La Dissoluta
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La Dissoluta

Informazioni su questo libro

Alla fine del XVIII secolo, in un'epoca di violenze e passioni, una donna irrompe sulla scena sociale europea: il suo nome è Elizabeth Chudleigh. Appartenente alla piccola nobiltà inglese, senza dote e senza protezioni, era destinata a essere una delle tante vittime delle convenzioni del tempo.Ma Elisabeth è vitale, spiritosa, temeraria: ama la vita e il potere. Gli uomini soggiogati da lei dicevano: «Il temperamento… Ella ha temperamento».Elizabeth Chudleigh viene data in sposa a un uomo che odia. Ma lei sa ciò che vuole e sa come ottenerlo. Decide la sua vita. Tiene nascosto il matrimonio, ammalia tutta l'aristocrazia di tutte le corti europee, diventa la protetta del re d'Inghilterra, amica dell'imperatrice Caterina II di Russia, sposa di Evelyn Pierrepont, duca di Kingston, il grande amore della sua vita. Ora è bigama. Quando il suo segreto viene alla luce, è chiamata in giudizio a Westminster. Si celebra così il processo più clamoroso dell'epoca. La duchessa di Kingston rischia l'impiccagione. La Dissoluta è la storia vera di Elizabeth Chudleigh, che Alexandra Lapierre trasfigura nel racconto dell'esplosione di movenze, pulsioni e slanci della sensibilità moderna.

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Informazioni

Anno
2011
Print ISBN
9788856503432
eBook ISBN
9788865761137
Argomento
Storia

1752-1769. Il più bell’uomo d’Inghilterra

Appena fu nota l’infatuazione del duca di Kingston per Miss Chudleigh, i detrattori della donna sparsero la voce a Londra che il nobiluomo, sotto l’apparenza virile, era solo un bellimbusto, debole e rimbambito per l’avanzare dell’età. Un ingenuo. Un sempliciotto.
Niente di tutto ciò corrispondeva al carattere del nuovo amante di Elizabeth.
Anche lui, tredici anni prima di Hamilton, aveva fatto il Grand Tour. Benché avessero compiuto lo stesso percorso, Lord Evelyn, a differenza di Lord Jamie, non si era accontentato degli insegnamenti delle cameriere di locanda, dei giocatori professionisti e delle attrici. Al suo seguito aveva eruditi che condividevano i suoi gusti e si era lasciato consigliare da estimatori d’arte, letterati e botanici.
Fra i suoi migliori amici, il preferito era un intellettuale di nome Georges-Louis Leclerc, signore di Buffon.
Il giovane Kingston lo aveva portato in Italia. Avevano visitato insieme Torino, Milano, Genova, Firenze e Roma. Tutti e due dediti ai piaceri della carne e alla gioia della mente, avevano saccheggiato le collezioni di pittura e le gallerie d’arte antica, cenando da principi e prelati. Il duca aveva acquistato una serie di statue per decorare i suoi giardini e diversi quadri del Rinascimento, primo fra tutti un Raffaello che anni dopo i rivali gli avrebbero invidiato. Aveva inoltre ordinato un servizio di argenteria, a quanto pare, di ineguagliabile bellezza.
Di ritorno dal viaggio, non aveva raggiunto Londra, ma si era fermato a Parigi. Frequentava ancora Buffon e aveva appoggiato il lavoro dei loro conoscenti comuni: i futuri enciclopedisti.
Libertino e astuto secondo la moda del tempo, non disdegnava le avventure galanti. Nella «casetta» concepita apposta per soddisfare i suoi piaceri, appena fuori Parigi, aveva portato un discreto numero di nobildonne che si erano sacrificate con lui sull’altare di Venere. Manteneva poi svariate danzatrici che ce la mettevano tutta per rovinarlo. Fatica sprecata. Le ricchezze del duca sembravano illimitate.
L’amore si era presentato nelle vesti di una giovane che non somigliava affatto alle precedenti conquiste. Non ostentava alcun comportamento in voga né si abbandonava a smancerie. Era la figlia naturale di uno dei finanzieri più ricchi di Francia, il banchiere Samuel Bernard, che aveva riconosciuto e munito di dote lei e le due sorelle.
All’epoca le Tre Grazie, come venivano chiamate a Parigi, erano sposate con tre aristocratici che contavano sulle ricchezze del suocero per fare carriera. La prima, Madame Dupin, era amica di Rousseau: lo avrebbe assunto come segretario. La seconda, Madame d’Arty, era l’amante del principe di Conti. La terza, Madame Valet de La Touche, era virtuosa.
Nota per la dolcezza, la bontà e il carattere sempre allegro, Françoise-Thérèse, marchesa de La Touche, aveva ventidue anni. Il suo matrimonio era infelice, si teneva in disparte dalla corte e trovava consolazione solo nei tre figli… Finché nella sua vita non piombò il duca di Kingston.
Furono travolti da una passione folle che sfociò in uno scandalo: il duca finì per rapire la marchesa.
La portò con sé in Inghilterra. Per seguirlo, Madame de La Touche abbandonò tutto ciò che aveva di più caro al mondo, in primo luogo i figli.
Il marito sporse una querela infamante contro la donna e il suo rapitore, mentre l’amico Buffon cercò di ricomporre la lite e di difendere la reputazione della donna. Fu tutto vano. Madame de La Touche era rovinata e non si sarebbe più sollevata. Non l’avrebbero più accolta in Francia, né in Inghilterra.
Nei quattordici anni che seguirono la caduta, condivise ogni momento della sua esistenza col duca: vissero nelle terre dello splendido castello di Thoresby, vicino a Nottingham, ricevendo gli amici letterati, innanzitutto Buffon. Fuggendo si erano portati dietro il famoso abate Le Blanc, autore celebre, che faceva loro da cappellano, che sarebbe diventato un protetto di Madame de Pompadour e storiografo dei monumenti reali. I saloni erano popolati da uomini di mondo, aristocratici francesi o membri della Camera dei Pari. Le donne, al contrario, se ne tenevano alla larga.
Il tempo, l’abitudine e la noia non sembravano aver stancato il duca. Benché disertasse sempre più spesso la biblioteca per partecipare ai balli di corte, non conduceva una vita dissoluta, né mostrava alcun desiderio di sposarsi. Anzi, pareva voler manifestare un sempre maggiore rispetto e attaccamento a Madame – così veniva chiamata pudicamente a Londra la sua amante francese –, proteggendola dalle umiliazioni che avrebbe potuto soffrire. Non provava più a imporla in società e la lasciava in campagna quando frequentava Saint James Palace o Leicester House.
A quarant’anni, Evelyn Pierrepont, duca di Kingston, si era creato uno stile di vita che gli amici si sognavano, organizzato in modo da non temere confronti, diviso fra gli stalloni, i cani da caccia, gli obblighi sociali e l’unione con una donna tanto educata e di buoni natali, e che dipendeva solo da lui. I piaceri mondani, le comodità, la libertà, la pace… Per non parlare della ricchezza, la potenza e la gloria legati al suo nome. Cosa chiedere di più? Pareva una situazione così salda che addirittura la sua famiglia aveva finito per accettarla.
In realtà i parenti del duca avevano il loro tornaconto.
Kingston aveva solo una sorella, Lady Frances Meadows. Se fosse rimasto scapolo – e non avrebbe certo potuto sposare Madame a cui il marito cattolico non avrebbe mai concesso il divorzio –, se fosse rimasto senza eredi, allora il titolo e i beni sarebbero toccati al nipote, il primogenito dei sei figli di Lady Frances. La sorella quindi non si lamentava e, anzi, riconosceva perfino qualche qualità alla marchesa decaduta che faceva gli onori di casa a Thoresby. Ma lo sforzo le era costato tanto caro da farle dimenticare altre minacce. E così non si accorse del pericolo che incombeva sulla gloria del suo nome. E sull’eredità del figlio.
Del resto, nessuno della cerchia del duca avrebbe sospettato che un uomo di quella fatta potesse perdersi ballando un minuetto a Leicester House.
Forse solo Madame ebbe il presentimento di quanto un passo a due con una certa Miss Chudleigh potesse essere fatale. Ma lei aveva troppo da perderci per giudicare equamente. E poi non aveva assistito all’incontro.
Su quale ritmo di clavicembalo, con quali parole, con quali sguardi il duca di Kingston e Miss Chudleigh suggellarono la loro intesa?
Certo, nel ballo il duca appariva instancabile quanto la damigella. Era famoso per la resistenza fisica e l’agilità. Eccelleva in tutte le figure.
Certo, Miss Chudleigh incarnava la grazia. Lo spettacolo dei suoi demi-coupé e del suo modo di porgere la mano suscitava meraviglia. La linea perfetta del suo portamento e lo splendore dello sguardo accostati a un sorriso da Gioconda, la profondità della scollatura quando si chinava in generose riverenze, tutto nel suo incedere era d’esempio per le debuttanti a corte.
Grazia, contegno, maestria, tre parole care al duca, che la sua ballerina rappresentava perfettamente. Riguardo poi alle ricchezze della scollatura, già dal primo piqué aveva potuto verificare che Miss Chudleigh teneva fede alle promesse.
Ma questo poteva davvero bastare a farlo cadere in trappola?
Elizabeth era radiosa. Quando sfiorava la mano del duca o ne riceveva gli omaggi, il piacere saliva alle stelle. Ma quell’ebbrezza non nasceva affatto dall’orgoglio. Perlomeno non del tutto.
Certo, Miss Chudleigh amava follemente piacere. Suscitare il desiderio dei nobili. Attirarsi l’ammirazione del vecchio re, senz’alcun dubbio! Sedurre tutti i cortigiani e tutte le signore inglesi. Affascinare la duchessa di Queensbury, la principessa di Galles…
Perfino Augusta ammetteva ridendo che se Miss Chudleigh non avesse trovato anima viva in un salone, avrebbe cercato di ammaliare le poltrone.
Il duca faceva vibrare una corda leggermente diversa. Lei riconosceva le premesse di un’emozione provata un’unica volta, una sensazione violenta che scuoteva tutta la sua persona, un turbamento che aveva dimenticato da molto tempo.
Era il titolo? Il nome? La signorilità del duca di Kingston?
Come quando fu attratta da Jamie, non perse tempo con l’introspezione. Sapeva istintivamente che a lui non avrebbe imposto di attendere un mese, una settimana, un giorno o un’ora.
Eppure, mentre danzava sotto i lampadari, si interrogava: doveva scherzare un po’? Imporre delle tappe? Resistere? Conosceva ogni segreto del desiderio. L’astuzia era la regola.
Aveva capito che il duca, se non ingenuo, era almeno prudente… Timido e distaccato di natura, poco incline ai giochi della bramosia, poco avvezzo alle sottigliezze della conquista. Fingere con un uomo del genere significava correre il rischio che si spaventasse e lasciasse perdere. Era necessario conquistarlo seduta stante…
Al diavolo la civetteria, al diavolo le smancerie!
Spazzando via di colpo tutti i rituali, si fece portare in fondo al parco dove all’alba, fra il gorgoglio dei giochi d’acqua, gli concesse i favori meno casti tra quelli che aveva finora concesso agli altri.
Fu una rivelazione.
Si unirono come probabilmente accadde fra il primo uomo e la prima donna. In modo sublime.
Entrambi avevano conosciuto una sola passione. Lui per la marchesa de La Touche. Lei per il duca di Hamilton. Quell’unico amore aveva sconvolto la loro gioventù e trasformato la loro esistenza. Una storia che ormai aveva fatto il suo tempo.
Avevano raggiunto la maturità senza aver vissuto altri legami forti, senza aver fatto altri incontri significativi.
Insieme e nello stesso momento, scoprirono una nuova intesa. Immediata, totale e definitiva.
Il duca tuttavia non cambiò affatto le sue abitudini. Per circa un anno, rispettò le apparenze della vita coniugale con Madame trascorrendo il tempo fra Thoresby e Londra, con calma e decoro. Si mostrava così discreto che nessuno avrebbe avuto alcun appiglio per attribuire a Miss Chudleigh il trionfo di una nuova conquista. Non le chiedeva più un ballo. Non cercava la sua compagnia. Quando la incrociava, si toglieva a malapena il copricapo o faceva un rapido inchino. Mai un sorriso. Mai nemmeno uno sguardo.
Forse quella freddezza sarebbe bastata a svelare la loro relazione se, contro ogni aspettativa, Elizabeth non lo avesse assecondato nella sua opera di dissimulazione.
La vita le aveva insegnato qualche lezione. Per una volta, non ci teneva ad aggiungere Kingston alla lista degli altri duchi, conti o marchesi caduti nella sua rete. Non intendeva suscitare un nuovo scandalo. Si accontentava di una certezza: la presenza del duca. E la sua devozione le rendeva la vita ogni giorno più facile e allegra.
Anche se il nome Chudleigh non era associato a quello di Kingston sulle gazzette o sui libri contabili, la damigella preferita della principessa di Galles disponeva di due cameriere personali a Leicester House, una domestica che le portava il cioccolato a letto al mattino e un negretto adorabile che la seguiva ovunque con il parasole e il ventaglio. Aveva inoltre tre nuovi cagnolini di cui andava pazza, due cocorite, quattro cavalli, e faceva la bella vita girando su una carrozza con lo stemma dei Chudleigh.
Quanto al resto: Wait and see.
Lasciar parlare chi affermava di sapere da dove venisse quella ricchezza improvvisa.
Lasciar fare al duca.
Ma quando nella primavera 1752 fu colpita dall’influenza che sconvolse Londra, lei perse il controllo della situazione.
E fu Kingston a tradirsi.
Eccessiva nella malattia come in tutto, crollò, in preda a una di quelle febbri violente e al tempo stesso spettacolari di cui ogni tanto era vittima. Il duca, abituato alla salute di ferro di Miss Chudleigh, fu turbato e inquietato dalle gravi condizione dell’amante.
Dato che non aveva libero accesso agli appartamenti che la damigella occupava a Leicester House, ottenne da Sua Altezza Reale la principessa di Galles che affidasse l’amica alle sue cure. La fece trasportare nella dimora di Elizabeth a Conduit Street, chiamò il suo medico e rimase al suo capezzale. La poveretta delirava. La credevano spacciata. Raccontavano che l’avesse vegliata una notte intera e che non la lasciasse più.
In quel maggio, non era il comportamento di Miss Chudleigh ad alimentare i pettegolezzi, bensì quello di Sua Grazia il duca di Kingston.
La cosa faceva scalpore.
Che Elizabeth si fosse lasciata attrarre dallo splendore di un Lord così illustre, che fosse rimasta abbagliata, accecata dalla sua magnificenza, insomma che ne fosse diventata l’amante non aveva bisogno di spiegazioni. Era ovvio.
Ma lui?
L’attrazione del duca per quella damigella di età matura, che si presentava nuda ai balli del re, ambigua per comportamento, identità e posizione sociale, doveva inevitabilmente suscitare domande. Fra le belle inglesi, sembrava quella meno adatta ad attirare, interessare, emozionare e catturare un uomo famoso per discrezione, che prendeva raramente la parola alla Camera dei Lord per evitare le voci e la pubblicità che la politica comporta.
Nessuno contestava il suo coraggio, tuttavia si raccontava che Sua Grazia preferisse non uscire anziché rischiare di imbattersi in gente di cui disapprovava i princìpi o che non gli andava a genio. Secondo alcuni era capace di privarsi di qualche svago pur di scongiurare lo scontro. Lo scandalo del rapimento compiuto in gioventù non faceva più per lui. Detestava lo scalpore, fuggiva i drammi, odiava le situazioni imbarazzanti. Ci teneva che le cose fossero condotte per bene.
Con i domestici era un padrone puntiglioso. Guai a chi non assolvesse esattamente ai propri compiti. Verso i buoni servitori, era molto generoso. Gli altri li cacciava senza pietà.
Nel morale e nel fisico, era sensibile alle apparenze. Stava attento alla linea, si cambiava anche cinque volte al giorno e non si presentava mai con una tenuta non adatta alle circostanze. Alto, magrissimo, lo sguardo impassibile, le labbra sottili, si caratterizzava per un’eleganza altera che non concedeva niente alle mode. Parlava poco e aveva un umorismo caustico.
Era fedele nei sentimenti, e per questo frequentava unicamente vecchie conoscenze e confondeva spesso gli affetti con le abitudini. Solo sulle sue terre era davvero f...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Esergo
  3. Preludio
  4. 1721-1744. In barba a tutto!
  5. 1744-1752. L'errore di gioventù
  6. 1752-1769. Il più bell'uomo d'Inghilterra
  7. 1769-1774. La duchessa bigama
  8. 1774-1776. Da duchessa a contessa
  9. 1777-1788. La libertà e il perdono
  10. 1788-1793. Il testamento