prima parte
La spirale della crescita
Premessa
Ogni eredità, tanto più se non è preceduta da un testamento, richiede prima di tutto un bilancio. Nessun secolo ha mai consegnato al successivo un testamento leggibile con sicurezza, ma questo è tanto più vero per il secolo scorso, che ci ha lasciati con un finale ambiguo e per certi aspetti sospeso, carico di promesse tecniche e di paure ecologiche, segnato dal crollo tardivo del sistema delle potenze che lo aveva retto per decenni e dal maturare rapidissimo di nuove sfide. Ed è vero anche per la materia che ci interessa nello specifico: la comunicazione e il sistema dei media, che sono una parte considerevole dell’eredità del secolo, ma risultano difficili da valutare in modo univoco.
Il Novecento dei media si presenta infatti con caratteristiche contraddittorie: da un lato, le successive ondate di rinnovamento – e l’ultima forse non è ancora terminata – hanno coinvolto in modo ricorrente l’intero sistema; dall’altro il secolo è stato attraversato da alcune costanti. La più impressionante di esse è forse la continuità della crescita della comunicazione in tutti i suoi aspetti: nella diffusione dei media, nella loro moltiplicazione (che ha portato con sé un progressivo allargarsi del ventaglio di scelte ma anche una crescente convergenza tra forme di comunicazione differenti), nel peso che le industrie dell’informazione hanno assunto nell’economia. Lo sviluppo dei media è al centro di questa prima parte del libro, unitamente ai fattori molteplici che lo hanno alimentato, e alle sue implicazioni spesso difficili da cogliere, in termini di presenza dei media e dei messaggi da essi veicolati, e in termini di relazione tra gli strumenti del comunicare e l’universo.
Il carattere relativamente costante della crescita che ha attraversato il Novecento dal punto di vista della comunicazione non deve però farci dimenticare la non linearità della storia nel suo complesso, e l’alternarsi ciclico di fasi di radicale innovazione e fasi di assestamento. Riassumiamo quindi, per completezza di ragionamento e per comodità del lettore, una ricostruzione (sviluppata molto più ampiamente in Mediastoria, Net, 2002) delle rivoluzioni mediatiche avvenute nel Novecento.
La fase iniziale – quella in cui, per riprendere il fortunato titolo di un libro di Carolyn Marvin,1 «le vecchie tecnologie erano nuove» – si manifesta ancor prima dell’inizio del «secolo breve» che facciamo generalmente cominciare nel 1914: è anzi un lascito di quel «lungo Ottocento» che i nostri antenati dei primi anni del Novecento vivevano con fastidio, come un’eredità in parte decaduta, ma con le cui lenti ancora leggevano il mondo (non lo facciamo del resto anche noi, cittadini del nuovo millennio?). Il Novecento agli albori cercava nell’elettrificazione, e nell’universo mediatico che le innovazioni di Edison e dei suoi epigoni avevano portato con sé, il segno forte della modernità e quindi della discontinuità, sperando quasi di identificarvi le levatrici semiconsapevoli di una «umanità nuova» che progetti ideologici assai diversi tra loro cominciavano a coltivare: un uomo nuovo (o una donna nuova come l’«Eva futura» del romanzo di Villiers de l’Isle-Adam)2 che d’altra parte era la massima aspirazione del più ottocentesco dei miti, il progresso. Nelle speranze più o meno ingenue espresse nei testi letterari di Verne o Albert Robida o nei progetti tra scienza e fantascienza di Hugo Gernsback o – qualche anno più tardi – di Richard Buckminster Fuller, possiamo leggere le prime manifestazioni di un’attesa messianica per la tecnologia di comunicazione e per le sue presunte potenzialità: «allargamento della coscienza» e progresso economico, liberazione politica e dialogo tra gli uomini (attesa messianica che il secolo avrebbe vissuto poi più volte, fino ai sogni e all’euforia tecnofinanziaria degli anni novanta).
Gli anni tra le due guerre, dopo che il Primo conflitto mondiale aveva rivelato al mondo il nesso sottile che si stava configurando tra guerra industriale e industria culturale, tra mezzi di comunicazione di massa e armi di distruzione di massa, furono segnati da una prima ondata di riflessione critica sulla portata e le potenzialità dei media, e insieme da una rivoluzione della comunicazione, centrata sulla radio, sul cinema sonoro, e sul richiamo magnetico degli altoparlanti. La comunicazione moderna diventava da un lato strumento di una tecnica di potere ritenuta imbattibile (fondata sul controllo monopolistico dei grandi sistemi tecnici e sulla propaganda, o addirittura su progetti di «educazione» istantanea di interi popoli); dall’altro oggetto di nuovi studi sociologici e tecnici, alla ricerca di antidoti ai suoi usi più mortiferi. Proprio nell’ambito di queste ricerche nascevano le moderne «scienze della comunicazione» sul doppio binario dello studio sociale del pubblico e del suo comportamento, e della teoria cibernetica dell’informazione.
I decenni successivi al 1945 si sono posti sotto il segno non tanto di un rinnovo generalizzato del sistema dei media, quanto di un medium simbolico e insieme straordinariamente potente, che sembrava riassumere tutti i termini delle due precedenti rivoluzioni mediatiche: domestico e audiovisivo, democratico e accentrato, elettronico e facile da usare, produttore di assuefazione ma senza effetti collaterali immediatamente percepibili. L’avvento della televisione ha aperto una fase di nuove interrogazioni, sociologiche e linguistiche, e ha sollevato una questione fondamentale che riecheggia curiosamente antiche domande dell’epoca della prima industrializzazione: siamo padroni della macchina o ne siamo dominati? E ha per parecchi anni oscurato, con la luce insieme rassicurante e abbagliante dei suoi schermi, i tanti altri cambiamenti che avvenivano nel frattempo: la nascita del giradischi a microsolco e (per suo tramite e con l’aiuto della radio a transistor) quella del rock’n’roll, la generalizzazione dell’uso del telefono, non più strumento per il semplice scambio di messaggi ma luogo artificiale della conversazione e della socialità, la diffusione di massa del libro tascabile…
Si è arrivati quindi, a metà degli anni settanta, a una fase finale del rinnovamento, resa duratura (al punto da non essersi ancora esaurita) forse per il sovrapporsi di due diversi processi di trasformazione: l’uno dominato dalla «nuova» televisione, via cavo, via satellite e videoregistrata, l’altro dall’informatica personale e dalle reti telematiche. A questo punto i media sono divenuti, anche nel senso comune, l’asse portante dell’intero sistema sociale, proprio mentre le distinzioni tra loro si facevano più vaghe di quanto mai fossero state in passato; è in quest’epoca che la comunicazione, concetto insieme generico e onniesplicativo, ha assunto un ruolo – nel parlare comune come nelle scienze sociali – paragonabile a quello che nei decenni precedenti era stato riconosciuto, per esempio, all’economia.
Se non consideriamo anche la discontinuità e contraddittorietà che segnano il secolo dei media non possiamo comprendere, né tanto meno capire, il processo inesorabile e continuativo di sviluppo descritto e analizzato nelle pagine che seguono. E viceversa. La «spirale della crescita» che in questa prima parte del volume descriveremo, cercheremo di spiegare, valuteremo in alcune sue implicazioni, ha assorbito dentro di sé, e continua ad assorbire, numerose «rivoluzioni» a volte inavvertite, a volte sopravvalutate; queste dal canto loro hanno contribuito sia a conferire alla crescita il suo peculiare andamento, sia a condizionare la percezione che le diverse generazioni hanno avuto dei media. La crescita «a spirale» di tutte le forme di comunicazione è una delle grandi eredità che il Novecento ci ha lasciato: costituisce insieme un fatto storico, un’esperienza socialmente diffusa, un modello capace di forgiare le aspettative del futuro. Negli ultimi due decenni del secolo e oltre, la spirale ha compiuto forse un salto ulteriore, divenendo del tutto irreversibile come i processi che l’alimentavano.
Proprio questo sviluppo globale e travolgente, che ha conosciuto nel corso del secolo momenti di accelerazione ma non si è mai interrotto, neppure nelle fasi di stasi apparente, nonostante le violente fratture storiche che il secolo ha conosciuto, è l’oggetto dei quattro capitoli di questa prima parte, che interrogano da diversi punti di vista un fenomeno nel quale siamo immersi. È la pura e semplice ridondanza dei messaggi e dei mezzi stessi, le cui implicazioni per la nostra vita possono essere colte solo se dedichiamo la nostra attenzione critica a ciò che, per essere ripetitivo e onnipresente, può magari apparire banale e scontato; solo se non concentriamo l’attenzione su quel che più ci colpisce e più aspira a meravigliarci, ma ci dedichiamo a smontare i meccanismi apparentemente ovvi delle abitudini.
Premessa
1 C. Marvin, Quando le vecchie tecnologie erano nuove. Elettricità e comunicazione a fine Ottocento, Utet, Torino 1994.
2 A. Villiers de l’Isle-Adam, Eva futura, Bompiani, Milano 1966 (il libro fu pubblicato la prima volta nel 1886).
1. Il peso dei media
1.1. Implacabilità della crescita
La dinamica dei media nel Novecento, nonostante la complessità dei processi che l’accompagnano, ha in sé un che di inesorabile. Nel corso del secolo le innovazioni tecnologiche, l’espansione dell’economia capitalistica (in termini sia di sviluppo produttivo sia di penetrazione in aree nuove), le crescenti interdipendenze tra le diverse regioni del pianeta hanno portato, invariabilmente, a un potenziamento dei media.
Si tratta di una crescita prima di tutto quantitativa, e si potrebbe essere tentati di liquidarla come dato banalmente statistico. Ma sarebbe un errore, se non altro perché un processo simile, con la sua forza e la sua persistenza, pone allo storico una domanda di fondo: qual è il motore di questa crescita? Di più: se andiamo oltre la superficie, dobbiamo riconoscere di essere di fronte a uno di quei casi in cui, secondo l’espressione hegeliana cara a Friedrich Engels, la quantità trascende in qualità, ovvero il peso della crescita è alla base di processi socioculturali tanto più influenti quanto più difficili da notare. Cerchiamo quindi, sfidando l’apparente banalità dei dati, di illustrare e interpretare per punti questo sviluppo dei media e delle attività di comunicazione.
1.1.1. Fino alla ridondanza e oltre: la moltiplicazione dei media
Un primo fenomeno, in sé sorprendente, è la moltiplicazione dei mezzi di comunicazione. Basti pensare, per limitarci a un esempio, alla varietà degli strumenti disponibili per l’ascolto di musica riprodott...