1. Una magia che funziona
Felice è l’uomo che può riconoscere nell’opera di oggi una parte connessa dell’opera di una vita, e un’incarnazione dell’opera dell’eternità.
James Clerk Maxwell
Quando avevo tre anni, mio padre fu incarcerato per avere opposto resistenza al regime dell’apartheid in Sudafrica. Poco tempo dopo fu arrestata anche mia madre, che fu rimessa in libertà sei mesi più tardi. A quel tempo vissi con mia nonna, che era una cristiana scientista. I miei genitori non erano religiosi, cosicché quello fu un mondo del tutto nuovo per me. Mi piacevano molto i canti religiosi, e specialmente la Bibbia, come pure l’idea di un libro che conteneva la risposta a ogni domanda. Ma non volevo una grande Bibbia; volevo una piccola Bibbia da portare sempre con me in una tasca.
Così condussi una campagna senza fine con mia nonna perché mi comprasse la Bibbia più piccola possibile. Quando finalmente me la comprò, la portai con me dappertutto. Non sapevo ancora leggere, ma non mi importava. Ciò di cui avevo più bisogno, fin da quella tenera età, era la possibilità di cogliere e capire la verità, con la certezza e l’amore che essa comporta.
Mio padre era stato accusato di sabotaggio ed ebbe la fortuna di essere rimesso in libertà dopo solo tre anni e mezzo. Altri che erano stati processati con capi d’accusa meno gravi furono condannati all’ergastolo. Quando la sua detenzione fu commutata in arresti domiciliari, mio padre fuggì e si rifugiò più a nord, nell’Africa orientale. Noi lo seguimmo e vivemmo con lui in Tanzania per vari anni prima di trasferirci a Londra. Qui ci integrammo in una piccola comunità di esiliati che tentavano di sopravvivere in un ambiente estraneo, umido e deprimente. Tuttavia i miei genitori tennero fede alle loro idee. «Un giorno» dissero ai miei fratelli «ci sarà un grande cambiamento, e il Sudafrica sarà libero.»
Per noi non era facile credere alle loro parole. Negli anni settanta e ottanta, mentre crescevo in Inghilterra e frequentavo le scuole superiori e l’università, la situazione in patria sembrava senza speranza. Il regime dell’apartheid era visto con favore da tutto l’elettorato bianco e aveva potenti alleati oltreoceano. Il Sudafrica arrivò persino a sviluppare ordigni nucleari. I piccoli gruppi di dissidenti organizzati venivano facilmente catturati e imprigionati. Le proteste degli studenti di Soweto furono schiacciate spietatamente, e lo stato di polizia usava il pugno di ferro.
Ma poi, improvvisamente, tutto cambiò.
Il sistema dell’apartheid si fondava su una premessa fondamentalmente sbagliata – che i neri fossero inferiori ai bianchi –, la quale ne determinò la caduta. Nel paese non fu più possibile arginare le aspirazioni della maggioranza nera. Anche le proteste estere acquistarono forza al crescere del numero di paesi che boicottavano il Sudafrica dei bianchi. Nel 1993, quando Nelson Mandela negoziò la sua liberazione dal carcere, l’umore mutò. La minoranza bianca accettò la tesi che l’apartheid non fosse più sostenibile, e che il futuro dovesse portare al suffragio universale e a maggiori opportunità per tutti. Il cambiamento in Sudafrica fu realizzato per effetto di un’idea semplice ma innegabile: la giustizia, cioè il principio dell’equità, dell’imparzialità e dei diritti umani che protegge tutti noi. La giustizia è una causa condivisa fra razze, culture e religioni; una causa grande abbastanza da far sì che molte persone le si dedichino per tutta la vita, e che alcune addirittura le sacrifichino la propria. Se si dovesse indicare quale sia stata la causa principale del cambiamento in Sudafrica, sarebbe questa semplice nozione della giustizia, che ha prevalso su tutti i privilegi, la ricchezza e le armi accumulati dal regime dell’apartheid.
I miei genitori avevano ragione. Una buona idea può cambiare il mondo.
Noi oggi viviamo in un mondo preoccupato, che sembra a corto di buone idee. Ci troviamo a confrontarci con sfide che possono sembrarci insuperabili: instabilità finanziaria, consumi eccessivi e inquinamento, scarsità di energia e di risorse, mutamento del clima e crescenti disuguaglianze. Tutti questi problemi sono stati creati dall’uomo, e tutti possono essere risolti. Eppure sembriamo rinchiusi in una cultura asfittica di pensiero a breve termine, di soluzioni affrettate e di facili guadagni, mentre ciò che ognuno di questi problemi richiede effettivamente per essere risolto sono azioni lungimiranti e coerenti, fondate su princìpi saldi e sviluppati lungo molti anni.
Stiamo raggiungendo i limiti delle tecnologie esistenti e delle risorse naturali. Corriamo il pericolo di perdere il nostro senso dell’ottimismo. Non possiamo trovare modi più intelligenti per gestire il nostro pianeta? Non possiamo realizzare scoperte che ci dischiudano un avvenire luminoso? Chi siamo noi, dopo tutto? Siamo soltanto il prodotto di un processo di mutazioni casuali e di selezione naturale, che sta giungendo adesso alla sua conclusione? Oppure siamo potenzialmente gli iniziatori di una nuova fase dell’evoluzione, in cui la vita potrebbe assurgere a un livello del tutto nuovo?
In questi capitoli vorrei parlare della nostra capacità di dare un senso alla realtà e di concepire l’universo nella nostra mente. Questa capacità è stata una fonte continua di idee potenti, in grado di descrivere ogni cosa, dalla più piccola particella subatomica all’intero cosmo visibile, e ha generato ogni tecnologia moderna, dai telefoni cellulari ai satelliti. È di gran lunga la nostra risorsa più preziosa, e tuttavia la sua disponibilità è anche totalmente gratuita. Se dobbiamo credere agli insegnamenti della storia, l’universo dentro di noi sarà la chiave per il nostro futuro.
Non è casuale che le rivoluzioni accadano quando accadono. I massimi progressi si sono verificati in conseguenza di crescenti contraddizioni nella nostra visione della realtà che non hanno potuto essere risolte da piccoli mutamenti. Era invece necessario fare un passo indietro, guardare il quadro nel suo insieme e trovare un modo diverso per descrivere il mondo e capirne le potenzialità. Ogni volta che ciò è accaduto, è emerso un paradigma del tutto nuovo, che ci ha poi guidato verso frontiere in precedenza mai immaginate. La fisica ha cambiato ripetutamente il mondo, compresa la società umana. La mente umana tiene in equilibrio queste idee: come viviamo insieme, chi siamo e come ci collochiamo nella realtà. Le nostre concezioni superano di gran lunga qualsiasi bisogno immediato. Sembra quasi che il processo evolutivo abbia in sé un elemento di anticipazione. Perché mai abbiamo evoluto la capacità di capire cose tanto lontane dalla nostra esperienza, quando pare che non abbiano invece alcuna utilità per la nostra capacità di sopravvivere? E dove ci condurranno in futuro queste capacità?
Come siamo riusciti a immaginare per la prima volta il bosone di Higgs, e come siamo riusciti a costruire, per trovarlo, un grande microscopio – il Large Hadron Collider – capace di risolvere distanze inferiori un miliardo di volte al diametro di un atomo? Come abbiamo scoperto le leggi che governano il cosmo, e come siamo riusciti a costruire satelliti e telescopi che possono vedere dieci miliardi di volte più lontano del confine del sistema solare, per confermare in modo dettagliato quelle leggi? Io credo che la società possa trovare ragione di grande ottimismo nel fenomenale successo della fisica. Analogamente, dalla comprensione delle proprie origini, della propria storia e delle connessioni con gli interessi della società, la fisica può trarre una maggior consapevolezza del proprio scopo.
È probabile che i nuovi sviluppi che si preparano siano destinati a rivelarsi ancora più importanti delle trasformazioni del passato. Abbiamo già visto come le comunicazioni e il World Wide Web stiano aprendo la società globale, fornendo informazione e educazione a una scala molto maggiore di quanto sia mai avvenuto prima. E questo è solo l’inizio di come le nuove tecnologie ci cambieranno. Finora il progresso scientifico ha avuto il suo fondamento, ma anche il suo limite, nella nostra natura fisica. Noi siamo in grado di capire il mondo solo nella sua immagine classica. Questo è stato un trampolino essenziale per il nostro sviluppo, ma un trampolino che dobbiamo usare per progredire ancora. Al crescere delle nostre competenze tecnologiche, queste amplieranno enormemente le nostre capacità, la nostra esperienza del mondo e, nel corso del tempo, le nostre potenzialità.
Internet è solo un preambolo. Le tecnologie quantistiche possono cambiare totalmente il modo in cui elaboriamo le informazioni. Nel corso del tempo esse potrebbero fare molto di più, permettendoci di arrivare a una maggiore consapevolezza della realtà e dei modi in cui funziona il mondo fisico. Al crescere della profondità del nostro sapere, le nostre rappresentazioni dell’universo acquisteranno una fedeltà molto maggiore. Il nostro nuovo sapere renderà possibili tecnologie che supereranno di gran lunga i limiti attuali. Queste potrebbero cambiare la nostra stessa natura e permetterci di avvicinarci alla piena realizzazione delle potenzialità della nostra esistenza.
In prospettiva futura il nostro obiettivo dovrebbe essere quello di sperimentare, di capire lo sviluppo dell’universo e di esserne parte. Noi non ne siamo meri prodotti accidentali; siamo il vertice della sua evoluzione. La nostra capacità di spiegare il mondo è fondamentale per la nostra natura e per il nostro futuro. Scienza e missione della società dovrebbero essere un’unica cosa.
Sulla tomba di Karl Marx, nel cimitero di Highgate a Londra, sono incise queste famose parole, tratte dalla sua xi tesi su Feuerbach: «I filosofi hanno solo interpretato il mondo in vari modi. Ora, però, si tratta di cambiarlo». Adottando una frase famosa di Gandhi farei un altro passo avanti: «Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo».
Ho avuto la fortuna di trascorrere una parte della mia vita in Africa, la culla dell’umanità. Una delle mie esperienze più memorabili fu la visita al cratere di Ngorongoro, al Serengeti e alla Gola di Olduvai, nella quale quasi due milioni di anni fa vissero antichi progenitori dell’uomo. In quella zona ci sono molti animali selvaggi: leoni, iene, elefanti e bufali d’acqua. Persino i babbuini sono pericolosi; un maschio di grandi dimensioni pesa intorno ai 45 kg e ha canini enormi, che incutono timore a tutti gli esseri umani. Ciononostante, tutti i babbuini hanno paura dell’uomo. Se ti accampi nella zona e un grande babbuino cerca di rubarti il cibo, basterà alzare un braccio con un sasso in mano per vederlo allontanarsi velocemente.
Per quanto gli esseri umani possano sembrare inoffensivi, i nostri progenitori acquisirono il dominio sul resto del regno animale. Grazie ai loro nuovi modi di comportamento, alla stazione eretta, alla capacità di scagliare sassi, di usare utensili, di accendere il fuoco e di costruire insediamenti, superarono in astuzia e in intelligenza tutti gli altri animali. Ho visto elefanti e bufali d’acqua allontanarsi appena percepivano l’odore di un solo masai che si avvicinava, camminando tranquillamente nella savana con la lancia in pugno, come se fosse il re di tutto quanto. Il dominio umano della natura ebbe inizio con i nostri progenitori in Africa, i quali meritano tutto il nostro rispetto.
Dopo l’invenzione degli utensili e poi dell’agricoltura, dal punto di vista tecnologico il successivo grande salto in avanti potrebbe essere stato lo sviluppo della matematica, con la capacità di contare, la geometria e altri modi di capire le regolarità nel mondo che ci circonda. Molti fra i più antichi manufatti matematici del mondo sono africani. Il più antico in assoluto è l’osso di una gamba di babbuino, rinvenuto in una caverna nello Swaziland e risalente al 35000 a.C. Su di esso sono incise ventinove tacche, che si riferiscono forse al numero dei giorni di un ciclo lunare: il ciclo che la Luna descrive orbitando intorno alla Terra in un mese. Il secondo manufatto matematico per antichità è un altro osso di una gamba di babbuino, trovato nel Congo orientale e risalente al 20000 a.C. circa. È coperto da segni raggruppati in modo da suggerire una forma semplice di aritmetica. Il più antico osservatorio astronomico noto è un cerchio di pietre presso Nabta Playa, nell’Egitto meridionale, in prossimità del confine col Sudan, costruito intorno al 4000 a.C. Poi, ovviamente, sorsero le grandi piramide egizie, a partire dal 3000 a.C. circa. La matematica permise di costruire modelli attendibili del mondo, di fare piani e di predire i risultati.
A quanto sappiamo (in assenza di documenti scritti pervenutici), l’idea che la matematica potesse rivelare grandi verità sull’universo ebbe origine con Pitagora e i suoi seguaci nel vi secolo a.C. in Magna Grecia, a Metaponto. I pitagorici inventarono la parola «matematica» (ed erano loro stessi chiamati matematici) e introdussero la nozione di dimostrazione «matematica»: un insieme di argomentazioni logiche così stringenti da rendere indiscutibile il risultato. Il teorema pitagorico – secondo cui l’area del quadrato costruito sull’ipotenusa (il lato più lungo del triangolo) è uguale alla somma dei quadrati costruiti sui cateti (ossia sugli altri due lati) – è la più famosa di tali dimostrazioni. (Il dato di fatto dimostrato dal teorema era però già noto da molto tempo: ci si riferisce infatti a esso, per esempio, su tavolette risalenti già al 1800 a.C. circa, usate nei loro calcoli da agrimensori dell’antica Babilonia, nei pressi della moderna Baghdad.)
I pitagorici fondarono un culto religioso a Crotone, nell’attuale Calabria, incentrato in particolare sul potere mistico della matematica. Fra i risultati più importanti da loro ottenuti si deve annoverare la comprensione della natura matematica della musica. Dividendo a metà la lunghezza di una corda pizzicata si produceva un’ottava, mentre se la si divideva in tre parti si otteneva una quinta sopra quell’ottava, e se la si divideva in quattro parti un’altra quarta sopra quella quinta. I pitagorici ipotizzarono che, se la matematica poteva spiegare con tanta precisione le armonie musicali, avrebbe potuto sicuramente spiegare molti altri aspetti dell’ordine dell’universo. Costruendo sulle idee precedenti di Anassimandro, che secondo alcuni sarebbe stato il primo scienziato e, forse, il maestro di Pitagora, i pitagorici tentarono di costituire «l’intero universo come risultante da numeri». Questa intuizione, raggiunta due millenni prima di Newton, sarebbe diventata il fondamento di tutta la fisica.
Pare che i pitagorici abbiano dato buoni consigli ai governanti di Crotone – per esempio suggerendo di introdurre una costituzione –, che contribuirono alla prosperità economica della cittadina. Essi furono però percepiti come elitisti, dediti ossessivamente alla segretezza. Nelle parole di uno storico, il loro «assunto di superiorità e di sapere esoterico dev’essere stato a volte difficile da sopportare». Questa situazione contribuì probabilmente alla tragica caduta dei pitagorici, nella quale, secondo talune versioni, fu ucciso lo stesso Pitagora. La brusca scomparsa dei pitagorici fu un precoce segnale dei pericoli connessi in ogni tempo alla separazione degli scienziati dalla società.
Questa divisione si è ripresentata, dopo di allora, numerose volte. Nell’Europa medievale, per esempio, il curriculum delle arti liberali era dominato dal latino, dalla logica e dalla retorica (che insieme componevano il trivio), competenze richieste per la diplomazia, il governo e l’oratoria pubblica. Coloro che proseguivano gli studi fino a conseguire il titolo di magister aggiungevano alle competenze del trivio l’aritmetica, la musica, la geometria e l’astronomia (il quadrivio). Diventava così inevitabile, all’ampliarsi della conoscenza e allo specializzarsi delle competenze umane, la separazione fra scienziati e non scienziati. Questo fenomeno avrebbe condotto a una divisione fra le scienze da un lato e le arti e le discipline umanistiche dall’altro, divisione che vari secoli dopo il fisico e scrittore Charles Percy Snow riassunse nel titolo di un saggio ancora oggi famoso: Le due culture. Questa impostazione mi sembra però infelice. Non è un’arte anche la scienza? E gli scienziati non dovrebbero essere preparati anche nelle discipline umanistiche?
Io ricordo di essere rimasto sconvolto, quando ero un giovane scienziato, dalle parole di uno dei miei eroi, il ...