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Il Console Infiltrato
Informazioni su questo libro
La storia di Roger Tur, console onorario di Francia a Saragozza. È l'anno 1972 quando tre attivisti di estrema sinistra provocano un incendio nel consolato francese di Saragozza, causando accidentalmente la morte di Roger Tur, console onorario. Anni dopo, durante la declassificazione degli archivi della CIA, si scopre che il console deceduto era un agente doppio durante la Seconda Guerra Mondiale, spiando i nazisti che passavano per Saragozza e inviando brevi rapporti agli alleati tramite l'ambasciata degli Stati Uniti. Questa è la sua storia.
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Capitolo 1

Giovedì 2 novembre 1972.
Alle dieci e mezza di mattina la via La Salle è tranquilla come qualsiasi altro giorno della settimana. I negozi hanno appena aperto, le serrande si sono alzate da poco più di un'ora, lasciando entrare qualche cliente. Un Seat 127 rosso passa piano, con il classico ronzio del motore vecchio a carburatore ed il cigolare degli ammortizzatori arrugginiti. Appena dietro, abbastanza da quasi toccarsi coi paraurti, un Citroen GS di un giallino slavato simile a quella sciacquatura di piatti che chiamano champagne. Dall'altro lato della strada, una Renault 12 blu scuro sta parcheggiando davanti al numero 7. Un uomo scende e procede svelto, si guarda attorno tenendo stretto il bordo del cappotto di lana. Il capo è coperto da un cappello di quelli russi che coprono anche le orecchie. Si guarda ancora attorno, apre il portabagagli, prende rapido una valigia, si guarda ancora attorno, sbatte lo sportello. Al numero 5, un uomo in giacca e cravatta, dal completo scuro, resta appoggiato con la spalla allo stipite della porta, fischiettando una irritante canzone delle pubblicità.
Getta uno sguardo al marciapiede sgombro. Si avvicina il fine settimana e da Venerdì a Domenica non ci sarà nessuno a riordinare. Di fronte, alcuni uomini avvolti dalla nuvola di fumo delle loro sigarette conversano, sotto voce, alzando di tanto in tanto il tono. Qualche risata, poi di nuovo silenzio. Ricordi allegri che non smettono di sbiadire lentamente. Il tutto avvolto dal profumo di salmone, saltimbocca, formaggio e crocchette di merluzzo. E sopra ogni cosa, peperoni ripieni.
A pochi metri di distanza, una Seat 850 gialla rallenta in un sibilo di freni nuovi, e volta l'angolo, infilandosi in una stretta stradina laterale in direzione della vicina scuola La Salle. Si ferma, il motore si spegne, e ne scendono tre giovani che si incamminano verso la strada principale. È una buona macchina, si dice il giovane che l'ha noleggiata. I suoi 843 centimetri cubi - da cui il nome 850 - sono sufficienti per spostarli in quelle strade, ma non sono abbastanza se dovessero fuggire dalla polizia. Camminano di fretta ed a viso scoperto, con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni.
I tre si erano incontrati quella stessa mattina, alle otto e mezzo, nel bar Picón, situato in Avenida Tenor Fleta, numero 3. Luis Javier Sagarra de Moor era stato il primo ad arrivare e, mentre aspettava i suoi compagni, si era acceso una Pall Mall presa da un pacchetto che gli aveva regalato suo padre, prelevato direttamente dal Consolato Americano, dove aveva un amico che gli riforniva di tabacco ed alcol importati. Álvaro Noguera Calvet apparve cinque minuti dopo. Disse al cameriere che non voleva prendere niente e, guardandosi attorno con rapidi scatti del viso, prese una sigaretta dal pacchetto che Sagarra aveva lasciato sul tavolo; Lo accese con un nervosismo che era insolito per lui. I due si guardarono attraverso lo schermo di fumo denso che si alzava, per svanire su di un soffitto sporco ed unto. Il terzo, José Antonio Mellado Romero, era così irrequieto che gli aspettava sulla porta del bar; non aveva nemmeno la voglia di entrare. Era appena arrivato e si era limitato ad affondare il collo tra le spalle, mentre si stringeva la giacca al corpo. Da una delle finestre che si affacciavano sulla strada, gli salutava alzando la mano in modo che potessero vederlo. Tutti e tre, ora che se ne rendevano pian piano conto, mostravano una tensione insolita. Quarantotto ore prima, quando avevano pianificato cosa avrebbero fatto quella mattina, avevano visto tutto con una prospettiva migliore di adesso, che non sembrava più un piano così praticabile.
Erano emotivamente spinti a continuare ed a non essere intimiditi.
-E la macchina?- Noguera fece un cenno del capo in direzione di Sagarra.
-Alla porta- Alzò la testa per vedere se riusciva a vederla dall'interno del bar, ma nessuna delle finestre si affacciava sulla zona dove si trovava l'auto.
-Immagino che tu abbia benzina...-
-Si, come no-
-L'hai affittata a tuo nome?-
-Credi che sia davvero così tonto? Con un nome falso, ovviamnerte-
-E quale nome hai dato?-
-E che ne sò! Non me lo ricordo!-
-Potevi aver affittao un Seat 124, che è più bella e corre molto di più, in caso dovessimo fuggire- Continuò Noguera.
-Una 124 è un'osso duro per la polizia-
-In caso di fuga, è meglio che lo facciamo a piedi- Intervenne Sagarra.
-O pensi che siamo come El Vaquilla o El Lute? Se vogliono prendermi, lo faranno quando sarò morto, te lo posso assicurare-
-Smettila- Protestò Mellado, prendendo a calci il suolo per scrollarsi di dosso il freddo o l'irrequietezza.
-E ora andiamo-
Camminano in fretta, con l'angoscia disegnata sul viso dalle loro espressioni. Tutti e tre indossano pantaloni tergali e si proteggono dal freddo con giacche abbottonate fino in cima. L'aria è così fredda che è difficile respirare, graffia la gola ed il viso. Uno di loro, quello che cammina in mezzo, forse il più anziano dei tre, tiene tra le labbra violacee una sigaretta bionda, il cui fumo svanisce in un cielo plumbeo che preannuncia l'arrivo imminente del freddo intenso. Si tratta di un Bison senza bocchino, che qualche settimana fa ha sostituito con le 3 Caravelle con bustina rossa.
Ecco cosa sono in quel momento, tre caravelle.
Il giovane alla sua destra fissa la locandina del film che verrà proiettato quel fine settimana al cinema Palafox. Questo è Il seduttore, di Clint Eastwood. Pensa che vorrebbe essere come lui. Dimentico della paura, indifferente al dolore. Determinato come un pistolero del selvaggio West che entra in un bar brandendo un revolver Colt ed intimidisce spudoratamente i clienti.
Quello a sinistra guarda la locandina che annuncia la terza settimana di proiezione al Teatro Fleta del film più premiato nella storia del cinema: Ben-Hur. Legge che ci saranno due spettacoli quel pomeriggio, uno alle sette ed un quarto e l'altro alle nove. Ma per una strana sensazione sa che quel pomeriggio, appunto, non potrà andare a vedere quel film od altro.
I tre si fermano davanti al numero 3 della via La Salle. Si scambiano alcuni sguardi d'intesa, cercando di confermare che ciò che hanno pianificato per tutta la settimana, finalmente verrà realizzato. Non c'è dubbio nell'espressione dei loro occhi. Non c'è esitazione, ma c'è paura.
A vent'anni non hanno il buonsenso di ripensare a ciò che faranno, ma nei loro occhi c'è una paura insolita, la paura del fallimento. L'avevano già sperimentata un paio d'ore prima, al bar Picón, ma era solo un mormorio indistinto, una scappatoia nel piano frettoloso, ed ora è una certezza.
Sono lì e non c'è tempo o motivo per annullare ciò che è stato detto. I tre si guardano.
Nei loro occhi contemplano che c'è sicurezza, o l'illusione di una sicurezza che possono controllare solo quando tutto è andato bene.
-Ci siamo?- Chiede Sagarra.
-Ci siamo!- Rispondono all'unisono.
Hanno ancora qualche secondo per ricordare come solo tre giorni prima si erano incontrati in una casa che i genitori di Luis Javier Sagarra hanno a Garrapinillos. Non è il leader, ma è quello con le idee più chiare. Lotta per convinzione, e quando qualcuno è convinto di qualcosa è impossibile che possa sbagliare. Gli altri lo conoscono con il soprannome "Fidel Guevara".
Fidel per Castro. Guevara per il Che.
Molto prima avevano già parlato approfonditamente dell'impresa che stavano per eseguire. Si erano incontrati alla locanda Venta de los Caballos, situata sulla strada di Madrid; altre volte a Casa Agustín, nel quartiere chiamato Delicias a Saragozza. Non sapevano ancora cosa, ma sapevano come e perché. Avevano convenuto che dovesse essere un'azione rapida, efficace e sensazionale. La stampa farà eco alla notizia, o così sperano. Deve essere un colpo così forte e spettacolare che negli ambienti universitari, a Saragozza, nel resto delle associazioni comuniste ed in tutto il Paese sarà segnalato come un grande progresso nelle rivendicazioni. In quelle conversazioni avevano deciso di assalire il Consolato Francese in via La Salle. Sarebbe un gesto semplice: entrerebbero dalla porta d'ingresso, che non è custodita, e minaccerebbero il custode e la segretaria. Sarebbe stato rapido: portare a termine il loro piano ed uscire dalla porta, sparpagliandosi subito dopo. Per giorni non ci sarebbero stati altri discorsi.
Non hanno nulla contro il Console, né contro il personale del Consolato, ma è così che vogliono lanciare un messaggio alla Francia, per il sostegno che dà al governo franchista nella lotta per porre fine ai movimenti che si stanno verificando a Bayonne. Un messaggio "rosso".
Un messaggio spaventoso per essere sicuri che i francesi ricevano l'avvertimento. Il piano è semplice: entreranno in Consolato, chiederanno chi è il console e gli getteranno addosso il flacone di vernice acrilica rossa, della marca Titanlux, che hanno comprato il pomeriggio precedente alla farmacia Alfonso del Coso. Fuggendo creeranno confusione e non c'è niente che causi più disordine di un incendio. Quindi alla stazione di servizio di Los Links hanno riempito una tanica di benzina da tre litri. Sorpresa, vernice, benzina e paura sono gli ingredienti che avrebbero reso la loro impresa un successo assicurato.
Andrà tutto bene, si ripetono tutti e tre. Tutto andrà come previsto.
Capitolo 2
I tre restano in piedi, inchiodati davanti al portone del palazzo del consolato, davanti all'indifferenza di pedoni e veicoli che viaggiano nei due sensi. È come se l'incudine di un fabbro inesistente avesse imprigionato i loro piedi ed impedito loro di avanzare. In strada c'è molto rumore. Movimento di persone che entrano ed escono dalla scuola La Salle, che è di fronte.
Rumore proveniente da un bar. Due bidelli chiacchierano mentre fumano. Un terzo spazza ancora la porta, fischiettando una canzone orecchiabile da uno spot televisivo. Ma, ed è questo che gli sorprende di più, non c'è nessuno alla porta del consolato, perché nessuno gli aspetta.
Quello in mezzo, Luis Javier Sagarra de Moor, getta il sigaro sul marciapiede, sotto lo sguardo vigile ed impassibile del portiere della cascina accanto, che in quel momento fa roteare con la sua scopa una serie di mozziconi di sigaretta. Sagarra porta nella mano sinistra una borsa sportiva che aveva acquistato il venerdì precedente nei negozi Galerías Primero, in Calle San Jorge, per 349 pesetas. Al suo interno ospita la tanica di benzina da tre litri e la tanica da mezzo chilo di vernice rossa; il rosso è il colore comunista per eccellenza. Quello che è rimasto pensieroso alla sua sinistra è José Antonio Mellado Romero, che tiene anch'egli stretta una borsa, dove nasconde due pezzi di cavo elettrico ricoperti di plastica bianca, lunghi due metri ciascuno. Álvaro Noguera Calvet, quello di destra, nella tasca della giacca porta solo una scatola di fiammiferi, con cui ha acceso il mezzo pacchetto di sigarette che ha fumato da quando si è alzato.
-Andiamo- Dice Sagarra con voce tremante.
Noguera e Mellado annuiscono. Sanno già cosa devono fare e come lo faranno. Hanno tutti giurato un impegno incrollabile nel caso in cui non andasse come previsto.
-E se ci prendono?-
-Se ci prendono, qualunque cosa accada, nessuno di noi deve cantare, anche se ci picchiano, anche se ci torturano, anche se, come è successo al compagno di Madrid, ci buttano giù dal balcone del commissariato con un proiettile conficcato nella clavicola-
-Maledetti!... Maledetti poliziotti al servizio della repressione!-
Tutti e tre ricordano come, il 20 gennaio 1969, uno studente di legge ventunenne di nome Enrique Ruano Casanova morì cadendo dalla finestra al settimo piano di un edificio situato in via General Mola a Madrid. Il giovane era in quel momento accompagnato dai poliziotti della temibile ed implacabile Brigata Politico Sociale, che avevano perquisito la sua abitazione alla ricerca di opuscoli comunisti od anarchici. Solo tre giorni prima era stato arrestato mentre distribuiva volantini per il Fronte di Liberazione Popolare, noto come “Felipe”, un gruppo illegale di sinistra in cui era attivo.
Le circostanze della morte di Ruano erano state fin dall'inizio eccessivamente sospette.
La versione ufficiale, come sempre, affermava che il giovane militante era stato rapito dalla sua natura depressiva ed è per questo che si era buttato dalla finestra del suo appartamento.
La stampa aveva aggiunto che la polizia aveva fatto di tutto per evitarlo, ma che era riuscito a scappare ed a saltare. C'erano prove che il giovane fosse stato colpito prima di gettarsi nel vuoto, ma il silenzio del Regime aveva reso impossibile la dimostrazione. E gli agenti di polizia che avevano partecipato alla perquisizione non solo erano rimasti impuniti, ma vennero decorati appena un mese dopo l'evento.
La dittatura sa premiare chi la serve bene.
-Non morirò come Enrique Ruano...- Lo sguardo di Sagarra incrocia quello inquieto di una donna che stava passando in quel momento sul marciapiede.
-Neanch'io- Ripetono Mellado e Noguera.
Guardano a destra ed a sinistra per assicurarsi che non ci siano poliziotti in servizio nelle vicinanze del Consolato. La porta è ancora vuota come quando sono arrivati. La via La Salle è un'area appositamente sorvegliata ed è probabile che una pattuglia passi e gli scopra, quindi non dovrebbero perdere altro tempo. Sagarra ha il compito di verificare che nessun passante e nessun conducente delle auto che attualmente circolano per strada si siano accorti di loro.
Ora mormora come se stesse masticando dei sassi, stringendo i pugni nelle tasche.
Il portiere, Lamberto Gracia Vicente, sessantaquattro anni, gli scruta alla ricerca di un motivo che spieghi perché tre giovani spagnoli accedano alla sede del Consolato a quell'ora di un giovedì mattina. Il console non riceve molte visite, in quanto non sono anni di problemi con i cittadini del paese vicino. È un tempo di calma e buon vicinato tra una dittatura morente ed una repubblica che comprende ed accetta quella dittatura. La Francia, come è stato dimostrato dopo la guerra, è stata un paese amico e comprensivo con gli eccessi del regime franchista.
Salgono al primo piano e bussano alla porta. La segretaria del Console Francese, la signora María Luz Marqueta Berdejo, apre la porta.
-Cosa desiderate?-
-Il console?- Chiedono.
-Avete un appuntamento con lui?- Si informa la segretaria.
I tre si guardano con la confusione ben delineata sui loro giovani volti irrequieti.
-No-
-Senza appuntamento non viene- Borbotta lei.
La segretaria chiude la porta da cui entrava l'aria gelida della strada e gli fa accomodare in una sala d'attesa. Un lungo corridoio a destra che conduce ad un bagno ed ad una cucina. A sinistra ci sono due stanze ed in una di esse osservano, attraverso la porta aperta, due uomini seduti attorno ad un tavolo.
-Aspettate cortesemente qui- Dice loro.
-Non appena l'incontro sarà finito, gli chiederò se vi può incontrare.
I due uomini stann...
Indice dei contenuti
- Titolo Pagina
- Copyright Pagina
- Prefazione
- Capitolo 1
- Capitolo 2
- Capitolo 3
- Capitolo 4
- Capitolo 5
- Capitolo 6
- Capitolo 7
- Capitolo 8
- Capitolo 9
- Capitolo 10
- Capitolo 11
- Capitolo 12
- Capitolo 13
- Capitolo 14
- Capitolo 15
- Capitolo 16
- Capitolo 17
- Capitolo 18
- Capitolo 19
- Capitolo 20
- Capitolo 21
- Capitolo 22
- Capitolo 23
- Capitolo 24
- Capitolo 25
- Capitolo 26
- Capitolo 27
- Capitolo 28
- Capitolo 29
- Capitolo 30
- Capitolo 31
- Capitolo 32
- Capitolo 33
- Capitolo 34
- Capitolo 35
- Capitolo 36
- Capitolo 37
- Capitolo 38
- Capitolo 39
- Epilogo dell'autore
- Appendice 1
- Appendice 2
- Allegato 3

