Dodici presidenti
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Dodici presidenti

  1. 352 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Dodici presidenti

Informazioni su questo libro

Le vite dei dodici Presidenti sono un viaggio nella storia dell'Italia così come la si vede scorrere dal Palazzo del Quirinale. La storia di un potere che non vorrebbe esserlo. Ma c'è. E pesa. Il Capo dello Stato è, innanzitutto, una persona e porta nel ruolo carattere, inclinazioni, credo e cultura. Che sono suoi e soltanto suoi. Lo sapevate, ad esempio, che un quarto dei Presidenti era monarchico? "Le storie di questo libro
altro non sono se non il racconto di dodici uomini
e del loro sforzo di farsi istituzione.

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Informazioni

Anno
2021
eBook ISBN
9788863459265
Argomento
Arte
Categoria
Arte generale
2015

Sergio Mattarella

L’esercizio della forza tranquilla
Nel giorno dell’Epifania del 1980 davanti al pronto soccorso di Villa Sofia a Palermo c’è un giovane uomo. Ha l’aria sconvolta, i capelli spettinati, il maglione tutto insanguinato.
Guarda la piccola folla che si è assiepata, trattiene il pianto e dice poche parole: «Non c’è più nulla da fare».
Si chiama Sergio Mattarella. Ha 39 anni. Ha accompagnato in una corsa folle su una volante della questura il fratello maggiore Piersanti, presidente della Regione Sicilia, colpito da un killer della mafia con sei proiettili. In un crescendo agghiacciante di violenza: due spari dal lunotto anteriore dell’auto, poi la pistola si inceppa, il killer va di corsa verso la vettura dove un complice gli dà una seconda arma. Nuovi spari dal finestrino di lato, mentre la moglie di Piersanti, Irma, tenta di fare scudo con le mani al marito già morente. «Sembrava un robot senza emozioni» dirà agli inquirenti.
Un delitto di mafia di quelli che bruciano perché colpiscono al cuore il cambiamento e con il sangue scrivono che la storia non può cambiare mai, che quel medioevo siciliano deve rimanere in eterno. Mandanti Michele Greco, Totò Riina, Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Bernardo Brusca, Francesco Madonia, Antonino Geraci: tutti condannati. Del killer non si saprà mai nulla però.
Sergio Mattarella oggi di anni ne ha 80. Ed è il Presidente della Repubblica. Basta questo per dire che quel medioevo non è eterno e che la mafia non vince mai. Anche se crea dolore, tragedia e morte.
Un’esperienza come quella del giorno della Befana del 1980 non può non lasciare un segno, rinnovato ogni giorno, nelle vite di chi resta.
Per Sergio Mattarella ha creato un prima e un dopo, un confine esistenziale netto. Quel maglione insanguinato è diventato il vessillo di un’esistenza che da quel momento sarà guidata dalla disciplina ferrea dell’impegno e della forza tranquilla. Della gentilezza e del garbo come armi opposte e sempre superiori alla rozzezza della violenza. Una gentilezza di acciaio, inesorabile.
Il fratello minore, cresciuto fino ad allora nella scia protettiva di Piersanti decide di entrare in gioco. Non basta più la vita dello studioso di Diritto costituzionale e di Diritto parlamentare, del professore mite e brillante, schivo e riservato, ma amatissimo dai suoi studenti. Come scrivono Giovanni Grasso e Riccardo Ferrigato nel loro libro Sergio Mattarella. Il Presidente degli italiani, Mattarella diventa al contempo capofamiglia e punto di riferimento per la corrente politica dentro la Democrazia cristiana in cerca di riscatto.
Non può lasciar cadere la spinta al «riformismo dell’onestà» avviato da Piersanti prima come assessore al Bilancio quando rende trasparenti i flussi di denaro della Regione e storna quote significative dei fondi per finanziare misure sociali da parte dei Comuni. Poi come presidente di Regione quando vuole rivedere le regole degli appalti e dei lavori pubblici, imponendo la rotazione dei funzionari e una revisione radicale del sistema dei collaudi. E quando comincia ad affrontare la riscrittura della legge urbanistica con l’occhio a evitare per il futuro un’altra stagione di speculazione e di scempio.
La mafia intanto continua la sua guerra: uccide Gaetano Costa, procuratore capo a Palermo, poi Pio La Torre, segretario del Pci regionale, con Rosario Di Salvo. Poi il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa. Una mattanza.
I gesti contano. Mattarella partecipa alla commemorazione di Pio La Torre organizzata dal Pci regionale: è una deliberata scelta, un messaggio di solidarietà, un modo per fare politica e dire che c’è chi sta con il bene e chi con il male. Con la mafia non sempre è facile tracciare una linea netta ma Mattarella ha le idee chiare.
E le mette in pratica quando viene chiamato dalla Dc nazionale a fare il capo dei probiviri per decidere che fare dei democristiani iscritti alla Loggia P2 il cui scandalo esplode anche sul partito.
La commissione decide molte espulsioni e diverse sospensioni in nome di una serie di evidenze razionali e non su basi emotive. È un assaggio del metodo Mattarella: razionale, freddo, obiettivo e inesorabile.
Del resto, Sergio aveva dimestichezza con i tornanti della storia politica. Il padre Bernardo, folgorato da don Sturzo, era stato fondatore della sezione del Partito popolare di Castellammare del Golfo, la cittadina da cui provenivano i Mattarella, terra di mafia e di secessione, dove era difficile professare rettitudine e amor di patria. Cinque volte ministro e molto vicino ad Alcide De Gasperi a Giorgio La Pira e ad Aldo Moro aveva fatto respirare il senso alto della politica ai suoi figli fin dalla più tenera età.
Una eredità morale fortissima prima per Piersanti e poi per Sergio. Una bussola che torna utile ai due figli ogni volta che la vita di partito intreccia situazioni di opacità e di scandalo.
Arnaldo Forlani viene battuto al congresso e la segreteria Dc passa a Ciriaco De Mita, che ha ambizioni alte sul rinnovamento del partito. Del resto è ancora vivissimo lo scandalo della Loggia P2.
Mattarella viene cooptato nella segreteria nazionale, una staffetta politica evidente con il fratello maggiore che sedeva nello stesso posto. De Mita gli chiede di fare il commissario del partito. Azzera cariche e tesseramento. Lavora per cambiare la dirigenza siciliana in modo radicale e ci riesce: convince Leoluca Orlando a diventare sindaco di Palermo e a dare vita alla primavera palermitana che tanto seguito riscuote nella maggioranza dei cittadini onesti di quella martoriata città. Porta Calogero Lo Giudice a presiedere la Regione. È un politico irreprensibile, un altro testimone che un’alta politica in Sicilia diventa possibile. La morsa di Mattarella si stringe anche sul partito: boccia l’idea del listone unico che avrebbe dato ancora chance a Vito Ciancimino e alla parte del partito collusa con Cosa nostra e porta Giuseppe Campione alla testa del partito. È un esponente dell’ala di Benigno Zaccagnini, una scelta che fa capire come sia finita per sempre la Dc del sacco di Palermo e degli affari. E come sia all’angolo anche la Dc di Salvo Lima, il feudo andreottiano che nessuno aveva mai osato mettere in discussione.
Essere democristiani significa essere fermamente contrari alla mafia. Per Mattarella è la bussola del suo credo. E per la Dc siciliana non è una frase accettabile da tutti. Ma la sua azione sarà un successo anche quando si presenterà alle elezioni come capolista.
Per capire chi è l’attuale Presidente della Repubblica è utile seguirlo anche nei primi passi da uomo di Governo. Entra come rappresentante della sinistra Dc nell’esecutivo Andreotti che segna l’avvio dell’era del Caf (Craxi, Andreotti, Forlani), il patto stipulato a bordo del camper di Bettino Craxi posto al di fuori dell’area dove si teneva il congresso socialista.
È ministro della Pubblica istruzione e non ha il minimo dubbio su quale debba essere l’atteggiamento dello Stato laico verso la religione. Lui, esponente di una famiglia cattolicissima, devota e vicinissima alle alte gerarchie ecclesiastiche, crea l’ora alternativa all’ora di religione classica. Lo Stato deve assicurare libertà di coscienza dice. Poi mette a segno la riforma dell’insegnamento nelle scuole elementari con il superamento del maestro unico, non senza malumori e proteste tra gli insegnanti.
Ma è la clamorosa protesta per la cosiddetta legge Mammì che segna quel periodo e il tratto di Mattarella. Che, insieme agli altri quattro ministri dell’area della sinistra Dc, non esita a dimettersi perché in dissenso con una legge che favorisce troppo le reti di Silvio Berlusconi, protetto da Craxi.
Andreotti sostituisce dall’oggi al domani i cinque ministri e normalizza così la Dc.
Mattarella resta un maggiorente del partito, senza eccessi, senza clamori, ma con un’azione incisiva, anche dal fronte dell’opposizione interna.
Non deve essere facile rimarcare le posizioni antimafia in modo radicale in un partito che nei fatti mostra continue aree grigie di commistione. «La questione morale è la questione stessa della Democrazia cristiana» dice da vicesegretario della Dc di Arnaldo Forlani alla conferenza organizzativa di Assago del 1991. «In definitiva – dice a una platea attonita – basterebbe il rispetto dei 10 comandamenti, in particolare di quello che dice: “non rubare”». Eccolo Mattarella: la forza tranquilla, la grinta d’acciaio contenuta in uno spirito mite. Ma capace di esplodere con la forza delle parole e di creare consenso quando non addirittura entusiasmo come in quell’affollato palazzetto che si alza in una inattesa standing ovation.
Guarda avanti, Mattarella. Ai rischi di involuzione autoritaria di destra e soprattutto guarda ai rischi della «politica dell’insulto, dell’invettiva, dell’offesa, dell’irrisione, della demonizzazione dell’avversario» come segnale evidente di un indebolimento della ragione e come sintomo di un vero malessere della stessa democrazia.
Guardava lontano.
Ed era solo il 1991.
Mattarella temeva già allora quella malattia che avrebbe potuto avere – diceva – esiti infausti. Non sapeva ancora che proprio quella deriva troverà la sua acme quando lui salirà al Quirinale nel ruolo difficile e delicato di arbitro in tempi in cui l’invettiva sarà diventata la grammatica quotidiana della politica.
In quel 1991 alla segreteria della Dc arriva Mino Martinazzoli, le cose cominciano a cambiare. Ma non senza nuove derive tragiche: a Palermo, l’anno dopo, viene uccio Salvo Lima. La mafia non gli perdona di non aver saputo far assolvere in Cassazione i boss condannati nel maxiprocesso messo in piedi da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Mattarella – come ricordano sempre Giovanni Grasso e Riccardo Ferrigato nel loro libro sul presidente – non vuole ambiguità. «Dobbiamo capire che tutta la Dc, non solo quella siciliana, si gioca la sua credibilità sulla mafia».
Per Mattarella si apre la stagione da direttore del Popolo. La nuova linea di Martinazzoli ha bisogno di una voce che ne diffonda la novità dirompente. La Dc vuole cambiare volto, cambiare orizzonti. Mattarella è di nuovo il commissario del partito in Sicilia. Mattarella e Rosy Bindi diventano alleati e sodali per un cambiamento radicale e profondo. E agiscono con grande forza per cambiare il partito senza curarsi delle polemiche, delle suscettibilità travolte.
Vogliono cambiare il sistema a partire dalla legge elettorale che apra al maggioritario dopo l’exploit dei referendum di Mario Segni. Si chiamerà Mattarellum la nuova legge elettorale che contempla un sistema misto con un 75% maggioritario e un 25% proporzionale. Un altro passaggio storico per l’Italia del proporzionale e delle clientele piccole e grandi. Un traguardo non strombazzato, raggiunto con equilibrio e competenza e con molto lavoro di diplomazia parlamentare.
Mattarella non ama il clamore o la ribalta, non cerca visibilità vanagloriose, preferisce una dignitosa riservatezza. Ma i suoi nemici lo conoscono bene e sanno anche che devono fermarlo se vogliono evitare di essere travolti.
Così anche per lui arriva la classica opera di “mascariamento”, di delegittimazione, uno dei metodi propri dell’agire mafioso, malizioso e obliquo prima di essere minaccia diretta o addirittura omicidio.
Un costruttore siciliano sostiene di aver versato a otto politici tra cui lo stesso Mattarella 50 milioni ciascuno nel 1992. Immancabile l’avviso di garanzia. Che in quel tempo, il tempo della mattanza parlamentare di Tangentopoli, vale una condanna a prescindere. Nota particolarmente grave: i magistrati, con selezione chirurgica, inviano l’atto al solo esponente democristiano. Una scelta che non può non dirsi politica. Mattarella si dichiara del tutto estraneo a quei fatti e si dimette da ogni carica. Gli è insopportabile l’idea che si possa sospettare di lui. Aspetterà il corso della giustizia che arriverà ad assolverlo con formula piena nel 2000.
In ogni caso questa calunnia avrà ottenuto il risultato di frenare per otto anni l’azione del politico che in Sicilia voleva spezzare una volta per tutte i legami con la mafia.
Ma non frenerà la sua azione su scala nazionale perché Mattarella si adopererà molto per il passaggio dalla Dc al nuovo Partito popolare italiano.
Sempre nel segno della potenza della forza tranquilla.
Come accadde anche in occasione di uno scontro epocale con Rocco Buttiglione. Sono i giorni in cui si palesa la meteora Berlusconi in politica. Che intende acquisire i voti dei popolari e li incontra in viarie occasioni. Per Mattarella l’impressione è subito negativa: «Da Berlusconi un’affrettata elencazione di problemi svolta con accenti arroganti a uso e consumo più della platea televisiva che di quella parlamentare». Ancora una volta – come accadrà anche con altri esponenti delle istituzioni – quella che colpisce è la differenza antropologica con il leader di Forza Italia.
Per questo e anche per altro da Mattarella viene subito il no alla fiducia per il governo Berlusconi.
Ma nel partito cresce l’ala destra che fa capo a Rocco Buttiglione. Diventerà segretario e annuncia di voler portare il Ppi nell’alveo del centrodestra berlusconiano. Con lui Comunione e liberaz...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Introduzione
  6. Enrico De Nicola. L’Italia democratica come aspirazione e tormento
  7. Luigi Einaudi. La sobrietà al potere
  8. Giovanni Gronchi. Il presidente che non piaceva agli americani
  9. Antonio Segni. Il pessimismo al potere
  10. Giuseppe Saragat. Autostima da vendere
  11. Giovanni Leone. La macchietta e la prima macchina del fango
  12. Sandro Pertini. Il presidente della Tv
  13. Francesco Cossiga. Il picconatore che aveva capito la caduta del Muro
  14. Oscar Luigi Scalfaro. Un magistrato al Colle
  15. Carlo Azeglio Ciampi. Il patriota
  16. Giorgio Napolitano. L’ex comunista del bis
  17. Sergio Mattarella. L’esercizio della forza tranquilla
  18. Bibliografia