La scienza del linguaggio
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La scienza del linguaggio

Informazioni su questo libro

Noam Chomsky è l'intellettuale americano più significativo degli ultimi cinquant'anni. Filosofoe pensatore politico, attivista nelle battaglie per i diritti umani, Chomsky ha costruito nel tempo un corpus imponente di scritti che spaziano dall'analisi dell'attualità statunitense alle ultime conquiste dell'intelligenza artificiale. Questi campi di indagine non hanno tuttavia distolto la sua attenzione da quella che rimane la costante più evidente del suo pensiero: la teoria linguistica, e in particolare la riflessione sull'origine, la natura e la funzione del linguaggio.In questo libro di interviste con James McGilvray – arricchito da un dettagliato glossario dei termini tecnici e da chiare appendici esplicative –, Chomsky ripercorre gli snodi centrali della sua teoria, secondo la quale il linguaggio è un sistema biologico evolutosi in un singolo individuo e in seguito trasmesso geneticamente alla sua discendenza. In questa visione, il linguaggio non è più un semplice strumento, ma diventa un elemento chiave della nostra natura. Anzi, è proprio il linguaggio a rivelare quanto c'è di autenticamente umano in noi enel modo in cui ci siamo evoluti.Con il tono persuasivo che da sempre lo contraddistingue, Chomsky parla in queste pagine– ideali tanto per chi vuole accostarsi per la prima volta al suo pensiero, quanto per chi desidera approfondirne i momenti fondamentali – del rapporto fra linguaggio e idee, dell'importanza della semplicità nell'elaborazione filosofica, del sapere e dell'apprendimento, e indaga con l'usuale lucidità e acutezza la relazione fra linguistica e politica, individuando il nesso che unisce due campi apparentemente così lontani in un impegno oggi più che mai urgente: quello per la libertà di ogni uomo.

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Informazioni

Appendici

Appendice I. Concetti-I, credenze-I e linguaggio-I

La nozione di linguaggio-I (I-language) fu introdotta da Chomsky (nel 1986) in parziale contrapposizione a quella di linguaggio-E (E-language). Studiare il linguaggio-E significa studiare il linguaggio «esternalizzato». Tra le forme possibili di esternalizzazione, la preferita dai filosofi è quella del linguaggio pubblico. Cos’è il linguaggio pubblico? David Lewis e Wilfrid Sellars, tra gli altri, presuppongono che la lingua sia un’istituzione condivisa dagli individui di una popolazione, insegnata con procedure formative con l’obiettivo di far conformare il bambino alle regole dell’uso della parola e della frase (per Lewis «convenzioni», per Sellars «pratiche») della propria comunità. Questo punto di vista, se assunto come base per la ricerca scientifica sul linguaggio, non ha alcuna speranza, per ragioni che riprenderemo nelle Appendici VI e XI. Tuttavia è il punto di vista che meglio corrisponde al linguaggio per come viene comunemente inteso.
Un altro approccio allo studio del linguaggio guidato dal concetto di linguaggio-E si trova in Quine: egli insiste sul fatto che non c’è «dato di fatto» se si deve decidere fra due grammatiche per «un linguaggio», purché esse siano «estensionalmente equivalenti». Per poterle così definire ognuna dovrebbe generare precisamente lo stesso insieme di frasi, dove per «frase» si intende una «stringa di parole». Per dare un senso a tutto questo, si deve poter identificare, per scopi di ricerca scientifica, una lingua con un insieme – infinito – di stringhe. Tuttavia, tale convinzione è errata, per numerose ragioni che diventeranno chiare nel prosieguo dell’esposizione. Essenzialmente, una lingua è un sistema interno – è nella nostra testa – che ha la capacità di generare, potenzialmente, un numero infinito di coppie suono-significato, laddove queste coppie vengono definite rifacendosi alla teoria che prevede una procedura ricorsiva che le può generare. Ciò che una persona effettivamente produce in vari contesti durante la propria vita è qualcosa di molto diverso: nella terminologia di Chomsky si tratta di un «epifenomeno» che non si può considerare oggetto legittimo di ricerca scientifica naturalistica.
Un altro modo di intendere un linguaggio «esternamente» è quello di concepirlo come un’entità astratta di qualche tipo, non posizionata nella testa, ma in un qualche regno astratto. Questa soluzione solleva, però, molte domande peculiari: che cos’è questa entità astratta? Dove si trova? Come la si acquisisce? Che ruolo gioca nella produzione parlata o in quella gestuale? In che cosa differisce dalla descrizione naturalistica dell’organo del linguaggio? E molte altre. Inoltre, se si dovesse scegliere tra una scienza naturale del linguaggio che ha prodotto buoni risultati (quella di Chomsky) e una proposta che manca di evidenze, di proposte teoriche serie, e di risposte plausibili alle domande sopra esposte, senza dubbio quest’ultima non sarebbe molto consigliabile.
Un approccio diretto al linguaggio-I, al contrario, è uno studio del linguaggio interno, cioè che si trova «nella mente/cervello». Qui «I» sta per «individuale, interno, e intensionale» – e si potrebbe aggiungere «innato e intrinseco». Questo approccio presuppone che l’obiettivo della scienza del linguaggio sia un sistema interno alla testa di una persona, uno stato (sviluppato, maturato) di una «facoltà mentale» che può essere indagata utilizzando i metodi delle scienze naturali, che – tra altre cose – idealizzano e offrono ipotesi naturalistiche ed empiricamente sostenibili. Offrire un’ipotesi significa fornire una teoria su cosa sia questo sistema interno. Inoltre, poiché il linguaggio-I di un individuo è uno stato sviluppatosi a partire da una condizione iniziale universale (chiamato GU), si è tenuti a pensare al linguaggio-I come a un «organo» biologico maturato/sviluppato nella mente/cervello di una persona, e a concepire la scienza del linguaggio nella forma di una teoria computazionale del sistema interno, una versione astratta della sua biologia, e quindi, per l’appunto, come un linguaggio-I. Una teoria naturalistica soddisfacente di un linguaggio-I non può limitarsi alla testa di una sola persona in una determinata fase di sviluppo e di accumulo lessicale. Piuttosto, una scienza del linguaggio adeguata tanto al livello descrittivo quanto a quello esplicativo è una scienza che descrive e spiega la crescita e gli stati finali biofisicamente possibili di un sistema interno alla testa. Per sviluppare una comprensione teorica di un tale sistema, di qualsiasi linguaggio-I specifico, l’unico modo è costruire una teoria che li comprenda tutti. Ciò richiede una teoria che ipotizzi uno «stato iniziale» prefissato biofisicamente (la GU). Con la teoria della GU e con adeguate descrizioni teoriche di come l’esperienza, la biologia e gli altri sistemi naturali condizionano uno sviluppo da uno stato iniziale a uno stato finale stabile, avremmo un modo per descrivere lo sviluppo di qualsiasi linguaggio-I. Per questo motivo lo studio del linguaggio incentrato sul concetto di linguaggio-I è intensionale (intensional): la teoria dice che cosa una lingua può essere, e stabilisce che qualsiasi linguaggio biofisicamente possibile è un sistema ricorsivo nella testa, non un insieme di frasi «là fuori», che si tratti di un insieme di pratiche di una popolazione, di un insieme di stringhe, o di un’entità astratta. La scienza del linguaggio offre una teoria formale del sistema e dei suoi stati possibili; in tal modo, essa specifica con una funzione formale o matematica lo stato sviluppato della facoltà del linguaggio di qualsiasi persona, una facoltà che prende parole (definite teoricamente) come input e produce espressioni/frasi (definite formalmente) come output. La funzione è specificata «sotto intensione», non (per assurdo) enumerandone gli (infiniti) output. Dunque un linguaggio{-I} è interno; è anche individuale (si pensi allo stato raggiunto da ogni persona, a partire dalla facoltà del linguaggio universale, come a qualcosa di simile a un idioletto, anche se questo non è il miglior termine da usare in questo caso); ed è intensionale. È anche innato, in virtù di un presupposto, ossia che il linguaggio è un sistema biofisico, un presupposto la cui bontà è garantita dal successo che hanno avuto le teorie biofisiche del linguaggio. Ed esso e le sue proprietà non vengono studiate nel loro rapporto con qualcos’altro «là fuori», ma nei termini delle loro proprietà intrinseche. Questo è parte di ciò che Chomsky intende quando dice che il suo studio del linguaggio, incluso lo studio del significato linguistico, è «sintattico». Questo punto viene spiegato nell’Appendice XI.
Oltre ai linguaggi-I, si può parlare di concetti-I e di credenze-I, come Chomsky spiega nello scambio riportato qui di seguito:
JM: Concetto-I e credenza-I: che cosa sono?
NC: Be’, [-I] sta per interno, individuale, e intensionale, ove intensionale vale «definito dalla teoria»… Prendiamo me. Ho un modo di interpretare e pensare il mondo, di applicare le mie azioni eccetera. Non sappiamo davvero come funzioni, ma ci sono alcuni elementi che presumibilmente contribuiscono a plasmare i modi di pensare il mondo. Qualsiasi cosa essi siano, noi li chiamiamo concetti. È come quando Newton diceva che gli elementi più piccoli del mondo sono corpuscoli. Non so che cosa siano, ma ci devono essere. Quindi, qualunque cosa sia ciò che si trova lì in testa e viene utilizzato per modellare il nostro modo di concepire e percepire il mondo, quelli sono i concetti. E possiamo presumibilmente usarli per fare costruzioni più complesse, e quelli sono ciò che noi chiamiamo pensieri. Ora, verso alcuni di questi nutriamo un certo grado di fiducia, e li chiamiamo credenze. Ma che cosa essi siano è una domanda scientifica; si tratta di scoprire di che cosa è costituito il mondo.
«I», poi, significa semplicemente «io».
Ora, la spiegazione tipica è che queste cose, i concetti, le credenze eccetera, stiano fuori dalla testa delle persone, in una sorta di universo…
JM: Entità astratte alla Frege, forse…
NC: Non vedo alcuna ragione per credere a tutto ciò. In realtà, credo che, storicamente, molti di quei modi di pensare alle cose derivino dal fatto che le lingue usate sono per lo più l’inglese e il tedesco, lingue molto «nominalizzanti». L’inglese in particolare. Prendiamo la parola «credenza» (belief). In molte lingue non può essere tradotta se non con una parafrasi che coinvolge un verbo. Si tratta di concezioni inglesi che hanno controparti approssimative in altre lingue, che nella maggior parte non hanno niente di simile a «credenza», né parole per credere: hanno pensare. Prendiamo l’ebraico, per esempio. C’è una parola per io credo, e significa «ho fede». Se si vuole dire credo che stia piovendo, si dice penso che stia piovendo. E lo stesso nella maggior parte delle altre lingue. Ora, l’inglese va ancora oltre e nominalizza addirittura la nozione di [pensiero]. Se Wittgenstein e John Austin e gli altri ci hanno insegnato qualcosa, è per lo meno a non farlo.
JM: Per non parlare di alcuni filosofi del XVII e XVIII secolo. E immagino che il presupposto sia anche che gli individui – pensiamo, per esempio, a quelli di lingua inglese – non necessariamente condividono gli stessi concetti-I.
NC: Non più di quanto condividano la stessa lingua, o lo stesso sistema visivo. Non esistono né una vista inglese né un sistema visivo americano. C’è il mio sistema visivo[-I].
JM: Di nuovo, cosa sono le credenze-I?
NC: Qualsiasi pensiero riguardo il quale abbiamo una certa fiducia… Non sappiamo cosa potrebbero essere. Cioè, noi formuliamo la migliore ipotesi possibile, ma non la possiamo prendere troppo sul serio, non più di quanto si possano prendere sul serio i corpuscoli. Qualcosa c’è, ci sono alcuni elementi costitutivi, ma chi lo sa cosa sono?
Stavo leggendo la rivista Science ieri sera; c’è un articolo interessante sull’acqua. Sembra che la molecola H₂O sia una delle molecole più complicate a causa dei suoi diversi stati. Ci sono diverse angolazioni, legami differenti, strutture così diverse… [Ruan et al. 2004, Wernet et al. 2004, Zubavicus e Grunze 2004]. L’acqua assume configurazioni diverse a seconda di ambienti chimici diversi, con diversi angoli di legame, e diverse lunghezze di legame; si forma e riforma in varie configurazioni mentre è sottoposta a variazioni di temperatura, substrato, pressione ecc. Le sue proprietà di superficie o di «interfaccia» – quelle che svolgono un ruolo cruciale in tutti i tipi di processi, compresi quelli biologici e fisiologici – sono variabili e dipendono da numerosi fattori interni ed esterni. Si tratta di un oggetto molto complesso che, più avanzate sono le tecniche per il suo studio, meno fiduciosi diventiamo di capirlo! Quindi, ciò su cui i filosofi elucubrano quando per vari motivi identificano l’acqua con l’H₂O…
JM: … be’, nulla li fermerà.
NC: No.

Appendice II. I numerosi usi di «funzione»

Per capire meglio cosa c’è in gioco quando si parla di «funzione», è importante mettere ordine nei molti usi con cui il termine è utilizzato. Nel corso di queste Appendici, parlerò di quelle che sembrano essere le caratteristiche del pensiero di Chomsky sulla scienza, sul senso comune e sul nostro accesso al mondo attraverso i concetti che abbiamo a disposizione grazie al senso comune e quelli che possiamo creare nelle scienze. Anche se affronterò questi argomenti in modo più dettagliato in altre Appendici, li devo menzionare qui perché il termine «funzione» ha degli utilizzi nel campo delle scienze diversi rispetto al senso comune, e mischiare i contesti rischia di confondere gli usi del termine. I due ambiti hanno orientamenti molto diversi: servono a tipi diversi di progetto cognitivo umano. Il tipo di comprensione che si ottiene col senso comune serve agli interessi delle persone che devono agire per soddisfare i loro bisogni e desideri. A causa di questo orientamento, non sorprende che il senso comune e i concetti che esso mette a disposizione per capire il mondo e gli altri – i concetti espressi nelle lingue naturali – siano antropocentrici. Né dovrebbe sorprendere il fatto che le varie teorie metafisiche ed epistemologiche enunciate dalla maggior parte dei filosofi da Platone in poi siano antropocentriche. Si considerino, per esempio, l’universo di Aristotele con la Terra al suo centro, la filosofia del commonsense di Moore, Wittgenstein e «la filosofia del linguaggio ordinario», e le teorie, ancor oggi popolari, sul linguaggio come istituzione sociale, creato dall’uomo per servire i propri interessi epistemici, e trasmesso attraverso procedure formative. Le scienze – almeno quelle matematiche avanzate – si sono sviluppate lentamente nel corso dei secoli e hanno conosciuto successi crescenti nella lotta contro la forza del senso comune e del suo orientamento antropocentrico. Le scienze si orientano verso descrizioni e spiegazioni oggettive e, come gli scienziati del XVII secolo hanno presto scoperto, il quadro che esse dipingono del mondo e degli esseri umani è molto diverso da quello rappresentato nel senso comune.
La biologia, una scienza di particolare interesse per lo studio del linguaggio, sembra essere ancora in una (fase di) transizione; sembra dovere ancora un po’ di fedeltà al senso comune. La teoria di Darwin della selezione naturale (anche integrata con la genetica in quello che viene ora chiamato «neodarwinismo») e il concetto di adattamento rimangono in debito con ciò che Alan Turing e Richard Lewontin chiamano «storia» (history), non con le teorie formali matematiche di struttura e di forma e con i vincoli che esse impongono sia alle potenziali modifiche sia allo sviluppo degli organismi. In effetti, ci sono alcune versioni ingenue di selezione e adattamento che è difficile distinguere dalle versioni storicizzate del comportamentismo, un punto questo che Burrhus F. Skinner ha sottolineato nel suo Oltre la libertà e la dignità (1971). Chomsky critica la cosa nel testo principale delle interviste. Tuttavia è probabile che il ruolo esplicativo di «storia» (history) in biologia diminuirà. L’approccio evo-devo {evoluzione-sviluppo}, le scoperte che rivelano un massiccio grado di conservazione di materiale genetico in tutte le specie, il riconoscimento del ruolo cruciale del posizionamento dei geni e dei loro meccanismi di temporizzazione per spiegare la struttura e il suo sviluppo, oltre ad altri studi di biologia – tra cui i contributi di Chomsky alla biologia del linguaggio – hanno enfatizzato il ruolo delle altre scienze naturalistiche come la fisica e la chimica, e quello delle spiegazioni dei vincoli formali sullo sviluppo e sulla crescita che limitano la diversità delle forme possibili in modo naturale. Nel caso della biologia, troviamo vincoli alla struttura biologica e alle variazioni e alle modifiche possibili nei sistemi biologici, compresi gli «organi» mentali individuali. Ciò ha l’effetto di ridurre il ruolo della selezione nella spiegazione della struttura, rendendola meno importante: essa sceglie quali strutture sopravviveranno, e non lo fa sempre in modo efficiente, come sottolinea Chomsky nella nostra discussione del 2009 (capitolo 8). La selezione non crea né costruisce strutture in alcun modo interessanti; sono piuttosto dovute in larga misura alle restrizioni sopra menzionate imposte alle forme possibili. Per una panoramica delle numerose questioni coinvolte in quella che sembra essere una parziale detronizzazione del ruolo della selezione naturale nella spiegazione biologica, si veda il monumentale La struttura della teoria dell’evoluzione di Stephen J. Gould (2002). Si vedano anche le idee di Chomsky sul tema nel testo delle interviste, connesse a quelle contenute nella prima parte di Gli errori di Darwin di Jerry Fodor e Massimo Piattelli-Palmarini (2010).

1. Il senso comune e la funzione di interesse dipendente

Nella nostra vita quotidiana, crescendo da subito nell’ambiente del senso comune, noi pensiamo e parliamo delle funzioni delle cose, dei sistemi, delle istituzioni ecc. assegnando a queste cose funzioni diverse (spesso equivalenti a compiti, attività o ruoli). È difficile pensare a un’unica funzione delle cose, per come è concepita nella comprensione del mondo tipica del senso comune. L’acqua come viene intesa in certe occasioni è qualcosa che può essere usata per bere e placare la sete; in altre occasioni, è vista come qualcosa che serve a rinfrescarci, a irrigare le colture, a lavare, a diluire i superalcolici, a nuotare, a fare galleggiare le barche e così via. Si può ritenere che la funzione di un governo sia il fare buone leggi, ma anche soddisfare i bisogni umani, garantire diritti, controllare la violenza, impegnarsi nella difesa e così via. Parole e frasi (per come sono intese nel senso comune, dove sono considerate prodotti umani, non oggetti naturali) sono usate per classificare, per descrivere, per riferirsi, per insistere, per persuadere, per fare affermazioni; ma la funzione preferita da molti, e spesso considerata in qualche modo essenziale, è quella di comunicare. Una ferrovia porta merci, trasporta passeggeri, produce reddito ecc. Anche delle entità organiche e delle parti del corpo si pensa abbiano più di ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Sommario
  3. Introduzione
  4. I. La scienza del linguaggio e della mente
  5. II. La natura umana e il suo studio
  6. Appendici
  7. Commenti
  8. Glossario
  9. Bibliografia