1.
Stava piovendo, a quanto pare, ma lei non se ne preoccupava, avrebbe indossato le scarpe adatte e fatto una passeggiata fino a Plash. L’ansia le impediva di stare ferma, e quasi le procurava dolore. Nelle vuote stanze della casa, sentiva voci che la spaventavano, e le facevano affiorare i più odiosi presentimenti. Aveva deciso di andare a fare visita alla signora Berrington, che amava per la sua semplicità, e alla vecchia Lady Davenant, che abitava con lei e che trovava interessante per motivi completamente diversi, che non avevano nulla a che fare con la semplicità. Poi sarebbe tornata dai bambini per un tè, amava sempre di più passare l’ultima mezz’ora nello studio, mangiando pane e burro, con le candele e il fuoco dai bagliori rosso vivi, mentre la signora Steet, la governante, parlava a bassa voce e in compagnia dei suoi deliziosi nipotini Scratch e Parson (i cui soprannomi farebbero pensare a dei cuccioli), con quei loro corpi sodi, e al tempo stesso così morbidi, e con gli occhi che si incantavano quando raccontava una storia. La casa di Plash era un lascito ereditario e distava da Mellows, passando per il parco, un miglio e mezzo circa. Anche se aveva piovuto, ora la pioggia era cessata, e nell’aria ancora umida, che velava l’intenso verde delle foglie, emanava il gradevole odore di terra bagnata; i sentieri erano lisci e compatti, e si poteva camminare speditamente.
La ragazza era in Inghilterra da oltre un anno ormai, ma non si era ancora assuefatta a certi piaceri che le davano un’enorme gioia; tra questi c’era la campagna, la facilità con cui poteva accedervi, e le soddisfazioni che provava vivendoci. Era tutto un grande parco: dentro e fuori i cancelli senza soluzione di continuità. Era come se fosse una grande “proprietà privata”. Perfino il nome, Plash, strano e antico, continuava ad affascinarla; così come la incuriosiva il fatto che la casa fosse un’assegnazione legittima. Un piccolo nido dalle rosse mura coperte di edera dove la vecchia signora Berrington si era ritirata quando suo marito, alla morte del padre, ne aveva ereditato i possedimenti. Laura Wing aveva pensato che sarebbe stata un’ingiustizia defraudare la vedova delle proprietà del marito, specialmente al declinare della vita, quando gli onori e la ricchezza le sarebbero spettati più che mai. Tuttavia, man mano che veniva a conoscenza di molti fatti connessi a quel provvedimento, la sua convinzione andava attenuandosi così come, presto o tardi, si dileguarono quasi tutti i giudizi negativi espressi nei confronti delle istituzioni inglesi. Le ingiustizie in quel paese riuscivano sempre a essere pittoresche, si raccontava di case ereditate per legittima dalle vedove perfino nei romanzi, soprattutto in quelli in cui veniva descritta la vita mondana di quella società, che aveva fatto sognare l’ultima parte della sua fanciullezza. L’ingiustizia, di solito, non impediva che queste case fossero abitate da vecchie signore dai nostalgici ricordi e dalle voci particolarmente garbate che, nonostante le disgrazie passate, avevano ereditato una grande quantità di trine sontuose.
Quando fu a metà strada, nel parco, Laura si fermò improvvisamente sopraffatta da una pena, una fitta dell’anima, che quasi le tolse il respiro; guardò i campi velati di nebbia e i cari vecchi faggi a lei così familiari ormai e che amava come se fossero suoi; e nella loro squallida nudità invernale sembrava conoscessero la sua inquietudine rendendola consapevole di come tutto fosse cambiato. Un anno prima non era a conoscenza di nulla; ora invece sapeva quasi tutto; e le cose più terribili (o almeno le paure più sottili che ci aveva costruito sopra) le aveva conosciute proprio in quel luogo delizioso, pervaso di pace e purezza, di un sentimento di felice sottomissione a una legge eterna. Il luogo era sempre quello, ma gli occhi con cui lo guardava erano cambiati perché avevano assistito, in così poco tempo, a situazioni tanto tristi e terrificanti. Sì, il tempo era stato molto breve e ogni esperienza singolare. Laura Wing si sentiva troppo agitata perfino per sospirare e continuò a camminare con passi così leggeri che sembrava avanzasse in punta di piedi.
L’aria umida faceva risplendere la casa di Plash, il variegato color rosso dei muri e il piccolo ma perfetto prato antistante la casa sembravano realizzati dal pennello di un artista. Lady Davenant, seduta in salotto su una bassa sedia accanto alla finestra, era intenta a leggere il secondo volume di un romanzo. Le superfici crespe dei tessuti di chintz, i fiori freschi sistemati dovunque, la carta della tappezzeria, testimone del cattivo gusto del passato, e tuttavia mantenuta per ragioni di economia e quasi interamente coperta da disegni di pittori dilettanti e di stampe di buona fattura inserite in larghe cornici sormontate da una sottile striscia dorata, rendevano l’atmosfera immobile nel tempo. La stanza aveva un carattere vivace, solido, piacevole, qualità che Laura Wing aveva imparato ad amare in moltissime cose inglesi: sembrava fatta per essere usata quotidianamente, per lunghi anni, per vivere una vita tranquilla. Ma oggi più che mai sembrava incongruo che quella casa, dall’aspetto così genuino e rassicurante, con tutto quel chintz, i ritratti dei poeti inglesi, i logori tappeti e quegli oggetti artistici poco raffinati, ospitasse delle vite così amorali.
È chiaro, tuttavia, che le vite sbagliate a cui ci si riferisce, non erano quella della vecchia signora Berrington e neppure quella di Lady Davenant, che lo erano solo indirettamente. Se Selina e le sue azioni non implicavano l’esistenza di un’interiorità, probabilmente era dovuto al fatto che lei veniva da tanto lontano ed era ancora estranea a quella società. Eppure fu qui, non a Plash, ma a Mellows che le si presentò la grande occasione per via di tutti quegli influssi che l’avevano tanto cambiata (sua sorella pensava che potesse aver subito una mutazione, poiché da piccola sembrava l’incarnazione stessa dell’innocenza). I due luoghi, infatti, avevano moltissimo in comune e c’erano delle stanze della casa più grande che sembravano la copia del salotto della signora Berrington.
Lady Davenant portava sempre in testa un ornamento bizzarro, originale e giusto per lei, una specie di velo bianco, un mantello che si piegava a punta sulla fronte all’altezza dell’attaccatura dei suoi lisci capelli, e scendeva giù fino a coprirle le spalle. Il velo era sempre morbido e fresco e la ragazza aveva l’impressione di avere davanti un bel ritratto e non una persona vera. Nonostante fosse molt...