Il Cinquecento - Arti visive
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Il Cinquecento - Arti visive

Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 48

Umberto Eco

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Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 48

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In questo ebook si racconta il meraviglioso panorama dell'arte gloriosa del Cinquecento, che tocca le punte più alte nei suoi primi e nei suoi ultimi quindici anni. I risultati raggiunti dalla ricerca artistica negli anni che vanno dal Tondo Doni di Michelangelo alla volta della Cappella Sistina e dalle opere fiorentine di Raffaello alla conclusione delle Stanze Vaticane condizioneranno e quasi esauriranno gli sviluppi futuri dell'arte italiana e in parte di quella europea fino alla metà degli anni Ottanta, quando i Carracci a Bologna e Caravaggio a Roma gettano le basi per la svolta moderna verso il naturalismo seicentesco. Si descrive qui il nuovo linguaggio artistico, aulico e classico, capace di imporsi come nuova lingua nazionale portato a piena definizione da Raffaello e Michelangelo e il modo in cui le nuove forme classiche, modellate sugli esempi della statuaria antica, fissano i canoni di una bellezza ideale, che diviene specchio della dignità e della grandezza dell'uomo al centro dell'universo e della storia. Un secolo ricco di iniziative, tra cui primeggia la Maniera inaugurata da Giulio Romano, Polidoro da Caravaggio e Perin del Vaga, affiancati da Rosso Fiorentino, Benvenuto Cellini e Parmigianino nell'atmosfera colta, tollerante e raffinata di Clemente VII, che fa dell'eleganza formale, della complessità compositiva e della creatività artificiosa nelle ispirazioni tematiche la sua essenza. Mentre in campo architettonico la ripresa dei modelli classici si alimenta del mito della renovatio urbis che intende restituire alla città dei papi la grandezza monumentale della Roma imperiale, quale presupposto per la sua rinascita anche politica, in un rapporto dialettico con la classicità che lascia spazio all'invenzione dei più grandi architetti, da Giulio Romano a Gerolamo Genga, da Vignola a Sansovino, a Palladio.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788897514749
Argomento
Arte
Categoria
Arte generale

La civiltà della Maniera

I percorsi della Maniera
Giovanni Sassu

Tra letteratura e arti visive, la grande stagione internazionale della Maniera è caratterizzata da ampie quanto omogenee caratteristiche. L’eleganza, la ricchezza, l’intellettualismo e la teatralità diventano le fondamenta di una vera e propria civiltà nata dalle esperienze di inizio Cinquecento e troncata dalla svolta neofeudale della Chiesa controriformista.

Premessa

Sin dal terzo decennio del secolo nei grandi centri del Rinascimento italiano nasce e si sviluppa una corrente artistica dai caratteri ben definiti. Si tratta di un insieme di esperienze caratterizzate da tratti tanto vasti quanto comuni e omogeneamente indirizzati. La "civiltà della Maniera" – come comunemente si definisce questo periodo storico – solo di recente ha ricevuto una definizione teorica mirante a definirne meglio i contorni, liberando al contempo il termine "manierismo" dai connotati negativi che ha portato con sé per secoli. Questo processo di riscrittura storica nasce dalla consapevolezza che ciò che per tanto tempo è stato indicato come manierismo non è un organismo compatto, costruito intorno al dogma dell’antinaturalismo, dell’eccentricità e della accademizzazione dei moduli del primo Rinascimento. La breve ma significativa stagione che oggi definiamo anticlassicismo – Pontormo, Rosso, Pordenone e altri – è in realtà un’entità con proprie caratteristiche, diverse "eticamente" e cronologicamente dalle opere prodotte a Roma o a Firenze nell’ambito delle corti papali e medicee. In questi ambienti, infatti, si sviluppa una civiltà figurativa artefatta (nel senso letterale di "fatta ad arte"), imbevuta di cultura e di intellettualismi desunti dalle esperienze letterarie del tempo. Le sperimentazioni del primo Rinascimento (specie dell’ultimo Raffaello (1483-1520) diventano una costante fonte di ispirazione nella misura in cui vengono viste come una specie di vasto repertorio di schemi compositivi. Questa vocazione "accademica" si esplica poi in una naturale vocazione a moduli formali tanto complessi quanto ripetitivi (come la celebre figura serpentinata).

Maniera: significati di un termine

È possibile comprendere meglio cosa si intende per civiltà della Maniera se ci si riferisce alle Vite di Giorgio Vasari, opera simbolo della cultura cinquecentesca.
L’utilizzo del vocabolo "Maniera" presenta una certa omogeneità nell’ambito della storia dell’arte. Come sostanziale sinonimo di stile, esso compare ininterrottamente da Cennino a Milizia, ma nel Cinquecento assume un connotato specifico. Nelle Vite il termine appare spesso, anche se con valenze non sempre univoche; si può comunque affermare che per "maniera" Vasari intende tanto lo stile personale dell’artista, quanto quello collettivo del tempo (la "Maniera moderna" di Raffaello, Leonardo e Michelangelo).
Oltre a queste definizioni primarie, nelle Vite compare una connotazione speciale, tesa a indicare nella "Maniera" l’individuale apporto dell’artista rispetto alla semplice rappresentazione del naturale. Così, nell’ambito dell’estetica vasariana, più un artista è dotato di scioltezza nel disegno, di armonia nel colorire, di grazia e di velocità, più è dotato di "maniera". Così, alla conquista della rappresentazione del naturale della generazione di Masaccio, nella terza età si aggiunge quell’elemento in più, quell’invenzione umana e intellettuale che permette all’arte di "gareggiare" con le bellezze della natura, in un delicato rapporto tra la natura stessa e l’inventiva dell’artefice.
Questo elemento in più nell’ottica vasariana coincide spesso con la "grazia", promossa a vera e propria categoria estetica.
Ma Vasari non è il solo ad associare il concetto di "maniera" a categorie come bellezza e grazia; nello stesso senso si muove gran parte della letteratura comportamentistica, fiorita negli stessi centri frequentati da Vasari. Il Cortegiano di Baldassare Castiglione o il Galateo di Giovanni Della Casa sono testi che nascono per le corti italiane ed europee come veri e propri prontuari delle buone maniere, impostati sui medesimi valori di grazia, leggiadria, artificio e scioltezza; queste sono infatti le qualità richieste nella vita di corte in Italia come in Europa.
È quindi possibile parlare di una "civiltà della Maniera " per opere che si pongono come vere e proprie espressioni di una cultura ben definita; si può allora definire la Maniera come una nuova arte di corte dallo spirito internazionale (si pensi alle esperienze della scuola di Fontainebleau), una sorta di atteggiamento di fondo che interessa le tradizionali forme "nobili" di espressione artistica (decorazione d’ambienti, scultura ecc.), ma anche i campi delle arti minori (l’oreficeria fiorentina al tempo di Cosimo I) , del teatro, degli apparati d’onore (la coreografia del principe), fino al tema del giardino come "spazio delle meraviglie" (Boboli a Firenze e il Sacro bosco di Bomarzo vicino a Viterbo).

Itinerari

La Maniera nasce e si sviluppa a Roma nell’ambito della bottega raffaellesca, subito dopo la morte del maestro. Fautori, ciascuno con formule personali, sono Giulio Romano, Polidoro da Caravaggio, Perin del Vaga, ma anche Rosso Fiorentino e Parmigianino. Questa breve stagione, denominata dal critico d’arte André Chastel "stile clementino", si qualifica per l’accentuato carattere intellettualistico e raffinato, determinato dal clima della corte di Clemente VII, ricca di presenze – come ad esempio il segretario del papa Paolo Valdambrini – che hanno nel culto della "bella vita" l’elemento comune.
Questa breve ma determinate stagione è paragonabile a una vera e propria incubazione del germe manierista, diffuso poi dalla diaspora degli artisti seguita al sacco di Roma. Non è un caso che quasi tutti cerchino riparo nei circoli culturali cortesi, quasi alla ricerca di atmosfere familiari dopo le violenze del Sacco. Le esperienze di Giulio Romano nella Mantova di Francesco Gonzaga (già dal 1524), di Parmigianino a Bologna e Parma, di Rosso a Fontainebleau, di Perin del Vaga a Genova rappresentano snodi fondamentali per le scuole locali. Qualche anno dopo Francesco Salviati e Giorgio Vasari, nuove leve della Maniera formatesi sul culto di Raffaello e Michelangelo, diffondono ulteriormente gli stilemi manieristici in tutta Italia: insieme a Bologna nel 1539-1540 e a Venezia nel 1540-1541, il solo Vasari a Napoli nel 1545.
A Firenze dopo l’episodica esperienza repubblicana (1527-1530), il potere torna ai Medici grazie all’appoggio di Carlo V. Nel 1537 Cosimo I diviene duca della Toscana: è l’inizio di un’esaltante stagione artistica dal sapore spiccatamente cortese, destinata a mutare il volto di Firenze, a opera di artisti quali Bronzino, Vasari, Buontalenti, Cellini e Giambologna.
Il ricco clima culturale è testimoniato dai ritratti dei personaggi della cerchia medicea eseguiti da Agnolo Allori detto il Bronzino (si veda quello di Lucrezia Panciatichi.Tra il 1540 e il 1545 il Bronzino dipinge per la moglie del duca la Cappella di Eleonora da Toledo in Palazzo Vecchio, dove le "sforzature" anatomiche di Michelangelo vengono messe in posa, e congelate in colori preziosi e brillanti. Contemporanea è la tavola raffigurante Venere e Cupido (ora a Londra): si tratta in realtà di una complessa allegoria del gioco e del piacere, dove l’intellettualismo manierista raggiunge vertici davvero esemplificativi. Significativa è anche la circostanza: il dipinto viene commissionato da Cosimo I che lo vuole donare al re francese Francesco I, quasi a unire idealmente i due maggiori centri europei di elaborazione della Maniera.
In Palazzo Vecchio vengono quindi intrapresi lavori di decorazione, tesi a mutare e adeguare gli interni dell’edificio al nuovo ruolo di rappresentanza ducale. Dal 1544 la Sala dell’Udienza viene decorata da Francesco Salviati con le Storie di Camillo, impostate su vaste composizioni riccamente descritte (quasi una rilettura della Battaglia di Costantino di Giulio Romano nelle Stanze Vaticane).
Un ruolo di primo piano è rivestito da Giorgio Vasari, che dal 1554 viene chiamato a realizzare i programmi decorativi e architettonici di casa Medici.Prototipo dell’artista manierista, sempre in contatto con letterati e potenti (che favoriscono continuamente la sua carriera), si pone a capo di un’organizzatissima équipe che gli permette di tenere in piedi più commissioni in diverse città e di lavorare velocemente.
Nell’ottica della già avviata trasformazione di Palazzo Vecchio, si inseriscono le sale dei Quartieri, cominciate dalla bottega vasariana nel 1555 su elaborazioni tematiche degli eruditi Cosimo Bartoli e Benedetto Varchi.
Un’analoga attenzione iconografica è presente in un altro celebre cantiere diretto da Vasari: lo studiolo di Francesco I, eseguito nel 1570-1572 per il nuovo granduca. La personalità del figlio di Cosimo I è complessa e variegata; cultore dell’alchimia, collezionista insaziabile e amante delle buone letture, i suoi interessi traspaiono nella preziosità dello studiolo, al quale lavorano il fiammingo Jan van der Straet – noto come Giovanni Stradano – che prende il posto dello scomparso Vasari, Jacopo Zucchi, ma anche i giovani Ludovico Cigoli e Santi di Tito. Questi, già alla metà degli anni Settanta, sono i più attenti al richiamo all’ordine sancito dal rigorismo controriformistico che segna la fine della grande stagione della Maniera a Firenze.

Roma

Il terremoto del Sacco impone alla corte papale un repentino mutamento di rotta. Bisogna attendere perciò qualche anno prima che vengano riprese le attività di committenza. L’intraprendenza non solo artistica di Paolo III Farnese appare, assieme al ritorno di Michelangelo, occasione di nuovi stimoli che vengono raccolti e sviluppati da Giorgio Vasari, Francesco Salviati, Jacopino del Conte, Daniele da Volterra, ai quali si aggiunge Perin del Vaga, tornato nella città ete...

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