola, ma con una serie quasi ininterrotta di guerre, che non avevano più lo scopo precipuo, o dichiarato, come era stato fino al secolo precedente, di annientare il nemico nel nome della “vera fede”, o di aderire a uno scontro interno a uno Stato per sostenere o meno una linea dinastica.
Il Settecento esordiva con l’urgenza di ridefinire l’equilibrio fra i maggiori attori politici sulla scena europea e per cercare di mantenerlo.
Tre guerre quasi consecutive (la Guerra di Successione spagnola dal 1701 al 1713, la Guerra di Successione polacca dal 1730 al 1738, infine la Guerra di Successione austriaca dal 1740 al 1748) segnarono l’intera prima metà del secolo, lasciando non poche conseguenze sul dispiegarsi delle relazioni internazionali anche nella seconda metà.
Le guerre settecentesche, in altri termini, risentirono sempre meno di motivazioni religiose, riflettendo sempre di più l’esigenza di difendere interessi politico-territoriali condivisi da grandi alleanze. Il teatro delle battaglie, inoltre, si era notevolmente ampliato.
Uno dei motivi d’instabilità con cui si era aperto il Settecento era legato agli effetti della crescita della Francia, contro la lenta recessione del ruolo della Spagna. In seguito alla pace dei Pirenei (1659) tra francesi e spagnoli, e soprattutto dopo l’ascesa al trono di Carlo II d’Asburgo (1665), la Spagna aveva cessato di rappresentare la potenza di riferimento sul continente in senso economico e culturale.
Un altro elemento spiega la forte instabilità politica di quegli anni: il conflitto, sottile ma ormai decisivo, fra la teorizzazione del potere assoluto e le tradizionali resistenze dei poteri cetuali e territoriali.
Il casus belli, com’è noto, fu costituito dalla morte senza discendenti del rachitico e malaticcio Carlo II, l’ultimo Asburgo della linea spagnola: la dinastia più influente in Europa da alcuni secoli, da quando cioè, alla fine del XIV secolo, essa aveva praticamente monopolizzato l’assunzione della corona imperiale dividendosi poi, da metà Cinquecento, in un ramo a capo del Sacro Romano Impero e in uno erede del Regno di Spagna.
Già prima della scomparsa del sovrano spagnolo, due candidati alla successione avevano agito per subentrare nel possesso del vastissimo impero iberico.
Il primo candidato era stato Luigi XIV re di Francia, figlio di Anna d’Asburgo e perciò nipote per parte di madre del re Filippo III di Spagna. Il secondo era stato l’imperatore Leopoldo I, figlio di Maria Anna d’Asburgo Infanta di Spagna, nonché marito di Maria Teresa e successivamente di Margherita Teresa d’Asburgo, figlie del re Filippo IV.
Le speranze dei due pretendenti erano state, tuttavia, tarpate da Carlo II, che nel novembre 1698 aveva designato a proprio erede Giuseppe Ferdinando di Wittelsbach, terzo figlio del principe elettore di Baviera, Massimiliano II Emanuele, e della sua prima moglie, Maria Antonia d’Austria, figlia dell’imperatore Leopoldo I d’Asburgo. L’improvvisa morte di questi, nel febbraio 1699, aveva, però, riacceso presto la contesa fra le corti di Parigi e Vienna. Luigi XIV, desideroso di regolare in anticipo, con accordi segreti, le sorti dell’eredità, aveva concluso con Inghilterra e Province Unite (la repubblica degli attuali Paesi Bassi che alla fine del Cinquecento aveva conquistato l’indipendenza proprio sconfiggendo la corona di Spagna) un trattato di spartizione della monarchia spagnola (marzo 1700).
Ridestandosi, le ambizioni francesi rompevano l’equilibrio che era stato raggiunto pochi anni prima dalla pace di Rijswijk; quegli accordi avevano decretato la fine di un conflitto, la guerra della Lega d’Augusta, che aveva visto la Francia tentare l’espansione in direzione degli Stati tedeschi e dei Paesi Bassi, osteggiata da Inghilterra, Province Unite, Sacro Romano Impero, Baviera, Svezia, Spagna e ducato di Savoia.
Scomparso Carlo II il 1° novembre 1700, per sua esplicita volontà fu, infine, nominato erede universale della monarchia spagnola Filippo d’Angiò, nipote di Luigi XIV in quanto secondogenito di Luigi di Borbone, detto il Gran Delfino. Il testamento dell’ultimo Asburgo di Spagna recava la clausola che la corona spagnola, assegnata al nuovo sovrano col nome di Filippo V di Borbone, non dovesse mai essere unita a quella di Francia.
Lo stesso testamento aveva previsto che, in caso di scomparsa del Borbone, gli sarebbe subentrato l’arciduca Carlo, il secondogenito dell’imperatore Leopoldo I, destinato a essere incoronato imperatore col nome di Carlo VI.
In un primo tempo sembrò possibile che il passaggio di consegne potesse attuarsi in modo pacifico. Guglielmo d’Orange, che contemporaneamente era statolder (massima carica politica e militare) della Repubblica delle Province Unite e re d’Inghilterra, aveva, infatti, accettato la decisione di Luigi XIV di assecondare l’eredità a favore del nipote Filippo, nella speranza di evitare la guerra. Le rassicurazioni che le corone francese e spagnola non sarebbero state unite e che il nuovo regime in Spagna non avrebbe interferito con i commerci inglesi e olandesi nel Mediterraneo erano parse sufficienti.
I governatori dei territori spagnoli nei Paesi Bassi e in Italia avevano, dunque, giurato fedeltà a Filippo V, accogliendo truppe francesi a rinforzo delle fortezze loro affidate.
La secolare competizione fra le due grandi dinastie europee degli Asburgo e dei Borbone sembrò giunta, così, a un punto d’arrivo.
Impadronendosi, infatti, del trono che era appartenuto dal Cinquecento agli Austrias (come si definivano gli Asburgo regnanti nella penisola iberica), i Borbone realizzavano un forte asse franco-spagnolo, che avrebbe, tuttavia, potuto minacciare l’intero continente.
Fu per arginare tale pericolo che agì prontamente, in difesa della candidatura dell’arciduca Carlo, l’imperatore Leopoldo I, determinato nel rivendicare la corona di Spagna o almeno il dominio su quei territori italiani che egli riteneva strategici per la casa d’Austria: Milano e Napoli.
L’imperatore convinse, dunque, le Province Unite e l’Inghilterra a costituire un’alleanza internazionale ostile all’insediamento di Filippo V, riuscendo a formare la cosiddetta Grande coalizione dell’Aja (1701), alla quale aderirono buona parte dei principi tedeschi e il principe elettore di Brandeburgo, futuro re di Prussia, Federico I di Hohenzollern.
Pochi giorni dopo aver appreso che Filippo di Borbone sarebbe salito al trono, Leopoldo I aveva iniziato a costituire un esercito per sostenere le aspirazioni degli Asburgo sul ducato di Milano, considerato non solo una compensazione per la perdita dei diritti sugli interi domini controllati dalla Spagna, ma anche un feudo del Sacro Romano Impero che doveva essere incamerato alla morte di Carlo II.
Le terre italiane ritenute feudi imperiali diventarono l’obiettivo principale degli Asburgo nel corso della guerra e lo sforzo di Leopoldo I per conquistare Milano fece deflagrare il conflitto.
Nel maggio 1701 il principe Eugenio di Savoia-Soissons conduceva un’armata imperiale oltre le Alpi per espellere i Borbone dalla Lombardia.
All’inizio delle ostilità il duca di Savoia Vittorio Amedeo II – sovrano di uno Stato culturalmente e amministrativamente composito, considerato la porta d’Italia, ma non ancora chiaramente orientato a un’espansione verso la penisola italiana – si era alleato ai Borbone.
Il trattato sottoscritto dal sovrano sabaudo con Luigi XIV gli assegnava il comando delle truppe alleate nell’Italia settentrionale, e inoltre consentiva di concludere gli accordi per il matrimonio della sua seconda figlia, la principessa Maria Luisa, con Filippo V. Quel trattato, tuttavia, risultò presto alquanto svantaggioso per Vittorio Amedeo II, non offrendogli alcun guadagno nel Milanese e limitandosi a fornirgli scarsi sussidi per le sue truppe, destinate a combattere a fianco di quelle franco-spagnole negli spazi dell’Italia del Nord. L’alleanza, dunque, s’incrinò e bastarono pochi mesi perché essa mostrasse gravi segni di rottura.
Durante l’estate del 1701 Vittorio Amedeo II, sceso personalmente in campo secondo la consuetudine dei suoi antenati, aveva tenuto fede ai doveri di comandante con i generali francesi; ma il principe Eugenio, suo cugino, aveva sventato con abilità tali manovre sconfiggendoli a Carpi e a Chiari. Un’aura di sospetto aveva già iniziato ad addensarsi intorno a Vittorio Amedeo II, essendosi diffusa la voce che la vera causa di quelle sconfitte fosse stata un’intesa segreta fra il duca e il principe Eugenio, trovatisi in campo su schieramenti opposti.
Da parte sua, in realtà, il Savoia aveva maturato un crescente risentimento verso gli alleati borbonici, che raggiunse il culmine quando, nella primavera 1702, Filippo V, giunto in Italia, gli rifiutò un posto alla sua tavola in quanto sovrano di rango ducale e non regio. Da allora, Vittorio Amedeo II iniziò seriamente a valutare di passare all’alleanza con l’Impero.
La sua decisione era fondata su un preciso calcolo strategico: evitare di mettere a rischio l’indipendenza del Ducato, conquistata a caro prezzo dopo la recente e costosa partecipazione, sul fronte filo-asburgico, alla guerra della Lega d’Augusta. Mantenendo gli accordi con Filippo V e con il suo maggiore sostenitore, Luigi XIV, lo Stato sabaudo avrebbe potuto, infatti, subire una pericolosa stretta fra la Francia e Milano, ormai in mano ai Borbone.
La via d’uscita fu preparata grazie a un paio di circostanze. Il duca di Savoia era rimasto in contatto col re d’Inghilterra Guglielmo d’Orange tramite l’ambasciatore accreditato a Londra Annibale Maffei.
Inoltre, un emissario, il conte Auersperg, era arrivato da Vienna a Torino in gran segreto, dando il via a tortuosi negoziati, iniziati già l’anno precedente, che portarono Vittorio Amedeo II, nell’ottobre 1703, a rompere gli accordi con Luigi XIV. L’imperatore acconsentiva a contribuire con 14.000 fanti e 6000 cavalieri alle truppe che Vittorio Amedeo II avrebbe comandato per condurre operazioni congiunte in Italia settentrionale.
All’inizio del 1703 una rivolta in Ungheria guidata da Ferenc (Francesco II) Rákóczy, seguita da un’offensiva franco-bavarese contro il Tirolo coll’obiettivo, fallito, di attaccare Vienna, aveva reso urgente per l’imperatore consolidare l’alleanza con il duca di Savoia.
La resistenza dei contadini tirolesi aveva arrestato l’avanzata franco-bavarese, evitando il ricongiungimento con le truppe francesi guidate da Louis-Joseph de Vendôme, duca di Penthièvre, che a fine agosto si spinse però fino a Trento, pronto ad attraversare le Alpi. Ai primi di settembre Vendôme, saputo del cambio di rotta di Vittorio Amedeo II, si dirigeva a sud per rendere inoffensive le truppe sabaude.
Fu allora che Leopoldo I, per compensare le pretese del duca all’eredità spagnola (attraverso la bisnonna, l’Infanta Caterina, figlia di Filippo II) e in cambio del suo sostegno, offrì a Vittorio Amedeo II il Monferrato, la Valsesia, Valenza, Alessandria e la Lomellina.
A San Benedetto Po, intanto, Vendôme aveva arrestato e disarmato la maggior parte dei reggimenti sabaudi. Con una clausola segreta aggiunta al trattato d’alleanza, Auersperg convinse Leopoldo I a cedere a Vittorio Amedeo II anche il Vigevanasco, per indennizzare il duca di Savoia delle recenti perdite e del pericolo d’invasione che avrebbe dovuto fronteggiare.
Un analogo mutamento di fronte fu compiuto, nel 1703, dal Portogallo, che intendeva reagire sia alle condizioni di favore promesse da Filippo V ai mercanti francesi nell’impero coloniale spagnolo sia alla dichiarazione con cui Luigi XIV aveva nel frattempo sottoscritto di voler far valere, per il nipote Filippo, i diritti di successione al trono francese.
Si riagitava lo spauracchio che aveva fatto temere fin da subito le principali potenze europee: il timore che le due monarchie si unissero.
Con la firma del trattato di Methuen (dicembre 1703), il Portogallo consegnava alla marina inglese i propri scali e porti in tutto il mondo. Con questa ridefinizione delle alleanze e con la decisione finale del re d’Inghilterra di abbandonare ogni esitazione cessando di restare neutrale si entrava nel vivo del conflitto.
GLI EVENTI
Nel marzo 1702 era morto il re Guglielmo d’Orange, poco dopo aver fatto votare in parlamento l’Act of Settlement (che avrebbe garantito in Gran Bretagna una successione protestante) e aver provocato nuove elezioni che portarono a una maggioranza formata dal partito dei Whigs, convinto assertore, a differenza dei Tories, della guerra contro Francia e Spagna.
La nuova regina, Anna...