Avanti Po
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Avanti Po

  1. 286 pagine
  2. Italian
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Avanti Po

Informazioni su questo libro

Uno lo chiamano "cocomero" perché dicono che fuori è verde, ma dentro è rosso. Un altro è orgoglioso del passato nel Pci ed è convinto di proseguire, da leghista, il lavoro del nonno partigiano. La Lega Nord sale nei voti e scende lungo la penisola, ben al di sotto del Po, in quelle che da sessant'anni venivano chiamate "regioni rosse". Avanti Po" è il ritratto dell'Italia centrale fatta di borghi e città, con crolli improvvisi nel consenso finora monolitico della sinistra, di giovani che credono che il futuro sia Bossi e sindaci che vietano il velo. È una panoramica tra attività politica sul territorio (due bacheche, un gazebo e molte strette di mano) e i tanti elettori convinti dalla tv o per sentito dire. Tra gente che odia Berlusconi e perciò vota Lega e comuni dove i leghisti governano col Pd. Così, mentre la Toscana ha mandato nel 2009 da Prato a Bruxelles il suo primo eurodeputato leghista e la "razza appenninica" garantisce roccaforti lungo tutto il crinale, le elezioni regionali del marzo 2010 rappresentano la nuova sfida per il grande balzo a Sud del partito del Nord. Prefazione di Enrico Deaglio.

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Informazioni

Anno
2010
Print ISBN
9788842816164
eBook ISBN
9788865760512
Argomento
Storia
PRIMA PARTE
Toscana
1. Il nipote leghista del partigiano*
Andrea Barontini era comunista. Adesso ha ancora la tessera della Cgil e dell’Arci, ma pure quella della Lega. Ed è convinto di continuare con Bossi l’opera del nonno durante la Resistenza: liberare l’Italia dagli stranieri. Intanto, con una strategia di liste civiche, ha strappato alla sinistra tre comuni della provincia di Pisa da sempre rossi: Volterra, Pomarance e Castelnuovo Val di Cecina.
E chi non lo conosce il Barontini? Suo nonno era Lino, il partigiano, il fondatore delle Coop pisane. E più alla lontana («anche se Il Tirreno ha fatto confusione») è pure parente di Ilio, uno dei capi della Resistenza, quello che pigliò l’Ordine della Stella rossa da Stalin per i meriti sul campo e diventò senatore del Pci nel dopoguerra, prima di morire in un incidente di macchina nel ’51. Ilio (il parente) è, per intendersi, uno che, a 59 anni dalla morte, ha un profilo pubblico e 340 amici su Facebook. Non se n’è persa la memoria, in Toscana. Lino (il nonno) è stato un po’ meno famoso. Eppure combatté in Italia, e in Jugoslavia con Tito. E oltre alle Coop fondò la polisportiva e il circolo Arci di Putignano, la «piccola Russia» alla periferia di Pisa, dove alle votazioni i comunisti superavano il 90%.
Suo nipote Andrea – il Barontini, appunto – lo conoscono tutti, e non solo perché è suo nipote. Ma perché di quello storico circolo Arci è socio e, negli anni (ora lui ne ha 44), ci si è sempre spaccato le reni: per costruire il pallottolaio delle bocce come per pavimentare la pista da ballo. E poi perché è stato un braccio destro di Marco Filippeschi (l’attuale sindaco di Pisa) ai tempi della Figc, la gioventù comunista. E perché è attivo nel sindacato; un combattivo delegato della Cgil (aveva offerto le dimissioni, ma – dice – gli hanno chiesto di restare). E poi perché è segretario circoscrizionale della Lega… La Lega Nord di Umberto Bossi.
A unire i puntini sulla carta, Volterra, Pomarance e Castelnuovo Val di Cecina formano nel Sud della provincia pisana una retta che arriva alla base delle Colline Metallifere. Una linea sempre tracciata di rosso, dal ’45 in poi. Fino al giugno 2009, quando sono diventati sindaci i candidati di tre liste civiche appoggiate dalla Lega.
È qui, dove lavora da sei anni (nel campo edile, come assistente tecnico di macchine operatrici), che Andrea Barontini, da segretario circoscrizionale del Carroccio, ha fatto il suo grande lavoro sul territorio, «grazie alla scuola del Pci» ammette. Lui è uno di quei comunisti toscani passati al leghismo «perché ormai è l’unico movimento a difendere i lavoratori, gli operai italiani». Rivendica orgoglioso la sua storia di sinistra e si sente in continuità con l’opera dell’antenato partigiano. In fondo si tratta pur sempre di liberare l’Italia dagli stranieri («ma questo non lo scrivere che poi riprotesta l’Anpi»). «Battute a parte» spiega «spero che il nonno non si rivolti nella tomba, ma sono convinto di proseguire la sua opera. Anche lui era uno che amava guardare avanti e non indietro, alla retorica del passato. E poi credeva nella lotta per la libertà. E io penso che sia di sinistra invitare gli immigrati a combattere per la libertà nei loro paesi di origine, come hanno fatto i nostri nonni qui, per ottenere vere democrazie e migliorare le condizioni di vita. E di destra permettere che le forze migliori di quei paesi vengano qua, a lavorare nelle nostre fabbriche lasciando al potere, in patria, despoti sanguinari e burocrati corrotti.»
A Castelnuovo Val di Cecina, uno di quei posti dove la catechesi rossa sembrava aver creato una fede inattaccabile nel progressismo di sinistra, la musica è cambiata a pochi giorni dal voto amministrativo del 2009. E non solo in senso metaforico.
Era il 2 giugno, Festa della Repubblica, e in paese (576 metri sul livello del mare; 2387 abitanti; 1839 elettori, di cui l’83% ha fatto il suo dovere alle urne) era stata organizzata una fiera nei giardini pubblici del piazzone. Gli altoparlanti diffondevano canzonette e la gente girava tra le bancarelle. Ai castelnuovini si mescolavano diversi albanesi, una numerosa comunità, composta per lo più da uomini che lavorano come tagliaboschi. Un gruppo di loro, dopo le 19.20, sale sul palco con in corpo qualche bicchiere di troppo. Gli altoparlanti si zittiscono, gracchiano per qualche istante. Poi la musica riprende, ma è musica albanese. «Siamo stufi di quella lagna italiana» dicono. Finisce in zuffa. In sette verranno denunciati per rissa aggravata e lesioni personali. Due abitanti del posto vengono visitati al pronto soccorso. La festa prosegue con note schipetare a tutto volume. Il centrosinistra parla in punta di forchetta, distingue tra chi lavora seriamente ed è integrato e i pochi facinorosi. Il centrodestra no. «Noi parliamo semplice, la nostra è la lingua delle persone normali» dice orgoglioso il Barontini. Una settimana dopo Alberto Ferrini, di Alternativa per il Comune, un outsider appoggiato da Pdl e Lega, prende il 51,43% e diventa sindaco.
Poco lontano, a Pomarance (6309 abitanti; 5066 elettori, l’85% al voto), l’«operazione liste civiche» di Barontini ha toccato lo zenit quanto a fantasia strategica. «È stata una vera azione di intelligence» si compiace lui «una beffa di paese.» L’Unione democratica (la lista civica di centrosinistra) e Rifondazione comunista dovevano correre unite. Non ci sarebbe stato scampo: erano destinate a raccogliere oltre il 50%. Pdl e Lega allora hanno finto di litigare, di correre divise. Barontini, per sua stessa ammissione, è stato tra gli attori migliori, dando sfogo a tutta la sua vis polemica contro il centrodestra, nei comizi e sui giornali. Di fronte ad avversari tanto deboli e divisi, Pd e Rifondazione hanno deciso di non unire le forze, «per contarsi», e hanno presentato due candidati. Ma, all’ultimo giorno utile, Lega e Pdl si sono alleati in una lista civica (Insieme per cambiare) proponendo Loris Martignoni come sindaco. «A quel punto abbiamo cominciato a dire che eravamo da sempre d’accordo e che era stata la stampa rossa locale a montare dissapori tra di noi. E abbiamo attaccato la sinistra sostenendo che era divisa e litigiosa. Uno spasso.» Morale? Il 12% dei consensi a Rifondazione è andato dissipato e il candidato di centrodestra si è affermato con 112 voti di scarto su quello del Pd. «Uno spasso…»
A Volterra (gli abitanti sono poco più di 11mila), durante la campagna elettorale Barontini se l’è spassata meno. La lista civica appoggiata dai leghisti qui correva davvero separata dal centrodestra e lui ha dovuto sopportare un bel po’ di attacchi. Lo accusavano di essere «spudoratamente comunista», «un infiltrato», e hanno persino scritto alla Lega («proprio in via Bellerio, a Milano» sottolinea) per chiedere «se si rendevano conto di essersi messi in casa un rosso». Poi sono andati sul personale, rimarcando che uno come lui non era coerente: «Dice e dice sugli stranieri ma s’è trovato una bella moglie slovacca, per di più ex modella…».
Ma Marco Buselli, un infermiere di 34 anni (molto religioso: sul cancello della sua villa di famiglia c’è un enorme cuore con la scritta DIO È AMORE), ha staccato alla grande il candidato del Popolo per Volterra (centrodestra) e di 170 voti anche quello di centrosinistra, ed è diventato sindaco. «Non è stata una magia» dice Barontini «abbiamo lavorato molto sul territorio. Utilizzando tutte le risorse. Anche le poche centinaia di euro racimolate col tesseramento. Ho comprato quattro bacheche, le ho messe in quattro punti strategici e da lì abbiamo fatto sentire la presenza della Lega. Ci sono voluti tempo e pazienza ma i risultati stanno arrivando.» Eccome. In Toscana, dopo le elezioni di giugno 2009, nove consiglieri provinciali (ne aveva zero) e 51 comunali (ne aveva tre). E, alle europee, 89 920 voti, il 4,3%. Il doppio esatto rispetto alle ultime politiche, il quadruplo rispetto a cinque anni prima. Con molte punte sopra il 10% nelle province settentrionali (il record a Villa Basilica, in Lucchesia: 12,33%), e un eletto, il pratese di Vaiano Claudio Morganti, anche lui di famiglia comunista e grande amante del motto «Né neri né rossi, ma liberi con Bossi».
La sbarra del passaggio a livello s’abbassa spesso, dividendo in due Putignano e lasciando al di là dei binari la torre cisterna, unico resto della vecchia fabbrica di fiammiferi svedesi. Qui, anche il prete è un ex quadro del Pci, che lasciò il partito per il seminario. La chiesa, moderna, ha porte a vetro come un supermercato. Le scritte sui muri sono offese anatomiche rivolte ai livornesi (e qualcuna ai napoletani). Al circolo Arci i cartelloni pubblicizzano il premio di caccia Starna d’oro.
«Certo che rubiamo voti alla sinistra» dice il Barontini «in una regione rossa non possono che venire da lì. Da dove sennò, dal cielo? Passano alla Lega i lavoratori che si sentono abbandonati, specie in un periodo di crisi come questo. Vedono la sinistra dare tutte le attenzioni agli ultimi, agli extracomunitari, e dimenticarsi dei penultimi, degli operai italiani, che sono molto meno chic da difendere. Adesso mi accuserete di razzismo. Bene, allora racconto questa: sono qui a Putignano per finire il trasloco. I miei genitori sono anziani e li porto con me in Val di Cecina. Prima di riuscire a trovare l’appartamento, quattro che già mi avevano detto di sì mi hanno negato l’affitto dopo aver saputo che ero un dirigente della Lega. Non è discriminazione? E che dire del politico di Rifondazione che sul settimanale La Spalletta mi ha definito un cancro crescente, spiegando come da cellula sono diventato cellula maligna?»
Tutti quelli che entrano al circolo fondato dal nonno lo salutano. Chi non lo conosce, il Barontini, a Putignano? «E pensare che Antonio Dell’Omodarme, il presidente del circolo del Pd, mi ha fatto un discorsaccio e voleva darmi il veto, proibirmi l’ingresso. Mi hanno difeso i vecchi» dice. Uno si ferma, gli tende la mano e gli fa: «Andrea, se continuate così ci toccherà mettere le bandiere verdi anche a noi». Lui ride. Ce l’ha con la sinistra toscana («per loro ormai il potere è abitudine») ma non si fida troppo nemmeno di un Pdl indubbiamente infastidito dalla crescita leghista in riva all’Arno.
«Come qui mi chiamano il “leghista rosso”, quando vado in Lombardia o in Veneto mi chiamano il “leghista terrone”. E, in effetti, io padano non mi sento per nulla. Quando dico “Padania libera!” i leghisti toscani fanno un risolino. Allora grido “Toscana libera!” e lì sì che sulle bocche s’affaccia un sorriso soddisfatto.» Per lui, insomma, non ha gran senso tutto quel dibattito sui nuovi territori della Padania. «I confini? Non sono questo o quel fiume, questa o quella provincia. Non è geografia. Eccolo lì, il confine» e indica la porta del circolo Arci. «Vedi tutti quei vecchi che giocano alle carte? Io li conosco da quand’ero bimbo e loro non avevano ancora i capelli bianchi. Erano comunisti, e per fedeltà al partito hanno votato Pds e poi Ds e ora anche il Pd. Quando sono qua dentro, tutti assieme, mi chiamano “il Barontini” e dicono che “il Barontini è diventato fascista”, che “la Lega è il nuovo fascismo”. Poi superiamo il confine. E ognuno di loro che esce con me qui sulla piazza XXV Aprile a discorrere e a fumare, non fa neanche in tempo ad accendersi la sigaretta e già si guarda le scarpe. “O Andrea” mi dice “forse, ci avete proprio ragione voi…”.»
* Questo capitolo, qui aggiornato, è stato pubblicato con il titolo «Padania interiore» sul mensile Diario, XIV, n. 9, luglio 2009, pp. 32-35.
2. Un pratese a Bruxelles
Claudio Morganti, di Vaiano, è il primo eletto al Parlamento europeo nella storia del Carroccio toscano. Durante una festa di partito racconta ai militanti (un pisano amico di Bossi, un milanese trapiantato sull’Arno, una donna che ricorda quando tirava le molotov con D’Alema…) come Prato sia caduta nelle mani del centrodestra per la prima volta dal dopoguerra.
Il fascismo aveva imposto il voi. Anche il leghismo farà a meno del lei. «Ti racconto tutto, ma, per favore, diamoci del tu!» Sorriso. Stretta di mano. Eccolo qua Claudio Morganti, il primo eurodeputato eletto nella storia della Lega Toscana. «Noi non siamo i soliti politici che mettono in soggezione la gente. Niente cravatta, niente lei, niente affettazione. Al limite affettiamo del buon salame toscano. E io, alle feste di partito, aiuto sempre in cucina, anche a rimescolare la pulenda se serve. E la chiamo con la u e la d apposta, alla pratese.»
Ma qua non siamo a Prato, e di farina di granturco non è serata. A Marina di Pisa si mangia pesce, appena pescato sul piccolo molo che dà sull’estuario di Boccadarno. Il panorama è una serie di ristoranti di paranza e impianti per la nautica da diporto (assistenza e rimessaggio). E in un retone, come chiamano qui le baracche a palafitta sul fiume, c’è la festa del Carroccio pisano. Più che a una kermesse, questa festa del Lungarno D’Annunzio, assomiglia a una cena sociale. Stasera, più in grande stile, la Lega si dava appuntamento anche in Val Bisenzio (la valle appenninica che sale da Prato verso Vernio e la sua lunga galleria per Bologna); proprio a Vaiano, la patria di Morganti. Ma lui aveva promesso la visita agli amici pisani e ha mantenuto la parola. Del resto, Pisa è stata un laboratorio cruciale, alle amministrative del 2009. Grazie agli accordi regionali con il Pdl è stata la provincia scelta per una novità politica, a queste latitudini: un candidato presidente appoggiato sì da tutto il centrodestra, ma espresso dalla Lega. Ha perso al primo turno («per i miracoli ci stiamo attrezzando»), ma il 35,7% raccolto da Roberto Sala, un industriale milanese di 68 anni da quaranta trapiantato sull’Arno (vanta una certa confidenza con il Bossi della prima ora: si tesserò alla Lega lombarda nel 1987), non è stato un risultato da disprezzare in una terra ancora molto rossa. E neppure il 4,44% della sola Lega Nord, 9666 voti, considerando che alle precedenti elezioni (2004) non aveva trovato nemmeno le firme necessarie per far stampigliare il proprio simbolo sulla scheda elettorale.
«La mia storia?» si presenta Morganti. «Semplice e breve. Sono nato il 14 aprile del 1973. La famiglia? Comunista. Mi ricordo ancora mia nonna che piangeva per i funerali di Berlinguer. Grand’uomo. Le prime volte che ho votato, ho votato a sinistra. Poi ho scoperto un altro grand’uomo. Il nome? Umberto Bossi. Mi sono subito innamorato. Mi piaceva perché cantava in faccia al Sud, finalmente, la verità che tutti pensavamo da decenni: dovete imparare a camminare sulle vostre gambe. Siamo stufi di pagare per voi. Mi affascinava il federalismo. Quando vogliamo citare tre posti dove le cose vanno meglio che qui, pensiamo agli Stati Uniti, alla Germania, alla Svizzera. Tutti paesi federali… Sono entrato nella Lega nel 2004 e sono subito stato eletto consigliere comunale di minoranza a Vaiano. Allora, il centrosinistra al mio paese prendeva il 70%. Del resto, il Pci da solo, non era quasi mai sceso sotto il 60 finché è esistito. Stavolta, hanno vinto col 49,88%. Comunque, fui eletto nelle liste della Casa della Libertà, perché in quel periodo la Lega era sparita, in Toscana. Per piccoli scandali e grandi errori non c’era più nemmeno il segno in cabina elettorale. Ho deciso di impegnarmi per rifondarla. Nel 2005 sono diventato segretario provinciale di Prato. Il 7 dicembre del 2008, segretario nazionale toscano [le regioni italiane sono “nazioni” per la Lega, N.d.A.], eletto a maggioranza assoluta. A giugno del 2009 mi hanno spedito a Bruxelles. Insomma: a inizio 2004 non ero niente, a metà 2009 avevo un seggio all’Europarlamento. Veline ed escort escluse, una delle carriere politiche più fulminanti d’Italia, no?»
C’è nell’aria un vago odore ittico e il salmastro stacca il cemento dalle armature, profuma l’aria e fa fiorire la ruggine ovunque, specie sulle giunture delle biciclette pieghevoli Graziella, orgoglio degli anni settanta, qui ancora diffusissime. Sulla curva che porta alla Marina di Pisa, un cartello indica che sono appena sette i chilometri di distanza dall’odiata Livorno e un obelisco conserva una qualche memoria garibaldina. Su un pontile malconcio, un fotografo spinge più al largo una sposa in bianco per un’inquadratura migliore. Lei si spaventa per il tremolio delle assi: «Ma dove mi mandi? C’è scritto: NON ENTRARE. STRUTTURA PERICOLANTE!» grida. «E che fa? Matrimonio bagnato, matrimonio fortunato!» Risate, tutt’attorno. Due moli più su, verso il centro città, prosegue la Festa della Lega.
C’è anche il Barontini, che ha portato la moglie, la slovacca. «L’ho pure nominata responsabile per la Lega delle politiche sull’immigrazione nella Val di Cecina. Ulteriore dimostrazione che non siamo razzisti.» Lei sorride, comprensiva. Lui racconta di quando si sono conosciuti, a poche centinaia di metri da qui. Lei, con il padre, era venuta da Košice per prendere un po’ di sole italiano. Barontini racconta anche che sta facendo un sacco di tesserati, dalle sue parti, specialmente nella numerosa comunità sarda di Volterra e circondario. «Il perché, non te lo so dire.» Poi aggiunge che, a Putignano, una cosa importante se l’era scordata: «Mentre raggiungevamo quel clamoroso successo nei tre Comuni, il giorno stesso il risultato alle europee era bassino. Oddio, neanche male visto che partivamo da zero, ma insomma…». E tira fuori dal borsellino un foglio A4 ripiegato: «A Montecatini Val di Cecina il 4,40%, a Pomarance il 3,42, a Volterra il 2,55. In totale: 364 voti. La riprova, secondo me, che ha contato più il lavoro sul territorio che il cosiddetto voto di protesta».
Dalla Val di Cecina si è portato il suo braccio destro. «Braccio destro in tutti i sensi» ridacchia e occhieggia, per far capire il sottinteso. Alessandro Raffa, 28 anni, a differenza sua, non proviene infatti dalla sinistra ma è un deluso di An, che ha trovato nella Lega «il rifugio dal tradimento di Fini, che ormai parla come un comunista». Raffa ha preso con impegno quasi fanatico il ruolo di «coordinatore e addetto stampa» del partito nella sua circoscrizione. Ha una fede sconfinata nel proselitismo via Facebook e odia soprattutto due tipi umani. I sindacalisti («difendono solo i garantiti») e gli stranieri. «Sarei per la soluzione finale. Cioè… sia chiaro, in senso figurato…» Prima di ributtarsi nella lotta contro le lische del pesce che ha nel piatto, confessa altre due cose che ha capito sul campo. «Ci siamo accorti che vale più una bacheca di un articolo su La Nazione. La gente legge poco i quotidiani. I giornali funzionano per chi punta ai voti dei professori o degli impiegati di un certo livello.» E poi: «Stiamo crescendo a macchia d’olio nelle fabbriche, tipo alla Piaggio, perché ci siamo resi conto che per parlare agli operai bisogna ridurre il divario. Inutile mandare là i dottorini colti, come fa la sinistra. È come avere il computer guasto. Non ti serve a nulla che ti arrivi a casa un ingegnere informatico da 110 e lode. Hai bisogno di uno pratico, che viene col cacciavite e capisce subito il problema».
La tavolata è un cerchio cromatico di camicie, maglie e vestiti di verdi non proprio regolamentari. Si va dal pisello allo smeraldo. «Abbiamo parecchi problemi» riprende Morganti. «Il primo è la penuria di fondi. È un peccato, perché in Toscana le potenzialità per la Lega sono grandissime, ma siamo costretti a fare le nozze coi fichi secchi. La mia politica, comunque, è stata quella della responsabilizzazione. Ho cercato di dividere ogni provincia in zone che, man mano, con la crescita del partito, diventeranno i singoli comuni, e di darle in mano a un responsabile che deve fare il più alto numero possibile di tessere e rendere conto continuamente dei frutti della sua azione (i tesserati erano 750 quando ho preso le redini del movimento, a fine 2008. A fine 2009 siamo arrivati a 3000. Il 2010, sono sicuro, vedrà una crescita ancora più vivace). Non faccio sconti a nessuno. Le europee e le amministrative del 2009 sono state un successo. Ma, subito dopo lo spumante, mi sono messo a tavolino e ho visto che Firenze e Livorno avevano avuto risultati deludenti rispetto alla media e alle aspettative. Ho commissariato subito entrambe. Non voglio sentire più dai coordinatori locali discorsi del tipo “la mia zona è difficile”. Tutta la Toscana è difficile, ma gente competente, che sa portare il consenso, non deve nascondersi dietro questi alibi. Alle regionali del 21 marzo 2010 vogliamo superare il 6,5% che ci danno i primi sondaggi (pensare che nel 2005 ottenemmo l’1,27 e nel 2000 lo 0,57…) e centrare un risultato storico: entrare per la prima volta in Consiglio regionale a Firenze. Se riusciamo ad avvicinarci all’8% possiamo addirittura sperare di eleggere due consiglieri e formare un nostro gruppo autonomo. Ma per farlo non dobbiamo avere province ad handicap. Non siamo più un partitello da voto disperso. Abbiamo bisogno di persone competenti, magari di cultura, in grado di parlare alla gente.
«E tutto questo sapendo che il Pdl in Regione inciucia col Pd e ha cercato di metterci il bastone fra le ruote. Quando si è trattato di introdurre uno sbarramento di ingresso, tra luglio e agosto 2009, ha proposto il 5% (con esponenti che chiedevano il 7 e addirittura il 15), contro il 3 del Partito democratico. Alla fine è passato il 4. Non ci spaventa. Abbiamo avuto il 4,32 alle europee e tutti i segnali ci danno in forte crescita. Anche se questa volta non potremo più giocare sul fattore sorpresa. Nel 2009 ci avevano preso tutti sottogamba.»
Alla sinistra di Morganti, che siede a capotavola dando le spalle all’Arno, c’è Giulio Cesare Susini, detto Perollo o Perollini. Classe 1942, è considerato uno degli «importatori» della Lega in Toscana, essendosi appassionato alla causa alla metà degli anni ottanta, quand’era rappresentante del Calzaturificio di Varese. Anche lui vanta una certa confidenza con il Bossi delle origini, di cui ripete spesso di essere stato, per un anno, vicino di casa, su in Lombardia. Perollo, che è il responsabile di Pontedera e porta i quasi duecento leghisti tra gli operai della Piaggio come un fiore all’occhiello, chiede al segretario garanzie e riconoscenza per i vecchi, per quelli della prima ora. Morganti annuisce, ma in verità, nelle sue concretissime linee guida alla dirigenza («del resto sono un contabile») sembrano esserci pochi spazi per i romantici amarcord dei pionieri.
Alla sua destra siede invece Sala, quello che è stato candidato alla Provincia di Pisa. Intavola un discorso sull’immigrazione. Come la pensa non lo aveva certo nascosto in campagna elettorale. «Vogliamo far entrare tutti qui? Ma che se ne stiano a casa loro! In Africa non è mai morto nessuno di fame: l’Africa non è solo il deserto che ci fanno vedere.» E a un giornalista di Pisa Notizie aveva spiegato: «Vuole degli esempi? La Rhodesia, che ora si chiama Zimbabwe, era il granaio dell’Africa: adesso si trova in condizioni di estrema povertà perché c’è un dittatore. Il Ruanda è come la Svizzera: ci sono montagne, boschi, è un posto bellissimo. È stato devastato dalla guerra. La Nigeria ha una ricchezza di petrolio immensa. Noi siamo solidali, ma bisogna aiutarli a casa loro».
Morganti conduce fin dall’inizio una lotta senza quartiere contro la legge «sull’accoglienza solidale» della Toscana, la numero 29 del 9 giugno del 2009, che ha dato origine anche a un conflitto di competenza Stato-Regione. Non usa mezze parole: «È una legge vergognosa. Prevede l’accesso a dormitori e mense pubbliche a chi non ha il permesso di soggiorno, l’assistenza...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Prefazione di Enrico Deaglio
  3. PRIMA PARTE. Toscana
  4. SECONDA PARTE. Emilia-Romagna
  5. TERZA PARTE. Marche e Umbria
  6. Ringraziamenti