Dante in Cina
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Dante in Cina

La rocambolesca storia della Commedia nell'estremo Oriente

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Dante in Cina

La rocambolesca storia della Commedia nell'estremo Oriente

Informazioni su questo libro

«Voi credete forse che siamo esperti d'esto loco; ma noi siam peregrin come voi siete»: Dante ha condensato una vita in queste poche parole, ed Eugenio Volpicelli ne ha fatto il suo manifesto. Nato nel 1856 da famiglia nobile, cresciuto a Napoli, vegetariano integralista, maniaco dell'esercizio fisico, appassionato di testi esoterici, studente modello del Collegio Cinese L'Orientale, nel 1881 Volpicelli lascia la città natale alla volta dell'Oriente e in breve diventa console generale responsabile di tutta la Cina meridionale. È un uomo coltissimo, scaltro, poliglotta, sempre in viaggio: si sposta in canoa per i fiumi della Cina, in treno sulla Transiberiana, in nave verso gli Stati Uniti e in motonave per tornare in Italia; si guadagna una laurea in ginecologia e l'odio del governo britannico; affronta pirati e incontra missionari francescani, alterna visite ai templi e colazioni nei salotti di notabili e intellettuali.Dopo aver vissuto a Hong Kong e a Macao, Volpicelli approda a Nagasaki, la Napoli d'Oriente. Dalla Cina al Giappone la Commedia dantesca rimane la sua stella fissa, la missione diplomatica è quasi un pretesto per la sua vera missione e ragione di vita: diffondere Dante e ritrovarlo in tutto l'Estremo Oriente. Traduce passi in cinese, tiene conferenze sull'opera dantesca, individua nessi tra Dante e Confucio e, grazie all'illustrazione del viaggio infernale di un bonzo custodita al museo di Kyoto, intreccia l'escatologia buddhista con quella cristiana.Con Dante in Cina Eric Salerno ricostruisce le vicende di un personaggio straordinario, vissuto a cavallo tra Otto e Novecento in un Oriente segnato dal colonialismo europeo, dalla guerra sino-giapponese e dalla rivolta dei Boxer. Un personaggio che – superando frontiere linguistiche e barriere culturali – congiunge i maestri di Oriente e Occidente, integra le due tradizioni letterarie e filosofiche e unisce i saperi di questi mondi lontani eppure sorprendentemente vicini.

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Informazioni

Al servizio di Sua Maestà
«Lasciai Napoli il 23 agosto 1881 e da allora, anche se spesso vi sono tornato, è sempre stato per brevi periodi, come visitatore, e dunque posso considerarmi e mi sono considerato residente dell’Estremo Oriente dove ho trascorso la parte maggiore e migliore della mia vita.»
Eugenio Felice Maria Zanoni Hind Volpicelli aveva tanti nomi, e ogni tanto ne cambiava o aggiungeva uno alla lunga lista: per vanità o sfizio, o soltanto per creare un alone di mistero intorno alla sua già complicata, confusa, ancora oggi misteriosa identità. I diplomatici – anche all’epoca dei piccioni viaggiatori o delle missive top secret che arrivavano a destinazione con settimane di ritardo, delle feluche d’oro e argento e di quant’altro potesse renderli potenti e, si sperava, intoccabili – erano agenti al servizio delle rispettive maestà. Agenti non segreti, certo, e nemmeno con licenza d’uccidere se non con l’uso colto, spietato e strumentale delle parole, dei giudizi e delle raccomandazioni.

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Eugenio o Zenone – nome con cui di preferenza firmava i suoi scritti «ufficiali» – Volpicelli ha lasciato tracce ovunque in quell’Estremo Oriente che tanto amava. C’è chi lo esalta e chi lo tratta, o lo trattava, come un mitomane e megalomane. Da qualcuno era considerato un agente del «nemico» (di quale, lo scopriremo forse dopo). Altri lo veneravano come esperto degli scacchi cinesi: uno dei primi occidentali a immergersi nelle complesse strategie del gioco che ancora oggi conta milioni di appassionati. Oppure, ancora più intrigante per un giovane arrivato da Napoli, lo idolatravano come uno dei primi ad aver compreso e descritto la struttura della lingua cinese, tra i simboli e le tonalità più diverse. Con almeno due pseudonimi, mise in difficoltà i suoi contemporanei offrendo analisi storiche, militari e reportage da luoghi formalmente al di fuori delle aree pertinenti alla sua missione consolare o diplomatica. Personaggio «dall’identità incerta», lo definì appena pochi anni fa un analista del dipartimento di Stato americano, notando come uno degli scritti più importanti di Volpicelli sia, ancora oggi, da considerare un testo fondamentale sulla guerra tra Cina e Giappone, lo scontro che verso la fine dell’Ottocento avrebbe modificato per sempre l’assetto geopolitico di quella regione così turbolenta.
La grande casa sul Peak, la montagna verde che sovrasta Hong Kong e i suoi grattacieli, dove il console generale e sua moglie Iside Minetti vissero per molti anni, non c’è più. La proprietà, un vasto appezzamento di terra che i due acquistarono a Shanghai, è sepolta sotto il cemento armato della nuova Cina alla conquista del suo passato glorioso. E non basta. A Macao, dirimpetto ai mega-casinò della Las Vegas d’Oriente, il suo «bungalow», come amava definire una deliziosa costruzione in solida muratura, è stato restaurato con altri tre edifici simili per ospitare mostre e reperti di un mondo «romantico» scomparso insieme ad altre vestigia del colonialismo. Al tramonto si specchia nella laguna dove una volta ammarravano i primi idrovolanti al servizio degli imperi d’Occidente e del progresso.
«Il Richiamo dell’Est era stato forte nel mio cuore per molti anni e avevo studiato le lingue dell’Oriente Vicino e Lontano all’Istituto Orientale di Napoli, discendente diretto dell’istituto unico nel suo genere chiamato il Collegio dei cinesi. Pochi sanno che per oltre cento anni esisteva un istituto a Napoli dove ragazzi cinesi venivano educati a diventare missionari cattolici per la Cina.»
Sono parole di Volpicelli tratte dalle prime pagine di un’autobiografia appena abbozzata, mai portata a termine.
Il colonialismo religioso dei benedettini, dei gesuiti e di altri ordini minori aveva anticipato di alcuni secoli quello economico e militare che – oltre un millennio dopo la fine del nostro glorioso impero romano – portò devastazione e morte in casa di quel popolo sofisticato di cui Marco Polo aveva raccontato una volta tornato a Venezia. «L’Orientale», oggi, è sparpagliata per le vie di Napoli. Rettorato da una parte, amministrazione sul lungomare, aule e archivi altrove. Edifici antichi sopravvissuti al tempo e ai bombardamenti della Seconda guerra mondiale. Strutture moderne insignificanti in acciaio, cemento e vetro destinate a scomparire, non certo a resistere al tempo, ai venti umidi del golfo (o alla lava, se il Vesuvio, minaccia silenziosa, dovesse risvegliarsi), per farsi ammirare dalle future generazioni. Alla vigilia di Natale 2015, tre improbabili Santa Claus neri-neri, arrivati da qualche parte dell’Africa subsahariana, dove la neve non si è mai vista, suonavano con i bongos motivi d’occasione in piazza San Domenico Maggiore, davanti al portone di una delle scuole dell’Orientale. Erano stranieri in questi luoghi come lo furono, nel Settecento, i cinesi ospiti nel collegio, che da loro prese nome, sito appena più in alto sulla strada per Capodimonte.
Zanoni Volpicelli vi approdò negli anni in cui i governi dell’Italia unita decisero di utilizzare la struttura, da poco classificata liceo e affidata al ministero della Pubblica istruzione, come centro di formazione per interpreti, indispensabili per sostenere il nuovo slancio coloniale italiano. La sede attuale di quella scuola è un’altra. Pure il nome è cambiato.
Aveva ottenuto, primo fra tutti i candidati, una borsa di studio offerta dall’Istituto asiatico. E agli esami finali del 1881 si posizionò ancora una volta in testa alla classifica. Dieci decimi in persiano e arabo, lingua questa che fu incaricato di insegnare durante l’assenza del titolare della cattedra Lupo Bonazia, affetto – si legge nelle carte dell’epoca – da una leggera infermità. Paradossalmente, per colpa di un lieve errore di scrittura, ebbe soltanto nove decimi in cinese, la lingua che avrebbe fatta propria per il resto della vita.
Chi era Volpicelli? La sua generazione non c’è più. Quella che l’ha seguita resiste con le unghie. Per Mariella, che se n’è andata di recente a cento e passa anni, è sempre stato soltanto «zio Zenone». Aveva sposato la sorella di sua suocera. Della sua corrispondenza sono rimaste poche pagine ma Zenone, o Zenoni o Zanoni, è stato per decenni nel passato di cui Mariella viveva circondata. Oggi è sua figlia a conservarne la memoria. Una casa-museo pur senza voler apparire tale: camere ampie, soffitti altissimi, in cui coabitano libri e quadri del pittore Antonio Tomassi, che aveva sposato Clementina, la sorella di Iside Minetti in Volpicelli.
Tavolini cinesi neri ricchi di intarsi: un legno che ha resistito al tempo, ai tarli, ai traslochi. Splendidi arazzi di seta – quella vera, ricavata dai preziosi bachi giapponesi o cinesi – intessuti di fili d’oro. Medaglie e altre onorificenze. Un grande vaso d’argento inciso, dono-premio per una delle numerose prodezze di zio Zenone, mai apprezzate dai veri diplomatici italiani, contemporanei o successivi che fossero. Lui era arrivato in Oriente come semplice interprete. Quasi tutti gli altri, abili o meno abili, erano stati insediati per nomina. Era una specie di rito: un alto lignaggio, all’epoca e per molti anni ancora, avrebbe costituito un’eredità indispensabile per poter rappresentare nel mondo re e regine, dittatori e presidenti delle prime democrazie.

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Un album zeppo di fotografie trasforma miti e racconti che si perdono nel tempo in immagini quasi in carne e ossa. Lui e lei, moglie e zia di Mariella, insieme. Lui o lei. Le ville. I lussuosi alberghi che frequentavano. Hong Kong, Nagasaki, Macao. Il basso tavolino nero su cui si trova l’album di fotografie rilegato in pelle scura è ritratto in una delle vecchie immagini appena sbiadite dal tempo. Anche una seggiola, sempre più fragile, appare com’era quando fu immortalata dall’obiettivo all’altro capo del mondo oltre cento anni fa. C’è anche la partecipazione delle nozze. Il solito cartoncino. Semplice. Quasi troppo. Formale ma incompleto, misterioso.
«Clementina Pandiani ved. Minetti partecipa alla S.V. il matrimonio della sua Iside al signor Zanoni Volpicelli.» E sull’altra facciata: «Zanoni Volpicelli partecipa alla S.V. il suo matrimonio colla signorina Iside Minetti». Sotto, soltanto la data: «Milano, 14 febbraio 1891».
Il giorno di San Valentino. Zanoni, non Zenone. Iside aveva perso il padre e sembra che Zanoni (restiamo con questa versione di parte del suo cognome) fosse, già allora, orfano di entrambi i genitori. Stranamente, non compare alcuna indicazione di dove si sposarono. Dagli archivi polverosi della diocesi milanese o da quelli comunali del capoluogo lombardo non è ancora saltato fuori un certificato di matrimonio. La famiglia di Mariella e di Iside Minetti in Volpicelli era imparentata con i Maraini, la schiatta che diede i natali a Fosco, altro grande viaggiatore in Oriente. Faceva parte di questa borghesia tutta intrecciata – sparsa tra la Svizzera, Milano, Como e poi Roma – anche Mario Moris, uno dei fondatori dell’Aeronautica italiana. Chi erano, invece, i genitori di Eugenio è ancora poco chiaro. L’unica ipotesi possibile resta una incompleta, vaga indicazione archivistica.

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Il 17 aprile 1850 «sono comparsi Don Ferdinando Volpicelli, di Napoli, di anni ventitré, celibe, proprietario, domiciliato in vico San Domenico Soriano 22, figlio maggiore del fu Domenico, proprietario, e di Donna Maria Fiore […] e Anna Maria Teresa Hind, di Londra, di anni ventiquattro, nubile […] domiciliata in via Chiatamone, […] figlia maggiore del fu Don Alessandro Hind, colonnello d’artiglieria, e di Donna Chiara Rash».
Negli archivi britannici e tra gli scritti degli storici figura un Alexander Hind che indossò la divisa di ufficiale d’artiglieria per combattere in India. E poi ci potrebbe avvicinare alla verità via Chiatamone, Santa Lucia, il lungomare bene di Napoli, a ridosso di una parte dell’Orientale che all’epoca non era stata ancora edificata. Viene da pensare che l’Istituto abbia giocato un ruolo centrale nella storia d’amore degli sposi. Forse la madre di Anna Maria Teresa vi insegnava o vi lavorava con altre mansioni. Forse fu proprio quell’Anna Maria Teresa a dare alla luce, sei anni più tardi, nel 1856, Eugenio (Zanoni) Volpicelli. Sicuramente il parto non avvenne a Napoli ma, come ha più volte raccontato lo stesso zio Zanoni senza fornire spiegazioni, su una delle isole nella Manica. Sua madre e, verosimilmente, suo padre si trovavano a Jersey. Oggi il luogo deve la sua fama al riciclaggio di denaro sporco proveniente dal traffico di stupefacenti. Allora era conosciuto da pochi come importante presidio militare. Vi era stato trasferito il colonnello Alexander? Una realtà, quella ventosa, fredda e isolata, in mezzo alle acque agitate dell’Atlantico, ben lontana da quella di Napoli, tra le capitali storiche più belle d’Europa. Nell’anno di nascita di Eugenio, la città partenopea si aggiudicò il primo premio internazionale per la produzione di pasta e per la lavorazione del corallo. Ma era molto di più. La grande cultura italiana aveva qui il suo epicentro.

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Sotto la volta dell’androne dell’ospedale Elena d’Aosta è ancora visibile l’affresco con lo stemma del Collegio della Sacra famiglia, che riporta due caratteri cinesi: Sheng Jia, Sacra famiglia, appunto. Il logo del Collegio dei cinesi è un mappamondo avvolto dalle fiamme e sormontato da una croce attorno alla quale si legge: «Ite in universum mundum. Praedicate Evangelium omni creaturae» (Andate nell’universo mondo. Predicate il Vangelo a ogni creatura).
La congregazione era stata fondata da preti secolari. L’obiettivo del fondatore Matteo Ripa era educare i collegiali cinesi. Soltanto molti anni più tardi finirono nel mirino degli educatori i giovani lì confluiti dalle comunità cristiane dell’impero ottomano. Volpicelli, per studiare l’arabo, trascorse due mesi a Beirut, città della Siria – il Libano allora non esisteva – dove le tre comunità del Libro (musulmani, cristiani ed ebrei) vivevano in armonia. Una breve parentesi storica per quel mondo in procinto di precipitare in nuovi travagli, conquiste e mire occidentali.
Un passo indietro: a Napoli, la «bellissima città» dove Eugenio Zanoni Volpicelli – come raccontò lui stesso molti anni dopo – trascorse «l’infanzia e la giovinezza» e dove si sarebbe «lentamente allontanato dalla famiglia». Interprete, diplomatico, storico e forse qualcos’altro, si servì di una penna brillante per raccontare momenti importanti della sua avventura in Oriente e per spiegare ad altri diplomatici, ministri, re e principi, e poi alla gente comune, la realtà di quel mondo. I suoi resoconti, pur assumendo a tratti toni molto personali, non contengono accenni alla madre o al padre, alle sue origini, all’ambiente e alla cultura che lo spinsero a lanciarsi alla scoperta di un mondo complesso e distante. Se Alexander Hind era suo nonno possiamo pensare che abbia ereditato da lui lo spirito d’avventura, nonostante fosse già morto quando Eugenio venne alla luce.
I ricordi di Mariella, qualche documento trovato nella sua abitazione romana a Monteverde Vecchio, a pochi passi da dove sua zia Iside risiede...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Sommario
  3. Cartina
  4. 1. Al servizio di sua maestà
  5. 2. In viaggio per l'Oriente
  6. 3. Una casta di squilibrati
  7. 4. Vita, guerra, il gioco degli scacchi
  8. 5. Intelligence, strategia, tattica
  9. 6. Console, console generale, Hong Kong e i pirati
  10. 7. I am a Boxer
  11. 8. Beccaria, Iside e i piedi piccoli
  12. 9. Hong Kong, secolo nuovo, nuove avventure
  13. 10. Canton e la nuova Cina
  14. 11. Egli spia, tu spii, io spio
  15. 12. Io in canoa alla scoperta di Dante
  16. 13. Eroi italiani a Tokyo
  17. 14. Alla corte della principessa
  18. 15. Nagasaki, mon amour
  19. 16. Purgatorio, Paradiso e Inferno
  20. 17. Da Marco Polo all’inferno
  21. Ringraziamenti