1. Leo Spitzer editore di lettere di soldati
Prima e dopo di lui
1. Vita sociale e corrispondenza
Senza voler risalire più indietro nel tempo, nell’Ottocento la pratica della corrispondenza era profondamente radicata nella vita dell’aristocrazia e nella borghesia, in Italia come in altri paesi. Verso la fine del xix secolo l’abitudine di scrivere lettere si diffonde a ritmo sempre più accelerato anche tra nuovi ceti. Allo scoppio della Grande Guerra ci sono ormai le condizioni non solo per un ulteriore incremento dell’attività epistolare da parte delle classi istruite, in particolare tra gli ufficiali e le loro famiglie, ma anche per una sua estensione tra le classi meno istruite, rappresentate dai soldati e dai loro familiari, malgrado l’alfabetizzazione fosse ancora scarsa, soprattutto nel mondo rurale e talora anche in quello cittadino, come per esempio nel Mezzogiorno.1
Solo una piccolissima parte dell’epistolografia aveva allora, come oggi, pretese letterarie; la ripresa a stampa delle lettere era un’eccezione. Tuttavia, diverse ragioni spingono a un certo punto a pubblicare in abbondanza saggi di epistolografia borghese, e a un certo punto anche popolare. Nelle classi alte e nella grande letteratura, ma anche in quella di consumo, si sviluppa già nel Settecento, a partire dalla Francia, il romanzo epistolare. Per il mondo popolare, un contesto che favorisce la pubblicazione di alcune lettere è proprio quello militare, e in particolare la guerra. Le ragioni sono diverse. Una è scientifica e accademica, e ha come scopo principale la documentazione e lo studio linguistico, come nel caso dei precursori di Spitzer, il francese Charles Bonnier e il tedesco August Prein, e di Spitzer stesso. Gli intenti di quest’ultimo erano non solo linguistici ma anche demologici e psicologici, ma pur sempre «scientifici», almeno nelle intenzioni. In generale si può dire che gli studiosi universitari volevano realizzare per il presente quello che la filologia classica aveva fatto per l’antichità: documentare e studiare tutto. Come si erano studiate tutte le scritture dell’antichità greca e romana, letterarie e non letterarie (su papiro, su metallo, sulle pareti come i graffiti…), così si doveva fare per la scrittura popolare. Nessun caso doveva rimanere non studiato, e doveva esserlo nei minimi particolari.
Altre imprese «scientifiche» sono state le raccolte di dati linguistici condotte da studiosi presso i prigionieri nemici nei campi di concentramento, e qualche volta da ufficiali, prigionieri, che erano anche studiosi, presso i propri colleghi. Può sembrare strano, ma la guerra non è sempre così negativa per la scienza come si crederebbe, anche se questa attività, o almeno alcuni casi, viene considerata spesso moralmente dubbia, come è avvenuto anche nel caso delle critiche di Cesare Foligno a Spitzer (vedi avanti). Ho dato diversi dati in proposito, riguardanti la Prima guerra mondiale e anche la Seconda, in un mio articolo.2
Ma non c’è solo l’accademia. Durante le guerre moderne nasce in diversi luoghi anche l’idea di pubblicare lettere di soldati come materiale giornalistico o come documento storico. Si pensava così di avvicinare il pubblico dei lettori quotidiani alla realtà vissuta della guerra. Probabilmente questa pratica è stata molto più diffusa di quanto ci sembri. In genere gli studi recenti hanno tenuto poco conto di questo materiale, ma ci sono due libri preziosi dedicati alla guerra che precede direttamente la Grande Guerra, quella italo-turca, che porta alla conquista italiana della Libia. Il primo, a cura di Salvatore Bono, del 1992, contiene lettere di soldati pubblicate nei giornali dell’epoca come il Corriere della sera, Il Giornale d’Italia, La Stampa di Torino ecc. Il secondo, una pubblicazione locale del 2001, a cura di Ido Da Ros, raccoglie lettere di militari veneti, per lo più soldati semplici, apparse dal novembre 1911 all’ottobre 1912 sul Gazzettino di Venezia in una rubrica fissa («La voce dei nostri soldati»).3 Questo fatto ci induce a pensare che la pubblicazione di lettere sui giornali sia stata frequente anche durante altre guerre e in particolare in quella mondiale. Ma non abbiamo rintracciato raccolte simili o indicazioni utili a trovarne.
Certo, tra le lettere pubblicate dai giornali potevano facilmente esserci delle falsificazioni, create a scopo propagandistico e patriottico dalla stampa governativa. Spitzer stesso racconta di avere ricevuto la richiesta di un servizio simile dal ministero della Guerra austriaco, che intendeva far pubblicare delle false lettere di patriottismo austriaco sul giornale L’Eco del Litorale.4 Ci sono stati casi così anche in Italia, ma non possono essere generalizzati. Anzi, per esempio, questa possibilità deve essere esclusa per le lettere dalla Libia delle due raccolte citate, che si impongono spesso per il loro tono di sincerità, anche sgradita, rispetto alle stesse lettere di Spitzer. Il fatto è che le lettere dalla Libia non dovevano essere sistematicamente censurate,5 mentre i prigionieri di Spitzer scrivevano nel timore della censura. La campagna di Libia non era stata priva di problemi, e anche di momenti tragici per gli italiani, ma nei nostri soldati abbondavano gli atteggiamenti baldanzosi, alle volte addirittura vanagloriosi e violenti, ben documentati nelle due raccolte. Viene espresso spesso un aperto disprezzo per i turchi e soprattutto per gli arabi, anche per la partecipazione della popolazione civile («i borghesi») alla guerra. Invece la condizione di prigionieri della gran parte degli scriventi di Spitzer (come del resto dei francesi nella raccolta di Prein) li incoraggiava alla chiusura e alla dissimulazione.
2. Le prime lettere di soldati italiani
Ci sono state in Italia lettere di soldati anche prima della Grande Guerra. Ci riferiamo qui alla figura moderna del soldato, al giovane arruolato dallo Stato attraverso la coscrizione (o leva, fr. levée), un’istituzione che a partire dalla rivoluzione francese (loi Jourdan, 1798) ha accompagnato la vita degli stati moderni, dei giovani maschi e delle famiglie, fino a ieri: in Italia è stata infatti abolita, o piuttosto «sospesa», nel 2004.
La leva è stata istituita con la nascita del Regno d’Italia nel 1861, ma i primi soldati in Italia erano stati quelli delle regioni annesse alla Francia napoleonica dopo la vittoria di quest’ultima sul Regno di Sardegna (1802) e le successive conquiste. Sul modello francese, in Piemonte, Liguria, a Parma, in Toscana, in Umbria e nel Lazio fu allora introdotta progressivamente la leva militare obbligatoria. Venivano chiamati alle armi i giovani tra i venti e i venticinque anni, inizialmente per cinque anni e poi per un periodo via via più corto. Fatte le liste dei richiamati, si provvedeva a estrarre i nomi di chi sarebbe stato arruolato nella quantità prevista dalle necessità del momento. C’era anche la possibilità, di cui approfittavano soprattutto i giovani benestanti, di farsi sostituire da un coscritto non estratto ma disposto a rimpiazzarli dietro pagamento. Considerato che venivano mandati in guerra, i renitenti alla leva erano molto numerosi, come anche, dopo l’inizio del servizio, i disertori.6 La leva durò quanto l’assetto napoleonico dell’Italia e dell’Europa, cioè fino al 1814. Finì per interessare 200 000 uomini.7 Anche gli stati sorti nell’Italia settentrionale per influenza napoleonica adottarono la coscrizione obbligatoria; i coscritti venivano poi inquadrati nell’esercito francese. Così la Repubblica Cisalpina e le sue continuazioni, con diversa estensione, come Repubblica Italiana (1802-1805) e poi come Regno d’Italia (1805-1814). Questi primi soldati italiani, rinforzati da militari di altre nazionalità e da volontari di altre parti d’Italia, andarono a far parte dell’Armée d’Italie che sotto bandiera francese accompagnò Napoleone fino in Spagna, in Russia e in altre campagne difficili, spesso disastrose, ma che costituiscono al tempo stesso una pagina essenziale nel nostro incipiente Risorgimento. Franco Della Peruta ci vede un «aurorale sentimento nazionale».8
Tuttavia le lettere di questi primi soldati italiani ci portano lontani, molto lontani dal mito napoleonico. I loro scritti ci mostrano che le loro condizioni erano spesso miserabili e il morale bassissimo. Leggendo le lettere dei lig...