Calvino
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Informazioni su questo libro

Italo Calvino esordisce nel secondo dopoguerra interpretando in modo originale le coordinate della nuova narrativa neorealista, da cui si allontana progressivamente alla ricerca di nuove forme espressive. Nascono così i grandi classici della letteratura d'ispirazione fantastica, come Il barone rampante, Marcovaldo e Le cosmicomiche – ispirate alle teorie delle scienze esatte – o le strutture calibrate e levigatissime che danno forma a Le città invisibili: opere che presentano realtà parallele, perfettamente ordinate, con cui cercare di dare un senso all'esistenza e liberarla dal caos. Alla fine degli anni Settanta, con il romanzo Se una notte d'inverno un viaggiatore, Calvino sceglie di rendere protagonista il lettore, chiamandolo a comporre insieme al narratore l'opera che viene presentata nel suo processo di creazione. L'ampiezza di raggio della sua ricerca letteraria, aperta ai diversi campi del sapere, e la molteplicità dei temi culturali e politici su cui ha avuto occasione di intervenire, hanno fatto di Calvino un punto di passaggio obbligato per una definizione della letteratura e del mondo contemporaneo.

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Informazioni

Editore
Pelago
Anno
2021
eBook ISBN
9791280714534
FOCUS

IL SUO MONDO E LE SUE IDEE

UN ILLUMINISTA SUGLI ALBERI

“SONO FIGLIO DI SCIENZIATI: MIO PADRE ERA UN AGRONOMO, MIA MADRE UNA BOTANICA; ENTRAMBI PROFESSORI UNIVERSITARI. TRA I MIEI FAMILIARI SOLO GLI STUDI SCIENTIFICI ERANO IN ONORE; UN MIO ZIO MATERNO ERA UN CHIMICO, PROFESSORE UNIVERSITARIO, SPOSATO A UNA CHIMICA (ANZI HO AVUTO DUE ZII CHIMICI SPOSATI A DUE ZIE CHIMICHE); MIO FRATELLO È UN GEOLOGO, PROFESSORE UNIVERSITARIO. IO SONO LA PECORA NERA, L’UNICO LETTERATO DELLA FAMIGLIA.1
Si apre così, con un ritratto di famiglia, uno dei tanti profili biografici che Calvino ha tracciato nel corso della sua vita, presentandosi come uno di quegli errori che la natura commette quando una forma nuova e inedita si affaccia alle soglie del mondo, come uno scarto rispetto alla regola, un’accidentale deviazione di percorso. L’ambiente in cui Calvino cresce e si forma, dai primi anni trascorsi a Cuba dove il padre dirigeva una stazione sperimentale di floricoltura, fino all’adolescenza trascorsa nel giardino popolato da piante esotiche della Villa Meridiana a Sanremo, lascerà inevitabilmente traccia nel suo percorso di scrittore fin dai testi di esordio, le storie resistenziali ambientate nei boschi dell’entroterra ligure, i racconti d’osservazione, il primo romanzo, Il sentiero dei nidi di ragno, che segue le vicende di un ragazzino coinvolto suo malgrado nella vita avventurosa dei partigiani sulle colline attraversate da sentieri che lo scrittore aveva imparato a conoscere fin da bambino, seguendo il padre e imparando da lui i nomi e le caratteristiche delle piante.
C’è anche in questa parziale ricostruzione del suo retroterra culturale il desiderio di indicare l’origine della sua attenzione per gli aspetti del mondo naturale, per la varietà delle specie botaniche che sa nominare con precisione. Una vocazione illuministica, si è spesso detto a questo proposito, evidente nella registrazione quasi enciclopedica dei diversi aspetti del paesaggio naturale, che riflette una profonda conoscenza della botanica e della zoologia, ma che rivela, allo stesso tempo, una straordinaria curiosità e uno stupore rimasto intatto negli anni per la meravigliosa varietà del mondo.
Negli anni Settanta dello scorso secolo, intervistato nella sua casa di Parigi, dirà di essere sempre stato affascinato dalla possibilità di suddividere, catalogare e raccogliere sotto le rubriche più diverse gli oggetti che altrimenti ci si presenterebbero in una forma caotica.
Guardando le espressioni del suo volto mentre elenca gli aspetti palesi o nascosti della città in cui ha deciso di vivere all’inizio degli anni Sessanta si può comprendere qualcosa di quella mescolanza fra vocazione scientifica e meraviglia infantile che hanno guidato Calvino nei suoi percorsi narrativi, con il sospetto che l’una non sia mai riuscita a spegnere l’altra:
non è un caso che il protagonista del suo primo romanzo sia un ragazzo di strada, sbandato e incolto, capace di vivere la guerra come un’avventura piena di sorprese emozionanti e crudeli.
Le narrazioni a venire – i tasselli della trilogia dei suoi romanzi “fantastici”, Il visconte dimezzato, Il barone rampante e Il cavaliere inesistente, che non a caso Calvino ha raccolto sotto il titolo comune I nostri antenati – risentono con maggiore evidenza di una cultura letteraria e filosofica che presenta aspetti noti e ampiamente indagati, oltre a risvolti ancora da scoprire: è sufficiente sfogliare le raccolte di scritti a carattere saggistico e leggere alcune delle lettere meravigliose che Calvino ha scritto nella sua vita per accorgersi che la varietà degli interessi culturali e delle sollecitazioni corrisponde a un desiderio di scoperta e di ridefinizione continua di sé che non è mai venuto meno, riflettendosi nella volontà di percorrere vie sempre nuove che caratterizza le diverse fasi della sua produzione narrativa.
La propensione all’impegno politico e l’ambiente familiare lo avevano avvicinato agli ideali antifascisti e alla Resistenza, a cui ha partecipato attivamente, assimilando l’esperienza di uomini appartenenti a una generazione precedente, come Antonio Gramsci e il filosofo Felice Balbo, esponente di quella sinistra cattolica che ha avuto un ruolo cruciale nel lavoro culturale della rivista Il Politecnico diretta da Elio Vittorini.
Inoltre, la collaborazione con la casa editrice Einaudi, avviata nel dopoguerra e proseguita per un oltre un trentennio, l’amicizia con Cesare Pavese, profonda e decisiva, la frequentazione di un ambiente in cui i letterati e gli scrittori si confrontavano con gli storici, i filosofi, i sociologi, gli urbanisti, gli antropologi, hanno contribuito a formare la figura di un intellettuale poliedrico, con uno sguardo aperto pur nella fondamentale coerenza del suo approccio alle novità del mondo culturale.
Per Calvino le questioni propriamente letterarie si legano sempre a interessi che abbracciano direttamente o indirettamente la vita politica e sociale, le arti figurative, l’urbanistica, l’antropologia, il cinema, la cosmologia, il giornalismo, la cronaca e altri numerosi percorsi esplorati senza pregiudizi, interrogandosi e mettendo ogni volta in discussione i presupposti ideologici da cui prende le mosse la sua indagine.
Come il barone Cosimo Piovasco di Rondò, salito per un istinto di ribellione sugli alberi e deciso a non scendere mai più, Calvino ha sempre cercato di elevarsi al di sopra delle ideologie rigide e delle mode culturali per guardare lontano, con un gusto per la sfida evidente a chi conosca in profondità il suo percorso di intellettuale sempre attento, prima ancora che alle questioni di carattere teorico, ai problemi che comporta la pratica della scrittura.
«Il problema espressivo e critico – sottolinea infatti nel saggio La sfida al labirinto – per me resta uno: la mia prima scelta formal-morale è stata per le soluzioni di stilizzazione riduttiva, e per quanto tutta la mia esperienza più recente mi porti a orientarmi invece sulla necessità di un discorso il più possibile inglobante e articolato, che incarni la molteplicità conoscitiva e strumentale del mondo in cui viviamo, continuo a credere che non ci siano soluzioni valide esteticamente e moralmente e storicamente se non si attuano nella fondazione di uno stile».2
Fedele a questo ideale di impegno, inteso come ricerca mai conclusa di nuove forme narrative capaci di esprimere la complessità del mondo, Calvino attraversa la sua prima stagione di scrittore confrontandosi soprattutto con Pavese, con la sua ricerca formale «che non era mai formalistica ma folta d’implicazioni culturali su tutti i piani». Con Pavese, che conierà per lui una fortunata espressione critica, definendolo uno «scoiattolo della penna», condivide la diffidenza verso un io lirico e narrativo troppo presente nella narrativa italiana del dopoguerra, l’attenzione al mondo dell’infanzia e dell’adolescenza, sentito come «stagione di sfasamento e di scoperte, sfasamento e scoperte sessuali e sociali», lo sguardo rivolto alle mutazioni antropologiche nella storia di singoli individui, che siano partigiani, intellettuali, operai o contadini, nel loro rapporto con la vita quotidiana: da qui vengono le figure indimenticabili degli sbandati del Sentiero dei nidi di ragno, degli adolescenti ribelli del Barone rampante, degli uomini impregnati dal bisogno di grandi ideali, come il Medardo di Torralba del Visconte dimezzato o l’Agilulfo del Cavaliere inesistente.
C’è poi l’attenzione per il paesaggio urbano in trasformazione, che diventerà quasi un motivo guida per Calvino, che lo ritrae con occhio critico nel romanzo breve La nuvola di smog, lo trasfigura con spunti comici nella raccolta di racconti che ha per protagonista Marcovaldo, fino ad approdare alla grande invenzione narrativa delle Città invisibili, straordinario caleidoscopio di città costruite poeticamente sul filo della memoria e del sogno, in cui Calvino pone ancora una volta al centro della sua ricerca il problema del linguaggio, della sua capacità di creare nuovi spazi e nuove prospettive di sguardo in una grande costruzione allegorica che rimanda all’atto dello scrivere come gesto libero, consapevole e allo stesso tempo imperfetto e soggetto all’imprevisto.
Le mura di fortificazione abbandonano la loro forma e il loro peso per sollecitare apparizioni leggere, come avviene in un racconto affascinante e delicato, Le effimere nella fortezza, nato a quasi dieci anni di distanza dalle descrizioni che hanno dato forma a Le città invisibili. Cosa succede – si chiede Calvino – quando uno sciame di effimere incontra le mura di un’antica fortezza? Esiste la possibilità che la leggerezza impalpabile dialoghi con il peso di un monumento solidamente ancorato al suolo?
L’incontro-scontro di forze opposte prende forma in una pagina dedicata all’amico scultore Fausto Melotti, in occasione di una mostra allestita al Forte del Belvedere di Firenze nel 1981: «Uno sciame d’effimere s’imbatté volando in una fortezza, si posò sui bastioni, prese d’assalto il mastio, invase il cammino di ronda ed i torrioni. Le nervature delle ali trasparenti si libravano tra le muraglie di pietra. “Invano v’affannate a tendere le vostre membra filiformi”, disse la fortezza. “Solo chi è fatto per durare può pretendere d’essere. Io duro, dunque sono; voi no”. “Noi abitiamo lo spazio dell’aria, scandiamo il tempo col vibrare delle ali. Cos’altro vuol dire: essere?”, risposero quelle fragili creature. “Tu, piuttosto, sei soltanto una forma messa lì a segnare i limiti dello spazio e del tempo in cui noi siamo”. “Il tempo su di me scorre: io resto”, insisteva la fortezza. “Voi sfiorate soltanto la superficie del divenire come il pelo dell’acqua dei ruscelli”. E le effimere: “Noi guizziamo nel vuoto così come la scrittura sul foglio bianco e le note del flauto nel silenzio. Senza di noi, non resta che il vuoto onnipotente e onnipresente, così pesante che schiaccia il mondo, il vuoto il cui potere annientatore si riveste di fortezze compatte, il vuotopieno che può essere dissolto solo da ciò che è leggero e rapido e sottile”».3
Nella contesa che prende forma nell’operetta morale di Calvino, gli insetti acquatici, parenti poveri delle farfalle, finiscono indubbiamente per avere la meglio sulla mole incombente delle mura di fortificazione.
La leggerezza, motivo che ritorna negli scritti di Calvino dalla trilogia degli Antenati fino alle Lezioni americane, non viene presentata qui come una qualità dell’essere, ma come la sua sostanza fondativa, il suo principio vitale.
I segni grafici di Melotti, «partitura d’ideogrammi senza peso», come le creature dell’aria, i caratteri alfabetici disposti sulla pagina, le note musicali che punteggiano il silenzio, sono l’immagine di uno spazio-tempo che vibra nell’istante, sospeso nel vuoto come le architetture delle Città sottili [una delle “rubriche” de Le città invisibili – ndr] a cui Calvino ha dato forma ispirandosi al lavoro dell’amico scultore. Quando Kublai Kan prova a immaginare il suo impero, i confini fra interno ed esterno si sono definitivamente annullati: resta la pesantezza, non più incarnata dalle mura, quanto piuttosto dalla moltiplicazione vertiginosa delle funzioni, dei meccanismi, delle gerarchie che incombono quanto gli ornamenti di marmo e di bronzo dei templi e dei palazzi. E allora nei sogni dell’imperatore appaiono «città leggere come aquiloni, traforate come pizzi, città trasparenti come zanzariere, città nervatura di foglia, città linea della mano, città filigrana da vedere attraverso il loro opaco e fittizio spessore».

A PARIGI

Il legame con l’ambiente torinese e con gli scrittori italiani con cui per molti anni si era sentito affine si fa più labile verso la fine degli anni Cinquanta, quando Calvino comincia a sentire con più forza l’inquietudine che lo aveva portato, nel corso del decennio seguito alla morte dell’amico Pavese, a restituire la tessera del Partito comunista, dopo l’invasione russa dell’Ungheria.
Nel 1964 Calvino si trasferisce a Parigi, dove resterà fino al 1980: «Alla fine elessi stabilmente sposa e dimora a Parigi, città circondata da foreste di faggi e carpini e betulle, in cui passeggio con mia figlia Abigail, e circondante a sua volta la Bibliothèque Nationale, dove mi reco a consultare testi rari, usufruendo della Carte de Lecteur n.2516».4
La sua vita a Parigi è fatta in realtà anche di importanti sollecitazioni culturali: segue i seminari di Roland Barthes, frequenta Raymond Queneau, di cui traduce il romanzo I fiori blu, prosegue un’intensa attività di consulente editoriale per Einaudi.
Si apre in questi anni per Calvino una nuova stagione letteraria, caratterizzata da rinnovati interessi (le teorie cosmologiche e astronomiche) e da una maggiore attenzione ai problemi metaletterari.
Cominciano a uscire i primi racconti comici e fantastici poi raccolti in Cosmicomiche e Ti con zero, dove, oltre all’attrazione per la scienza come fonte d’ispirazione fantastica, si avvertono le influenze delle teorie semiologiche a cui Calvino si accostava con grande interesse. Sono racconti in cui le teorie scientifiche della biologia, della cibernetica, dell’astronomia, ibridate con le istanze dello strutturalismo antropologico e letterario di matrice francese, diventano spunto per una materia narrativa che si affida al procedimento deduttivo per avvitarsi in meravigliose capriole della fantasia, con invenzioni di avventure funamboliche che seguono il corso dell’evoluzione del mondo, la nascita dell’universo, il processo di meiosi e mitosi, il mondo marino degli elementi acquatici, i dinosauri, la formazione delle rocce e dei cristalli.
Parlando di questa sua fase creativa, Calvino sottolineava il ruolo di una «teorizzazione basata sulla linguistica strutturale» e l’importanza delle «ricerche condotte dalla letteratura francese degli ultimi quindici anni, che sia nella riflessione critica che nella pratica creativa mettono in primo piano la materialità della scrittura, del testo».
Da una parte, quindi, si affida all’invenzione di immagini estremanente nitide, mettendosi al riparo da ogni forma di soggettivismo o psicologismo; dall’altra ricorre a strutture formali predefinite, attentamente calibrate e sperimentate, in modo da non narrare “a ruota libera”, ma seguendo un progetto che metta a nudo la materialità del testo.
Quando pubblica Le città invisibili (1972) sembra essersi lasci...

Indice dei contenuti

  1. Collana
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Cosmos contro caos
  6. PANORAMA
  7. FOCUS di Nunzia Palmieri
  8. APPROFONDIMENTI
  9. Piano dell’opera