La fede dei primi cristiani
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La fede dei primi cristiani

Con la Lettera a Diogneto & la Didaché

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La fede dei primi cristiani

Con la Lettera a Diogneto & la Didaché

Informazioni su questo libro

«Quanto sia stato determinante per la consapevolezza dei primi cristiani l'aver ricevuto in dono una speranza affidabile, si manifesta anche là dove viene messa a confronto l'esistenza cristiana con la vita prima della fede... Il cristianesimo non era soltanto una "buona notizia". Nel nostro linguaggio si direbbe: il messaggio cristiano non era solo "informativo", ma "performativo". Ciò significa: il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita» (Benedetto XVI, Spe salvi). Come vivevano, i primi cristiani, la loro fede, la povertà, il digiuno, la preghiera, i rapporti famigliari...? Come celebravano il Battesimo e l'Eucaristia? Perché i pagani erano calamitati dall'amore che i cristiani mostravano tra loro? Perché i martiri erano tanto apprezzati nelle prime comunità cristiane? Per quale ragione gli Imperatori romani furono così intolleranti nei confronti del cristianesimo? In appendice la Lettera a Diogneto e la Didaché, o «Dottrina dei Dodici Apostoli», i due testi che raccontano gli albori della comunità cristiana.

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Informazioni

Smeraldi

Domingo Ramos-Lissón

La fede dei primi cristiani

Con la Lettera a Diogneto

& la Didaché

Presentazione

Papa Benedetto XVI ha scritto nella sua enciclica sulla speranza, commentando in primis gli insegnamenti paolini, che «il cristianesimo non era soltanto una “buona notizia” – una comunicazione di contenuti fino a quel momento ignoti [...], ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita»1. In accordo con queste parole del successore di san Pietro, le pagine che seguono sono state scritte con il desiderio di far conoscere alcuni aspetti della vita cristiana dei primi tempi, che costituiscono per noi un’eredità spirituale di grande valore. In varie occasioni, questa ricca eredità resta sepolta sugli scaffali di alcune biblioteche specializzate. Il nostro desiderio è quello di agevolare la conoscenza di questi tesori che possiamo fare nostri e che hanno un valore aggiunto, trattandosi di beni dello spirito che non invecchiano e che hanno superato la prova del tempo.
Una questione iniziale che è bene precisare riguarda che cosa si intenda per «primi cristiani». Sommariamente, possiamo considerare come tali quei cristiani che vissero in un arco temporale che va dal I secolo fino agli inizi del IV secolo, quando termina la persecuzione di Diocleziano (304). Pensiamo che questo periodo rappresenti, con sufficiente precisione, una tappa compatta della vita della Chiesa, che cambierà definitivamente a partire dall’Editto di Milano (313)2.
Attualmente, noi cristiani riteniamo di aver molto da imparare dai nostri primi fratelli nella fede. Per questo, non dobbiamo intendere la ricerca dei loro ricordi come un semplice accumulo erudito di fatti storici. Per noi, quelle esperienze hanno una rilevanza considerevole, dato che ci permettono di risalire fino alle nostre radici. Si potrebbe affermare che è in gioco la percezione delle caratteristiche fondamentali che definiscono la nostra identità spirituale.
Un esempio può aiutare a spiegare meglio quello che voglio dire. Immaginiamo una persona che soffre di amnesia e che, perciò, non sa chi sia. Possiamo pensare al protagonista del film Bourne Identity di Paul Greengrass. Quella persona ha perso la sua identità e, di conseguenza, non conoscendo il suo passato, può cadere con facilità in un vuoto esistenziale. Se estrapoliamo questa situazione e la trasponiamo alla vita spirituale, non è difficile trovarci oggi con persone che non conoscono la propria identità cristiana, perché soffrono di una specie di «amnesia» spirituale. Vivono intrappolati in un’infinità di attività e possono portare un carico enorme di inutilità sulle loro spalle. Chi non sa da dove viene non sa dove sia diretto. Inoltre, nell’àmbito spirituale è in agguato un altro grande pericolo: l’allontanamento da Dio, che può portare all’infelicità terrena e a quella eterna.
Da un altro punto di vista, le testimonianze di vita cristiana che troviamo tra i primi credenti del Vangelo hanno un grande valore paradigmatico. L’esemplarità della loro condotta è passata attraverso il setaccio di dure prove, tra le quali le persecuzioni della struttura politica imperiale, l’ostilità degli intellettuali dell’epoca e le calunnie e infamie di un’opinione pubblica contraria.
Inoltre, la coerenza tra la loro fede e la loro condotta può servirci come guida per superare le barriere di un mondo che emargina la verità cristiana e cerca di rinchiuderla nell’àmbito personale e privato, come sta facendo l’attuale laicismo escludente.
Questo caratteristico modello di coerenza tra fede e vita costituisce una prova inequivoca della santità delle loro vite, accreditata come tale dalla Chiesa in molteplici occasioni. Se, a ragione, Benedetto XVI ha detto che «i santi sono i veri portatori di luce all’interno della storia»3, l’intensità luminosa dei primi seguaci di Gesù rappresenta un ulteriore incentivo affinché concentriamo su di essi la nostra attenzione.
Abbiamo cercato di ricorrere alle testimonianze degli stessi protagonisti, nella misura in cui la documentazione corrispondente è arrivata fino ai giorni nostri. Siamo coscienti delle limitazioni imposte da questa premessa, ma ci sembra la forma più corretta per affrontare una prospettiva generale della vita cristiana durante i primi tre secoli.
Mentre leggiamo queste testimonianze, non possiamo dimenticare che sono documenti vivi della storia della Chiesa. Questo significa che gli avvenimenti narrati, anche se ridotti solamente ad alcuni aspetti parziali, hanno una visione spirituale di totalità che li incastona nel canovaccio della fede e grazie alla quale possiamo inserirli nella nostra vita.
Serve fare un’ultima osservazione metodologica: come il lettore noterà, abbiamo raccolto alcuni insegnamenti del magistero recente dei Papi e degli autori contemporanei che possono aiutarci a completare o delineare qualche aspetto della vita di questi primi fratelli nella fede.
Infine, desidero ringraziare il professor Antonio Vilarnovo per i molteplici suggerimenti e miglioramenti che hanno arricchito questo volume.

I

Coordinate spazio-temporali

Il cristianesimo nacque in un’area geografica ben precisa: l’attuale Palestina, che nel I secolo era parte dell’Impero romano. Già da più di 50 anni il popolo ebraico viveva sotto il dominio romano. A partire dall’anno 6 (d.C.), Augusto mise a capo di Giudea, Samaria e Idumea un Procuratore romano, con sede a Cesarea, che si doveva occupare della sicurezza militare e della direzione economica del territorio, in unione con l’eredità romana della Siria, mentre il Sinedrio, presieduto dal Sommo Sacerdote, si faceva carico delle questioni interne degli ebrei.
L’appartenenza all’Impero romano permise ai cristiani di muoversi agilmente, grazie a delle coordinate spazio-temporali che non si trovavano in altre zone. In primo luogo, bisogna ricordare l’eccellente rete stradale che metteva in comunicazione tutto il territorio dell’Impero romano e che avrà il suo punto di massima espansione nel II secolo (d.C). Se a questo aggiungiamo la concezione del Mediterraneo (il Mare nostrum) come un’immensa strada di grande traffico, ci ritroviamo con un sistema di comunicazioni unico in tutta l’Antichità.
Tutte queste strade convergevano a Roma, capitale e centro dell’Impero. Da questa città si poteva andare fino al finis terrae della Gallaecia, alla foce del Danubio, ad Atene o Bisanzio. Una strada romana univa il Nilo con l’Atlantico lungo la costa nord dell’Africa.
Esistevano mappe di carreggiate romane a uso dei viaggiatori, con indicazioni precise di distanze, luoghi per pernottare, stazioni di posta ecc. Via terra, la rapidità degli spostamenti o dei trasporti dipendeva dai mezzi utilizzati. A cavallo, ci si poteva permettere il cambio di animale nelle località segnalate. In questo modo, si potevano percorrere tra i 150 e i 200 km al giorno. Normalmente, i viaggiatori utilizzavano carri, che potevano raggiungere massimo i 50 km al giorno. A volte si facevano percorsi misti via terra e via mare.
La rete stradale romana è realizzata inizialmente per facilitare lo spostamento delle legioni, ma più tardi è utilizzata anche con fini commerciali, famigliari ecc. Gli evangelizzatori cristiani trovano in queste strade un aiuto considerevole per la diffusione del loro messaggio.
Un esempio lo troviamo nella via Egnatia, utilizzata da san Paolo nei suoi viaggi, che univa il Bosforo con la costa adriatica, passando per città come Filippi o Tessalonica. Erano molto frequentate anche le grandi carreggiate che percorrevano la Penisola italica, come le vie Appia, Aurelia, Flaminia, Salaria, Tiburtina, Casilina ecc.
A ogni modo, l’arteria principale della comunicazione romana, come dicevamo, era il Mediterraneo. La via marittima era abbastanza veloce. Se si sommavano il bel tempo e i venti di media intensità, si potevano percorrere 70 km al giorno: una nave viaggiava in tre giorni da Pozzuoli alla foce del Tevere passando per Gaeta e Anzio. Con venti favorevoli era possibile coprire distanze maggiori in un tempo minore, come si dimostra nel caso di san Paolo, che in un giorno o poco più arrivò da Reggio a Pozzuoli (At 28, 13).
Nel Mediterraneo, i porti svolgevano un ruolo molto rilevante, trattandosi di una navigazione di cabotaggio.
Gli scali portuali di semplice ormeggio o per svernare offrivano agli equipaggi o ai viaggiatori l’occasione per mettersi in contatto con i propri compatrioti e parenti o di creare nuove amicizie. Queste opportunità della navigazione furono utilizzate dai primi cristiani a Creta, dove portarono il Vangelo durante il II secolo, approfittando dei soggiorni invernali delle barche provenienti da Asia, Siria o dai porti di Tiro e Sidone.
Il cristianesimo si diffonde in Egitto e nel Nordafrica attraverso le rotte marittime che fanno scalo rispettivamente ad Alessandria e Cartagine. Anche se non abbiamo testimonianze dirette degli inizi, possiamo affermare con sicurezza che durante i secoli I e II ci sono comunità cristiane in queste importanti località portuali.
Naturalmente, la ragion d’essere delle strade di comunicazione via terra o via mare era quella di facilitare lo spostamento di persone e lo scambio di mercanzie tra nuclei urbani, trattandosi di luoghi in cui, dato il maggior numero di abitanti, risultava più facile trovare possibili destinatari di beni o servizi.
Nella prima espansione del cristianesimo, i missionari si dirigono in maniera preferenziale verso tali centri popolati. Inoltre, non bisogna dimenticare che i primi credenti erano ebrei e non stupisce che si siano diretti verso città dove esistevano comunità ebraiche. Per farci un’idea, anche se approssimativa, di queste comunità, basti pensare che durante il I secolo le comunità della diaspora, solo nei territori dell’Impero romano, rappresentavano una popolazione ebraica cinque volte superiore a quella che viveva in Palestina. Ai tempi di Tiberio (14-37), gli ebrei di Roma hanno tredici sinagoghe e una popolazione tra i 50 e i 60.000 abitanti su un totale di 800.000. La maggior parte di questi si trovava a Trastevere, Saburra e in altri quartieri dell’Urbe.
Inoltre, l’attività evangelizzatrice si vedeva rafforzata dall’ospitalità, tenuta in gran considerazione dall’ebraismo, come si ricorda nell’Antico Testamento, dove appaiono personaggi protagonisti della storia di Israele che la praticavano con grande generosità: Abramo (Gn 18, 1-5), Lot (Gn 19, 1-3), Rebecca (Gn 24, 15-28) o Giobbe (Gb 31, 32). L’ospitalità cristiana eredita questa consuetudine tradizionale ebraica. Per il cristiano, accogliere anche l’estraneo è accogliere Cristo. Fratellanza e ospitalità sono unite (Eb 13, 23), come avremo occasione di esaminare più avanti. Già alla fine del I o all’inizio del II secolo, ci troviamo con una bozza orientativa dell’ospitalità cristiana nella Didaché, uno scritto catechetico che si rivolge principalmente alle comunità cristiane che derivano dall’ebraismo.

II

Le religioni nell’Antichità

Le religioni antiche si trovavano legate in modo indissolubile alla vita familiare e civile. Ogni uomo libero, proprio perché formava parte di una famiglia e di una città, onorava gli dèi protettori di questa. Perciò, per esempio, gli ateniesi adoravano Pallade...

Indice dei contenuti

  1. Indice
  2. Presentazione
  3. I
  4. II
  5. III
  6. IV
  7. V
  8. VI
  9. VII
  10. VIII
  11. IX
  12. X
  13. XI
  14. XII
  15. XIII
  16. XIV
  17. XV
  18. XVI
  19. XVII
  20. XVIII
  21. XIX
  22. XX
  23. XXI
  24. XXII
  25. XXIII
  26. Epilogo
  27. Note e sintetica bibliografia
  28. Appendice