
- 182 pagine
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Propaganda Fide R.E.
Informazioni su questo libro
Propaganda Fide, la chiave d'accesso al potere. Guido Anemone, Angelo Balducci, boss politici e sottosegretari fanno case, soldi, opere pubbliche e relazioni private. Le lobby del Vaticano premono sulla Santa Sede. Il cardinale Sepe ha fatto una scommessa: prima segretario di stato, dopo papa. Ha perso. Il cardinale Sodano difende il suo controllo finanziario sul Vaticano, dopo aver perso la carica: la partita è ancora in corso. E il papa? Subisce, partecipa, reagisce? La partita è sospesa.
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Informazioni
1. Leviatano a fin di bene
Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza! Quanto poco rispettiamo il sacramento della riconciliazione, nel quale egli ci aspetta, per rialzarci dalle nostre cadute! (CARDINALE JOSEPH RATZINGER – via Crucis 2005 – IX stazione)
Esci dalla metro di Piazza di Spagna, hai di fronte via Frattina, ora gira a sinistra, attraversa la piazza, entra nella via di Propaganda, e ti trovi sulla sinistra il Palazzo di Propaganda Fide. È sulle sorti di quel palazzo che si sta consumando uno degli ultimi atti di un’inchiesta che, partita per definire il «sistema gelatinoso» di corruzione che circolava attorno gli appalti per il G8 e non solo (sotto esame anche altri Grandi Eventi, come i Mondiali di nuoto a Roma del 2009), si è ritrovata a fare i conti con una serie di faccendieri, imprenditori, anche sacerdoti che, tra i vari favori, inserivano la distribuzione delle case di Propaganda Fide. A prezzo minore di quello stabilito. A volte a titolo gratuito. Altre volte in cambio di finanziamenti.
Riguardo a questo «sistema gelatinoso», l’ultima parola spetta ai giudici. Certo è che all’ombra del dicastero vaticano si è concentrata una congrega di poteri e di interessi senza precedenti. Sembra che la Chiesa sia tornata ai tempi dei Borgia, con la sola differenza che oggi i Borgia sono i laici. Probabilmente anche questo è un sintomo dell’«emergenza culturale» di cui parlano tanto Benedetto XVI e i vescovi.
La prima domanda che viene da farsi è: perché tutto è girato intorno alla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli? La risposta viene dalla stessa storia della Congregazione, una delle più antiche del Vaticano: nasce nel 1622, e il suo prefetto viene popolarmente chiamato Papa Rosso. Non è un caso. Si dice che venga chiamato così perché è un cardinale, e perché il potere che ha è praticamente illimitato. L’appellativo è venuto direttamente dal popolino, che, a naso, ha subito compreso che Propaganda Fide non era un dicastero vaticano come gli altri. Era un dicastero con una sua propria autonomia finanziaria. Ministero con portafogli, per dirlo in «politichese».
Ministero con portafogli che, nel XVII secolo, nasce per dirigere e coordinare tutta l’attività missionaria della Chiesa. La necessità era di essere indipendenti dalla tutela delle potenze coloniali cattoliche. La Chiesa non sta con nessuno, non sottostà a nessuno. Anzi, si organizza per evangelizzare in proprio. E lo fa alla grande, come ci si potrebbe aspettare dall’unica industria culturale che ha tenuto in piedi le città italiane durante e dopo il Medioevo. Crea la Congregazione, le affida un patrimonio, e le dà la giurisdizione su tutti i territori in cui le strutture ecclesiastiche sono ancora a un livello tale da non consentire la creazione di una diocesi. In questi casi, il territorio è suddiviso in vicariati apostolici, prefetture apostoliche o missioni sui iuris. Ma non solo. Propaganda Fide controlla e coordina le attività anche nei paesi in cui la presenza cristiana è più recente e meno radicata: l’Asia è completamente sotto l’ombrello di Propaganda Fide, con l’eccezione delle Filippine; l’Africa idem, con l’eccezione di Egitto e Tunisia; tutta l’Oceania, eccetto l’Australia. In totale, una torta di poco meno il 40 per cento del totale della Chiesa cattolica, quasi 1100 circoscrizioni controllate da Propaganda Fide. Che non solo invia missionari, finanzia scuole, predispone programmi sanitari, ma addirittura ha il potere di proporre vescovi. Detto ai più, sembra nulla. Ma la proposta e la scelta dei vescovi è in grado di cambiare davvero la geografia della Chiesa nel mondo. È un lavoro di fino, nel quale chi seleziona i possibili candidati deve essere in grado di comprendere non solo la loro preparazione, ma anche la loro predisposizione a stare in quel territorio. Deve avere, insomma, l’occhio lungo. E non sempre ci riesce.
Quello della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli è un impegno ingente: coordina i circa 85mila sacerdoti impegnati nelle missio ad gentes, 52mila appartenenti al clero diocesano, 33mila religiosi, 28mila religiosi non sacerdoti, 450mila suore, un milione e 650mila catechisti. Chi si vuole fare sacerdote in terra di missione, passa dalle istituzioni di Propaganda Fide: 280 seminari diocesani, 110 seminari minori, con in tutto 110mila seminaristi. Che costano. Come costano le scuole, i lebbrosari, gli ospedali, le attività caritative e sociali.
Il denaro che la Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli fa girare è moltissimo. Da sempre. Ed è per questo che i papi sono stati lungimiranti: l’hanno dotata di un cospicuo patrimonio. Non solo immobiliare. Un patrimonio così importante da gestire tanto che, fino al 1908, è esistita una Congregazione dell’economia a guida cardinalizia. Oggi, Propaganda Fide è l’unico dicastero romano che ha due arcivescovi segretari: monsignore Robert Sarah, che coordina l’attività pastorale, monsignore Piergiuseppe Vacchelli, che si occupa dell’attività economico-finanziaria. La parte amministrativa è affidata al capouficcio, monsignore Nguyen Van Phuong Barnabé.
Comprendere il funzionamento della «macchina» vaticana può apparire esercizio noioso. Ma è assolutamente necessario per capire in che modo, intorno alla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, si sia formato un intrigo clerical vip tutto basato sul denaro e sullo scambio di favori. Al centro dell’intrigo, Angelo Balducci, gentiluomo di Sua Santità dal 1995. A girare nei sacri palazzi, è difficile comprendere chi abbia presentato Balducci e fatto sì che sia potuto diventare, come si legge nell’Annuario pontificio, «membro laico della famiglia pontificia»: tutte le piste portano al cardinale Sodano, segretario di Stato in quei tempi. Ma la sua appartenenza alla ristretta cerchia di Gentiluomini di Sua Santità dimostra che i suoi contatti all’interno del Vaticano erano buoni e ramificati già da prima. E che, in fondo, la vicenda di Propaganda Fide possa essere interpretata, in un modo o nell’altro, come un incidente di percorso. Un incidente di percorso da milioni di euro.
Sono molti i nomi dei comprimari in questa storia. Ma ci sono poche altre persone che riescono ad avere il peso e l’influenza di Balducci. In primis, Francesco Silvano, arrivato ai massimi livelli dei boiardi di Stato, ex dirigente della Stet quando la Stet controllava anche la Rai. Un controllo formale. Meno formale il controllo della Stet su Seat-MMP, la concessionaria pubblicitaria attraverso la quale Seat teneva in vita i giornali di partito e finanziava tutto l’Arco costituzionale. Agli albori della sua lunga carriera da boiardo di Stato è stato anche uno dei due amministratori delegati di Sip.
Silvano viene chiamato in causa da almeno un’altra persona chiave della vicenda: il cardinale Crescenzio Sepe, ora arcivescovo di Napoli, per cinque anni Papa Rosso. Sono queste le tre persone su cui ha fatto perno un intrigo che racconta di affari fatti nei salotti, nei circoli, negli ordini cavallereschi che sembrano essere solo onorifici, ma che mantengono tuttora un certo peso. C’entra molto di più la politica, nel senso di estensione di influenza e lotta per il potere, che non la Chiesa. E Propaganda Fide è un buon viatico da utilizzare per estendere la propria influenza. Specialmente durante gli anni della gestione di Crescenzio Sepe.
Chiese vuote, forzieri pieni
Sepe diventerà Papa Rosso attraverso un’accorta operazione di scalata di potere. Infatti racconta Sandro Magister sul blog www.chiesa.espressonline.it che, terminati i lavori come segretario generale del Comitato centrale per il Giubileo, Sepe si dà subito da fare per il nuovo incarico. Fa una manovra diversiva, piazzando Angelo Scelzo, un suo fedelissimo, al Pontificio consiglio per le comunicazioni sociali. Questo fa pensare che si miri alla presidenza. Ma Sepe mira più in alto. E ha molte carte da giocare.
È nella manica di Stanisław Dziwisz, potente segretario di Giovanni Paolo II, ancora più potente in quegli anni, in cui le malattie avevano debilitato enormemente il papa polacco; ha alle spalle l’organizzazione del Giubileo, 250 eventi scaglionati durante tutto l’anno (in pratica, solo 110 giorni di riposo, in un anno che per la Chiesa ha rappresentato uno dei massimi momenti di visibilità della storia), un successo mediatico e di organizzazione; è sponsorizzato da Mario Agnes, fratello di Biagio Agnes, ex presidente della Stet, protettore di Silvano e direttore dell’Osservatore Romano, per almeno due motivi: il primo è che è stato Sepe a proporlo alla guida del quotidiano vaticano, il secondo è che i due si conoscono da anni, sono originari della stessa zona della Campania. Ha il sostegno di suor Tekla Famiglietti, superiora generale delle Suore Brigidine, amatissime da Giovanni Paolo II e da Dziwisz (sempre lui!) per il lavoro che hanno fatto in Polonia durante gli anni del Comunismo.
C’è bisogno di un successore del cardinale Jozef Tomko alla guida della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli: sostituzione fisiologica. E c’è bisogno, dopo i grandi esborsi dalle casse vaticane per il Giubileo, di tesaurizzare in qualche modo. Chi, se non il brillante Crescenzio Sepe, uomo-macchina, dai collaboratori preparati e le amicizie trasversali, è più indicato a prendere in mano il dicastero?
Sepe, e così sia. È il 2001 quando Sepe diventa Papa Rosso. Ed è per lui il preludio di una scalata che lo può (lo deve) portare verso la Segreteria di Stato, appena un gradino sotto il papa. Dalla sua ha l’appartamento papale e l’età di Sodano, che da circa 15 anni governa le sorti della diplomazia vaticana, ma che va verso l’età della pensione. È il momento buono per farsi notare. E per stringere ancora più relazioni.
Ma la prima grana con la quale si trova a combattere il cardinale è appunto la gestione del patrimonio economico. Come si sia sviluppato nel corso degli anni, lo ha spiegato la stessa Sala stampa vaticana, in un comunicato del 28 giugno 2010:
La Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli ricava le sue risorse principalmente dalla colletta della Giornata missionaria mondiale, interamente distribuita tramite le Pontificie Opere Missionarie nazionali, e, in secondo luogo, dai redditi del proprio patrimonio finanziario e immobiliare. Il patrimonio si è formato nel corso dei decenni grazie a numerose donazioni di benefattori di ogni ceto, che hanno inteso lasciare parte dei loro beni a servizio della causa dell’Evangelizzazione.
Le Pontificie Opere Missionarie sono quattro: l’Opera della Propagazione della Fede, fondata a Lione da Paolina Maria Jaricot nel 1822; l’Opera di San Pietro apostolo, sorta a Caen nel 1899; l’Opera della Santa Infanzia, fondata nel 1843 dal vescovo di Nancy, Charles de Forbin Janson; l’Unione Missionaria, fondata dal Beato Paolo Manna nel 1916. Lo sforzo di riorganizzazione delle Opere Missionarie, sotto la gestione Sepe, è dovuto a Silvano Rossi, che è stato presidente delle P.O.M.
Un personaggio sul quale torneremo.
Da lì viene parte dei fondi. Altri fondi vengono dal patrimonio immobiliare, che si dice vastissimo, che qualcuno valuta intorno ai nove miliardi di euro (vedi Appendice). Si tratta soprattutto di palazzi nel centro storico di Roma e nei dintorni del Vaticano. Palazzi di pregio, affittati per anni a un canone di favore. Come siano entrati nel patrimonio di Propaganda è difficile ricostruirlo. Ma è anche abbastanza semplice immaginarlo: in parte erano stati destinati dai papi, nel XVII secolo all’allora nuova congregazione, in parte sono derivati dai lasciti di fedeli facoltosi o di ascendenze nobiliari. Niente di strano, il legame tra la Chiesa e il cosiddetto «generone» romano (la nobiltà di Roma) è sempre stato fortissimo, suggellato dal fatto che il trono papale per secoli è stato terra di conquista delle famiglie più nobili. Poi ci sono gli investimenti, accumulati negli anni: normale, per un organismo che ha continuamente bisogno di finanziarsi. E gli investimenti più sicuri, da sempre, riguardano il mattone.
Si tratta di proprietà che lo Stato sabaudo aveva sequestrato al Vaticano nel 1861, e che poi sono state restituite con i Patti Lateranensi del 1929. Non è un dettaglio di poco conto: Propaganda Fide è l’unico dicastero vaticano ad avere una propria autonomia economica, ma – di base – come tutti i dicasteri deve portare i suoi bilanci all’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (Apsa). In una sorta di «banca centrale del Vaticano». C’è autonomia, fortissima, ma assoggettata a dei meccanismi di controllo, perché di fatto è l’Apsa stessa a detenere tutto il patrimonio vaticano. L’Apsa fu costituita dopo i Patti lateranensi proprio per incamerare i beni restituiti alla Chiesa, ed è divisa in fondo ordinario e fondo straordinario. Nel fondo straordinario vanno, ovviamente, tutti quei patrimoni soggetti a una gestione particolare. Come quello di Propaganda Fide. La cui autonomia economica è ribadita nella Costituzione Pastor Bonus, del 1988, all’articolo 92:
La Congregazione amministra il suo patrimonio e gli altri beni destinati alle missioni mediante un suo speciale ufficio, fermo restando l’obbligo di renderne debito conto alla Prefettura degli Affari economici della Santa Sede.
I bilanci restano all’interno delle mura del Vaticano. Sono bilanci che contano milioni e milioni di euro. Ma, proprio per la particolare natura della Congregazione, sono bilanci sui quali il prefetto può agire con una certa discrezionalità : basta che non siano in rosso, e la Prefettura approva. È su questo margine di discrezionalità che «la congrega» vaticana può agire.
Grandi Eventi, grande greppia
L’inchiesta Grandi Eventi prende le mosse dall’assegnazione degli appalti per il G8 alla Maddalena. I protagonisti della vicenda sono tutti caratterizzati da una certa ambiguità . Diciamo pure trasversale. Ottengono i loro contatti nei salotti, e non solo quelli vaticani. Si fanno avanti attraverso un sistema di favori. I giudici parlano di corruzione «gelatinosa».
Prendiamo confidenza con i personaggi. Al centro, l’imprenditore Diego Anemone, titolare della ditta Anemone Costruzioni Srl: è lui che distribuisce i favori, e le sue ditte ottengono, negli anni duemila, il sestuplicarsi del fatturato fino a toccare quota 70 milioni. Legato ad Anemone (è lui che lo raccomanda, specialmente in ambienti vaticani) è Angelo Balducci, ex presidente del Consiglio superiore dei Lavori pubblici. Spostiamoci in Toscana. Ci sono l’ex provveditore alle Opere pubbliche della Toscana Fabio De Santis, l’ingegner Mauro Della Giovampaola delegato alla gestione del G8 alla Maddalena, oltre ad alti funzionari che assegnavano gli appalti pubblici. Questi i protagonisti della prima tranche dell’inchiesta.
Altri protagonisti: Achille Toro, ex procuratore aggiunto di Roma; Guido Bertolaso, capo della Protezione civile; Claudio Rinaldi, commissario per i Mondiali di nuoto; il commercialista Stefano Gazzani; l’architetto Angelo Zampolini; il generale della Guardia di finanza, Francesco Pittorru; l’imprenditore Francesco Piscicelli e l’avvocato Guido Cerruti.
Comparse ancora più marginali (vengono toccate solo in un filone dell’indagine): Flavio Carboni, faccendiere di chiara fama, il cui nome salta fuori in qualunque affare, il coordinatore del Pdl Denis Verdini, e il presidente della Regione Sardegna Ugo Cappellacci.
Nomi noti e meno noti. Ma tutti in qualche modo legati. All’inizio è un piccolo terremoto. Il ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi fa sapere che «gli è capitato di utilizzare le imprese di Diego Anemone, ma soltanto per trascurabili lavori nella casa di campagna nei pressi di Parma».
Si scoprirà che non è così: Anemone viene chiamato in causa da Lunardi per la ristrutturazione del Palazzo di via dei Prefetti, la casa in montagna a Cortina d’Ampezzo, l’ufficio di via Parigi e l’appartamento in via Sant’Agata dei Goti, venduto nel 2004 da una società del figlio di Lunardi a Iniziative Speciali Srl, della madre di Claudio Rinaldi (il commissario per i Mondiali di nuoto).
Claudio Scajola, ministro dello Sviluppo economico, afferma di non sapere chi fosse «questo Anemone». Sarà Anemone stesso a smentirlo, ammettendo un pagamento di 900mila euro in nero per l’acquisto del suo appartamento al Colosseo. Anemone si è occupato anche dell’ufficio del ministro di via Molise e ha effettuato anche lavori per la sede del ministero senza portafoglio dell’Attuazione del programma in via Barberini 38. Circostanza che aveva fatto pensare a un altro collegamento con Scajola. Ma Scajola non ci ha mai messo piede né ci ha mai abitato.
Guido Bertolaso, capo della Protezione civile, si dimentica persino di raccontare dei rapporti professionali intercorsi tra sua moglie, Gloria Piermarini, e Diego Anemone, e ne fa cenno solo nella conferenza stampa a palazzo Chigi, nella quale svela che sua moglie era stata incaricata dal costruttore di ridisegnare il verde del Salaria Sport Village.
Il lavoro, per il quale l’architetto avrebbe incassato 25mila euro, è stato «interrotto» dice Bertolaso «quando si seppe che Anemone sarebbe stato beneficiario di appalti da parte della Protezione civile». Ma Bertolaso fa queste dichiarazioni in qualche modo «forzato» dalle circostanze, appena gli avvocati lo avvisano che è stato depositato un verbale che ne parla, e rischia che la sua «copertura» stia per saltare. Sono momenti di agitazione, per Bertolaso: Gian Marco Chiocci del Giornale è il primo a scoprire l’esistenza del verbale. Vuole scriverne, Feltri risponde che no, si deve prima sentire la versione di Bertolaso. Chiocci lo chiama, gli offre di replicare. Bertolaso prende tempo un giorno. «Darò un’intervista esclusiva al Giornale» dice. Ma il giorno dopo convoca una conferenza stampa e rivela tutto.
Sono molti i lavori intestati a Bertolaso nella cosiddetta «lista Anemone». Una lista difficile da utilizzare...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Introduzione
- 1. Leviatano a fin di bene
- 2. Sacre amicizie
- 3. Ombre cinesi
- 4. Incroci pericolosi
- 5. Un intreccio clerical vip
- 6. Partita doppia
- 7. Sviluppi futuri
- 8. Come un agnello in mezzo ai lupi
- Appendice