Guerra dei Sette anni
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Guerra dei Sette anni

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Guerra dei Sette anni

Informazioni su questo libro

Il trattato di Aquisgrana del 1748, che concluse la Guerra di Successione austriaca rafforzando l'emergente Stato prussiano, con l'acquisizione della Slesia sottratta agli Asburgo, pose alcune delle premesse per un conflitto che questa volta non fu su questioni dinastiche. La Guerra dei Sette anni fu, infatti, la prima manifestazione di quel "grande gioco" politico-economico, in cui l'Inghilterra avrebbe presto primeggiato, per la supremazia commerciale nei territori coloniali. Il detonatore fu il controllo delle colonie nordamericane, dove la Francia si andava espandendo. Due coalizioni, ben diverse da quelle precedenti, si scontrarono tra il 1756 e il 1763 in tre continenti: Europa, America e Asia. Da un lato, Austria, Francia, Russia, Polonia e Svezia e, dall'altro, Inghilterra e Prussia. Gli esiti furono nefasti per quasi tutti, soprattutto sui campi di battaglia. Alla Prussia non rimase che la Slesia. Vera vincitrice fu l'Inghilterra, che estese il suo dominio su gran parte del Nord America, a Occidente, e sull'India, a Oriente.

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Informazioni

Editore
Pelago
Anno
2021
eBook ISBN
9791280714305
Argomento
Storia
FOCUS

IL PROLOGO

Il 28 maggio 1754 nel folto delle foreste della vallata dell’Ohio un drappello di miliziani guidati da un giovane e promettente tenente colonnello della Virginia, quel George Washington destinato ad assumere venti anni dopo un ruolo chiave nella storia del continente americano, tese una imboscata ad una pattuglia di soldati francesi.
Nel breve scontro, poco più di una dozzina di uomini restarono sul campo in quella che sembrava essere una delle classiche scaramucce di ambito coloniale, che da oltre centocinquant’anni vedevano coinvolte le varie potenze europee nelle Americhe e nelle Indie, senza che per questo vi fossero serie conseguenze in Europa.
Il detto: «Non vi è pace oltre la “Linea”» – la linea di demarcazione tracciata a Tordesillas (1494) che divideva tra Spagna e Portogallo il mondo extraeuropeo al di qua e al di là di un certo meridiano nell’Atlantico – indicava appunto come i trattati di pace e gli accordi firmati dai vari Stati non avessero alcun valore al di fuori del Vecchio Continente e delineava chiaramente il clima di perenne tensione esistente nelle colonie extraeuropee.

LE ORIGINI DI UN CONFLITTO

Nella realtà quei pochi spari echeggiati nel folto delle foreste nordamericane avranno conseguenze inimmaginabili e daranno il via a quella che sir Winston Churchill definirà come la vera Prima guerra mondiale: la Guerra dei Sette anni.
Ultimo e più sanguinoso conflitto dell’Ancien Régime, questa guerra ha dato vita a diverse interpretazioni storiografiche nel corso degli ultimi centocinquant’anni.
Vista in un primo momento, dalla scuola nazionalista tedesca ottocentesca, quale risultato esclusivo della rivalità tra la Prussia e l’Austria, come l’ennesimo scontro per la supremazia in area germanica conclusosi con l’affermazione della Prussia – teoria pedissequamente adottata in ambito continentale nei decenni seguenti –, questa monocausalità delle origini della guerra non trova più riscontri nella moderna storiografia.
Di fatto, oggi si è più propensi ad indicare numerose cause concomitanti, attribuendo ad un insieme di fattori di natura diversa le motivazioni di fondo che portarono, nella tarda estate del 1756, le grandi potenze ad affrontarsi in armi.
Anche la classica visione del conflitto come di una querelle esclusivamente europea è andata perdendo negli anni la sua ragion d’essere.
Tanto che oggi si preferisce guardare alla Guerra dei Sette anni alla stregua di due conflitti paralleli: quello austro-prussiano, con epicentro nel cuore dell’Europa, e quello anglo-francese, di dimensioni planetarie, dato che le due potenze si scontrarono nelle Americhe, in India, sulle coste africane e sui mari.
Come considerato poc’anzi, fu una pluralità di fattori a trascinare l’Europa, e non solo essa, nella guerra. Tra le cause principali si deve annoverare l’annosa rivalità tra Francia e Inghilterra per il predominio coloniale nelle Americhe e nelle Indie. Un confronto che, dal 1688, vide le due potenze impegnate in una serie di interminabili conflitti, in quella che comunemente viene indicata come la seconda Guerra dei Cent’anni, destinati a concludersi solo nel 1815. Si trattava di uno stato di perenne conflittualità che spingeva i due Paesi ad attivarsi continuamente alla ricerca di nuove alleanze per potersi affrontare reciprocamente.
Come, pure, contribuirono al precipitare degli eventi le tensioni esistenti in area centroeuropea tra le corone di Austria e Prussia che la pace di Aquisgrana (1748) – che aveva concluso la Guerra di Successione austriaca, riconoscendo a Maria Teresa d’Asburgo il diritto di regnare come legittima erede dell’imperatore Carlo VI – non aveva affatto risolto. L’imperiosa ascesa della Prussia fridericiana che, approfittando della debolezza della monarchia danubiana, si era impossessata durante la Guerra di Successione austriaca della Slesia, ricca regione appartenente ai domini ereditari della corona asburgica, aveva infatti aperto una serie di problemi relativi ai nuovi equilibri all’interno del Sacro Romano Impero.
Lo smacco subito ad opera delle armi prussiane, la fine della posizione di assoluto predominio negli affari tedeschi, mantenuto sino a quel momento dagli Asburgo (con l’avvio di quel dualismo austro-prussiano per il controllo della Germania destinato a durare sino al 1866), e il forte desiderio di rivincita per lavare l’onta della sconfitta, avevano spinto, sin dal 1749, l’onnipotente cancelliere austriaco, il principe Wenzel Anton Kaunitz-Rietberg, a inviare un memoriale all’imperatrice Maria Teresa che prevedeva, quale obiettivo finale della politica della monarchia danubiana, lo smembramento della Prussia.
Kaunitz, infatti, vedeva nel vicino Stato una chiara minaccia contro l’equilibrio tedesco e gli interessi della Casa d’Austria, tanto da proporre un radicale cambio dell’ormai consolidato sistema delle alleanze europee cercando, per la prima volta nella lunga storia della corona asburgica, un accordo con l’eterna rivale: la Francia borbonica.
Mosse di cui Federico era ben a conoscenza tanto che, già dal 1749, si stava preparando ad una nuova guerra ampliando gli effettivi del suo esercito e fortificando di tutto punto le città slesiane per metterle al riparo da un eventuale colpo di mano austriaco.
I primi pourparler portati avanti dalla corte di Vienna, però, non incontrarono terreno fertile a Versailles, dato che la Francia appariva poco interessata ad una alleanza in funzione antiprussiana. Di fatto, sarà solo l’accelerazione portata dal divampare del nuovo scontro coloniale a modificare radicalmente nel corso degli anni successivi la posizione francese.
A partire dal 1755 lo stato di tensione tra Gran Bretagna e Francia era praticamente sfociato in una nuova guerra aperta. I pochi spari delle Americhe avevano spinto il governo britannico ad inviare una serie di reggimenti regolari nelle colonie e a dare ordini alla Royal Navy perché bloccasse ogni tentativo francese di far arrivare rinforzi.
Forte sui mari, la Gran Bretagna aveva però un imbarazzante tallone di Achille sul continente. L’ascesa al trono degli Hannover faceva sì che Giorgio II fosse contemporaneamente re di Gran Bretagna e Irlanda, duca di Hannover e principe elettore del Sacro Romano Impero Germanico.
Pur restando il principato tedesco un territorio totalmente indipendente e autonomo, l’unione personale tra la Gran Bretagna e l’Hannover poneva il Parlamento di Westminster in una situazione delicata, poiché in caso di guerra bisognava garantire la sicurezza del ducato ed evitare che cadesse nelle mani del nemico francese.
Questi, infatti, avrebbe potuto farsi forte della conquista del ducato di Hannover ed utilizzarlo come pedina di scambio in occasione di trattative di pace, obbligando Londra a rinunciare a conquiste di inestimabile valore in ambito coloniale per reintegrare Giorgio II nei suoi possedimenti aviti.
Proprio la ricerca di un alleato continentale in grado di difendere l’integrità dell’Hannover fu la classica goccia destinata a far traboccare il vaso.
Con un’Austria, tradizionale alleata della corona di San Giacomo, ma distratta dai suoi propositi di rivincita, e una Russia troppo lontana per costituire un deterrente efficace per impedire una invasione dell’Elettorato, le attenzioni di Londra furono attratte dall’ipotesi di stipulare un accordo con Federico II.
Mossa questa che permetteva agli inglesi di cogliere i classici “due piccioni con una fava”. In primo luogo si faceva del re di Prussia un garante dell’equilibrio tedesco e quindi dell’Hannover stesso, secondariamente, ma non meno importante, lo si staccava dalla Francia di cui era stato alleato al tempo della Guerra di Successione austriaca.
Isolato in Europa, minacciato da una possibile guerra di rivincita da parte dell’Austria, il monarca prussiano accettò di buon grado di firmare la convenzione di Westminster nel gennaio del 1756. Un trattato per mezzo del quale egli garantiva l’integrità e la neutralità del territorio della Germania (l’Elettorato) in cambio della promessa del pagamento di cospicui sussidi in caso di guerra.
Per un sovrano di un Paese povero, con un esercito sovradimensionato rispetto alle reali capacità del territorio, la promessa dell’oro inglese fu una tentazione irresistibile perché gli permetteva di superare le sue difficoltà finanziarie e gli garantiva le risorse necessarie per pagare le truppe.
La mossa di Federico II ebbe però conseguenze nefaste. Finalmente Vienna aveva una carta vincente da giocare nella sua partita con Versailles per convincere i francesi ad aderire ad una alleanza antiprussiana.
L’avvicinamento di Berlino a Londra faceva ora della Prussia una potenziale nemica e spinse Luigi XV alla stipula, il 1° maggio 1756, del primo trattato di Versailles, in un momento in cui le ostilità con la Gran Bretagna erano iniziate anche nel continente europeo con lo sbarco e la successiva conquista da parte delle truppe francesi di Minorca (l’isola delle Baleari che, con il trattato di Utrecht, dal 1713 era possedimento della corona britannica), attacco che portò alla dichiarazione di guerra ufficiale tra le due potenze il 18 maggio.
Forte del successo ottenuto con la corte francese, Kaunitz si volse a ricercare l’alleanza con la zarina Elisabetta, la quale, oltre ad essere nemica dichiarata del sovrano prussiano, da tempo veniva sollecitata dai suoi consiglieri ad un accordo con l’Austria.
Per i ministri russi il ridimensionamento della Prussia era un obiettivo prioritario, vitale, per favorire l’espansione dell’Impero nel Baltico e in Polonia.
A questo punto la possibilità di veder effettivamente sorgere una vera grande coalizione antiprussiana allarmò oltremodo Federico II, che si ritrovava isolato (la convenzione di Westminster non prevedeva infatti un intervento diretto inglese sul continente) e minacciato da una guerra su più fronti, tanto da spingerlo a dare il via alle ostilità prima dei suoi avversari, scendendo in campo quando questi non erano ancora pronti, invadendo la Sassonia nella tarda estate del 1756.

GLI EVENTI

Quando il 29 agosto 1756 le pesanti colonne prussiane forti di oltre 70.000 uomini attraversarono il confine con la Sassonia marciando compatte su Dresda e costringendo il piccolo esercito sassone a ritirarsi e ad attestarsi attorno a Pirna aspettando l’arrivo dei rinforzi austriaci, Federico II chiaramente si stava giocando il tutto per tutto in una lotta contro il tempo.
La storiografia tedesca ottocentesca, ma ancora sino alla vigilia della Seconda guerra mondiale, aveva giustificato le decisioni del monarca prussiano con la necessità di prevenire gli avversari e attaccarli prima che questi fossero pronti a schiacciarlo. La teoria della guerra preventiva, vista come necessaria per evitare di combattere in una posizione sfavorevole, riceveva così la sua piena consacrazione nelle opere, solo per citarne alcune, di Gustav Droysen, Leopold von Ranke, Hans Delbrück e Otto Hintze. Tutti cantori e fautori del mito di Federico quale padre della patria, un precursore settecentesco dell’unità tedesca sotto la guida prussiana. Gli storici ottocenteschi difesero così a spada tratta l’operato di Federico obbligato, secondo loro, a fare una guerra che nella realtà non voleva.
Per tutti costoro l’attacco proditorio alla Sassonia non era altro che un atto di legittima difesa, col monarca prussiano costretto a colpire per primo, attaccando gli avversari prima che questi fossero pronti e sconfiggendoli separatamente per evitare di essere stritolato in una morsa d’acciaio se avesse lasciato loro il tempo di completare la propria mobilitazione.
Un’interpretazione che divenne una sorta di dogma politico nell’Impero tedesco, una delle basi della strategia dello stato maggiore imperiale che fece della guerra preventiva di fridericiana memoria una delle basi portanti dei suoi piani con le catastrofiche conseguenze che ben conosciamo dell’estate del 1914. Una politica che trovò un inaspettato difensore anche nello scrittore tedesco Thomas Mann, il quale, nell’autunno del 1914, mosso dal fervore patriottico, scrisse un piccolo saggio (Federico e la grande coalizione. Un saggio adatto al giorno e all’ora) in difesa del “filosofo” di Sans Souci e di rimando della politica dei ministri e generali del kaiser Guglielmo II.
Una ricostruzione che non trova più tanto concordi gli storici odierni, poco propensi ad accettare le giustificazioni del monarca prussiano, riprese poi dalla scuola tedesca nazionalista.
Oggi si vede nella mossa di Federico un tentativo di ripetere il fortunato successo del 1741, quando, con un rapido colpo di mano, si era impadronito della Slesia, territorio che avrebbe poi conservato grazie ai trattati di pace.
Del resto nei suoi scritti il monarca non aveva mai nascosto le sue mire sulla ricca Sassonia che giudicava preda di tutto rispetto in caso di conflitto. Il Paese fu sottoposto nei sette anni seguenti ad una rigida occupazione militare e ad una sistematica spoliazione delle sue ricchezze, preludio a una futura annessione.
Una politica di estorsione legalizzata che fruttò alla Prussia oltre 50 milioni di talleri, una somma impressionante che le permise di coprire la terza parte di tutte le spese di guerra. Denari ottenuti con metodi coercitivi che non ebbero nulla da invidiare alle tecniche messe in atto nei secoli successivi dall’esercito tedesco: dalla cattura di una serie di ostaggi, alle minacce di rappresaglie con la fucilazione di donne e bambini.
Pratiche che lo stesso Federico aveva anticipato nel 1746 quando, nel suo Principi generali di guerra, aveva teorizzato la “rapina” sistematica dei beni dei territori occupati e il ricorso alla forza bruta per ammorbidire le popolazioni locali.
Inoltre, la conquista della Sassonia gli garantiva una base ideale, un’ottima testa di ponte da cui lanciare una serie di attacchi contro i vicini dominî asburgici. Di fatto, l’obiettivo iniziale del monarca in questa prima fase della guerra era quello di avviare una campagna lampo contro l’Austria per ripetere i successi del 1741 e 1745, quando aveva avuto rapidamente ragione delle truppe imperiali, per obbligare la regina-imperatrice alla pace prima dell’arrivo dei rinforzi francesi e russi.
In queste prime concitate fasi Federico dimostrava ancora di possedere una scarsa stima delle capacità militari dell’avversario.
I facili successi ottenuti in campo aperto nel corso delle precedenti Guerre slesiane (termine con cui a lungo in Germania si indicarono i conflitti tra Prussia e Austria di metà Settecento, per cui la Guerra dei Sette anni era in realtà la terza Guerra slesiana dopo le due combattute nel corso della Guerra di Successione austriaca), lo inducevano a sottovalutare gli austriaci e la Battaglia di Lobositz (1° ottobre 1756) fu per lui un vero choc.
Lo scontro, nel quale i prussiani persero alla fine un numero di uomini superiore a quello dei rivali e ottennero la vittoria solo grazie ad una serie di casi fortuiti, in primis l’esitazione mostrata dalle unità sassoni nello scendere in campo, mise in luce i progressi effettuati dal nemic...

Indice dei contenuti

  1. Collana
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Una guerra in tre continenti
  6. PANORAMA
  7. FOCUS a cura di Davide Maffi
  8. APPROFONDIMENTI
  9. Piano dell'opera