Il tuo nome sulla neve (Gnanca na busia)
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Il tuo nome sulla neve (Gnanca na busia)

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Il tuo nome sulla neve (Gnanca na busia)

Informazioni su questo libro

Settant'anni, molti ricordi, un solo amore. Può capitare che si perda quell'unico amore e che venga voglia di scrivere. Per sanare la ferita, sfogare la rabbia, colmare il tempo vuoto. Si riempiono fogli, quaderni, ma la carta non basta ancora. Allora capita di aprire un armadio e di prendere un lenzuolo bianco dal corredo, uno di quelli che non si useranno più per riposare, per amare. E ci si rovescia sopra tutta una vita. Si torna alle origini, umilissime, quando si andava a scuola solo d'inverno, con gli zoccoli ai piedi e un cappotto rammendato. Quando si mangiava solo polenta, ché di pane ce n'era poco. Nel resto del tempo bisognava lavorare la terra, seminare, raccogliere. E prepararsi alla guerra, con lo straniero in casa, le tessere al mercato, i muri crivellati, la paura delle bombe e del padrone. Ad alleviare la fatica, l'amore per i figli, quelli allevati e quelli persi. E per un ragazzo dagli occhi azzurri, conosciuto a quattordici anni e sposato a diciotto. Questa è la storia semplice e straordinaria di Clelia Marchi, «gnanca na busia». Quando il marito muore in un incidente, Clelia è già anziana e su un lenzuolo a due piazze inizia a trascrivere la storia della sua vita, distillata in righe numerate, perché non si perda nulla di quel racconto «sul filo della sincerità». Grazie all'Archivio diaristico nazionale, quel lenzuolo è diventato un libro. Il tuo nome sulla neve nasce da una scrittura di sé che diventa terapia e, insieme, testimonianza di una civiltà contadina sempre più remota. Ed è la realizzazione del desiderio di Clelia di vedere letta la sua storia, che sentiva simile a quella di molte altre donne, eppure esemplare.

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scritta
[1] Care Persone Fatene Tesoro Di Questo Lenzuolo Chè C’è Un Pò della Vita Mia; è Mio Marito; Clelia Marchi (72) anni hà scritto la storia della gente della sua terra, riempendo un lenzuolo di scritte; dai lavori agricoli, agli affetti, dai filos,
[2] alla qucina, agli affetti, e alle feste popolari: À scritto tutta una storia; una avventura, nei sacrifici, nelle sofferenze di ogni giorno; ogni riga si svolge sul filo della sincerità: come pure il titolo del mio lenzuolo libro: (Gnanca nà busia) non o raccontato: gnanca nà busia nè par mi; nè ai lettori!!!
[3] Là nostra vita. Mi, ricordo dà piccola eravamo in tanti frattelli: la mia mamma lavorava tanto per mandarsi a scquola, iò andavo à scquola solo d’inverno; perchè la mia mamma doveva andare à lavorare altrove… e io à qurare i miei frattelli più piccoli di mè, però non c’era neanche un gioccattolo: proprio nò!
[4] giocavamo con dei sassolini, della terra, facevamo piattini, tavolini, palline ecc. ecc… un pò insegnavo ai miei frattelli à fare il compito quelli più piccoli di mè; mà avevo poco dà insegnarci; perchè andavo poco à scquola anch’io, solo d’inverno con un paio di zoccoli, e un palettò di due colori fatti in una sottana di mia mamma;
[5] e un paio di pantaloni vecchi del mio papà, sembrava l’arlecchino; quando si andava à casa da scquola non si andava à giocare: si faceva le calze ò scapinelle per i miei frattelli; ò pizzo: la mia mamma mi dava un grosso gomitolo di canapa, e così si lavorava anche essendo molto piccola… eravamo in famiglia con i
[6] miei zii, era lei che comandava à tutta là famiglia, lei non aveva figli, e così diceva io non faccio differenze à nessuno; ma essendo una famiglia numerosa e poco da, coprirsi: le donne: ò le mamme di noi bambini: si sgridavano frà di l’oro; ma se arrivava la mia zia, le diceva non vi vergognate à sgridare che siete cariche di
[7] figli: lè discqusioni finivano là; tanti figli da qurare, e stare alzati fini à tarda ora à filare per fare le lenzuola: anche spesso le 2 dopo mezzanotte, tutti i giorni erano uguali, il mio papà teneva là contabilità del padrone che aveva molti terreni; la mia mamma era molto timida, ma di una belezza rara; à tanto lavorato per noi figli, al mattino si
[8] alzava presto à lavare gli stracci dei miei frattelli fatti di pipì, rompeva il ghiaccio con una zappa, poi con una banca di legno, à due piedi la calava nel fosso, e così lavava gli stracci, che si assiugassero per il giorno successivo, al mezzo giorno facevamo una polenta: la fuori: fare fuoco con i malgheri, che erano le piante del frumentone; dopo mezzo giorno verso sera:
[9] le mamme si davano dà mangiare polenta è un mezzo ficco, era la cena quella, poi tutti à letto, guai se veniva à casa gli uomini se cera un bambino alzato (gli uomini erano tutto) per scaldare il letto doperavano delle braccie di costoni, quelli del frumentone, e bruscola che era la legna di fasine sottili, quando eri di sopra c’era solo cenere calda: che l’ò scaldino era una
[10] lattina quella delle sardelle ò un vaso da notte rotto: pochi avevano le padelline per scaldare il letto: che vita conomica, due paia di calze anche troppo, si aggiustava delle cosse orribili; sempre quei stracci e difronte non c’era di meglio: quanto si é sofferto nella vita; poco pane: solo la polenta era là bondanza dei poveri; poi successe la guerra: mio papà dovette andare in guerra…
[11] pensate là mia mamma: c’è rimasto solo noi figli: quelli un p’ò grandi à casa da scquola per prendere il posto del nostro papà, per mangiare: la mia zia non le dava mai niente à mia mamma; che il mio papà lé davano un piccolo stipendio per noi figli, ma era la mia zia ché lì andava à prenderli; poi mio papà à voluto una foto di noi figli, con mia mamma…
[12] invece è venuta mia zia: quando il mio papà à visto che non c’era la mia mamma! Era lei la comandante: si andava d’accordo per forza!! La capa famiglia era tutto: (mà!! mà!!) Non avevano mai un soldo le mamme: neanche per comprare il lucido per gli zoccoli: (Povera mamma) prendeva un pò di palia le bruciava: poi il bruciato lò metteva in una vaso da pomodori.
[13] con un pò di olio dà carretto quello nero; l’ò mescolava quello era il lucido: e così tirava avanti, con dolori, lavori, sacrifici per aiutare noi figli: con il passar del tempo venne à casa mio papà dalla guerra; dopo un pò anno fatto due famiglie: mio papà ancora contabile sotto al padrone; e le dava di più di quanto prendeva: prima; le condizioni migliorarono: noi si incominciava
[14] à diventare grandi: si lavorava da quel padrone; dove il nostro papà era contabile! Si incominciava stare un p’ò meglio: ma contenti non ci si sta nessuno, quando ò compiuto (12) anni mi è morto una sorella di (10) anni; i miei genitori à lavorare con tanto dispiacere; pure eravamo in tanti chè avevamo bisogno dei nostri genitori: di tanto, in tanto di più si creseva, e di più si voleva
[15] aiutare ai genitori: Io quando ò compiuto quattordici anni, andavo dietro alla macchina del frumento à lavorare: ò legare la paglia: ò bottole quando venivano fuori dalla pressa; però sempre intorno dove abitavo, perchè se andavo dove, non mi conosevano non mi prendono perchè ero troppo giovane e il padrone pagava là multa; però li intorno mi anno sempre chiamato; infilava uno due
[16] due fili di ferro nella pressa con un ago apposta: e io dà l’altra parte li tiravo e li legavo, ci sono andata per un bel p’ò di tempo: Però una volta che ci sono andata a legare la paglia: non avevo visto chi c’era da l’altra parte della macchina: o chi mi all’ungava il filo di ferro; ò guardato, era un uomo bello, biondo, con gli occhi azzurri; si stava alla macchina fino à mezzo giorno, poi al mezzo
[17] giorno; quando à mezzo giorno la macchina si fermava: e si andava a lavare là dalla pozza: che intorno c’erano i mastelli per risiacquare i panni; quando si lavava io andavo sulla solia del pozzo à tirare l’acqua; avevo (14) anni e riempivo i mastelli; per lavarsi tutti quelli della macchina, ò adetti alla macchina, c’erano anche 60 persone: non vedevo quel uomo che infilava il filo di ferro
[18] con me, io continuavo à tirare sù l’acqua, con due secchi di legno; una andava giù, è una tirava sù; nel rovesiare l’ultimo secchio di acqua, lè ò rovesiata quasi adosso: le ò detto mi dispiace; ma non vi avevo visto; lui si è messo à ridere; dopo .6. mesi è venuto ad abitare proprio dove abitavo io; veniva à lavorare dal mio papà che era gastaldo del padrone: io le davo del voi; perchè
[19] perchè io ero una bambina di fronte à lui; io avevo (14) anni e lui (25) ma io non avevo mai pensato; che quel bel ragazzo che avevo visto per la prima volta alla macchina; mi domandasse di fare la more; le ò detto se lo sa la mia famiglia; che voi siete vecchio: mi disse ma se ti piacio, parleremo di nascosto e quando avrai compiuto .16. anni si sposeremo; ma chi pensava
[20] à sposarsi: veniva tutti i giorni in casa mia à lavorare con il mio papà: d’inverno fare lé scope, e spazzolini di piumi per pulire i mobili del padrone; in granaio à girare il grano; nelle stalle d’inverno per fare le stroppe per legare le viti alla primavera: e così era per sempre in casa mia; ma io non le parlavo: un giorno le dissi il mio papà andate in
[21] granaio à girare il frumento; e con mé à detto tu vai a scopare e così ubbidì; il ragazzo à detto con mé, aspetti che passo: lé ò detto passate pure; c’erano i miei frattelli: e mi disse perchè non mi dai del tù?? Perchè voi siete vecchio… si vedevamo tutti i giorni e di nascosto mi diceva, mi diceva non dirlo à nessuno che ti ò detto che quando ai .16. anni ti sposo. Lui andava
[22] in giro ma io nò; qualche volta con le mie amiche: e così passarono i bei .2. anni. Erano arrivati i .16. anni e così abbiamo incominciato à farsi vedere: mio frattello più grande mi vidi incominciai à sgridarmi che ero alla fiera e lui da l’altra parte: mio frattello alla mattina l’ò disse al mio papà: sai con chi era à spasso la tua bambina?? Cosa? Cosai detto? La tua
[23] bambina passeggiava con quel ragazzo che viene qui per casa; mi disse non vorrai quel ragazzo lì, che è tanto sottile che se cade si rompe le gambe; io non sapevo come comportarmi; e di li incominciò il nostro amore libero, erano .2. anni che si guardavamo, qualche parola, qualche sorriso, nessuno se ne era accorto; solo un ragazzo mi disse l’ò so che viene quel
[24] ragazzo che lo chiamavano Precisin; perchè era tanto bravo: preciso, ordinato, intelligente, e via, via tutti l’anno saputo. – Io stavo diventando mamma; tutti l’anno saputo, poco dopo siamo scappati: e al mattino sono andata à taliare dei malgheri; con mio cognato mi à preso sù la canna della bicicletta da uomo > Quale nozze, chi parlava di nozze allora…
[25] Poi dove sono andata erano più poveri di mé, mà i miei genitori non erano d’accordo di scappare: che in pochi anni avevano fatto un pò di soldi, e miei genitori sentir dire la figlia del gastaldo di Lanzoni è scappata con il suo dipendente! Così povero che non aveva neanche da cambiarsi; e così incominciai là vita matrimoniale, ma non c’era là suocera eravamo
[26] in tre donne o ragazze; io .16. anni, l’altra .19. e l’altra .21. fra tutte e tre non sapevamo niente ò poco; ma la comandante era mia cognata più vecchia era stata la prima andare in quella casa; il secondo giorno che sono scappata mi anno messo quoca, con così poco dà preparare, che à casa mia non mi mancava niente… mi anno fatto pulire i vetri, sono andata fuori da l’altra parte;
[27] del vetro con la mano, pensate che vergogna! E à mettermi à fare da mangiare che à casa mia non ne facevo mai, perchè andavo in campagna con le donne che venivano à giornata: e mio frattello con gli uomini che erano anche più di .60. persone al tempo della mietitura… e così si andava in campagna; era la mia mamma che faceva il mangiare, come ragazzina…
[28] Potevo fare i letti, i piatti scopare, la sfoglia, ch...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Prefazione. Carmen Covito
  3. Prefazione alla prima edizione. Saverio Tutino
  4. Il tuo nome sulla neve
  5. Poesie