Epiche
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Altre imprese, altre narrazioni

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Altre imprese, altre narrazioni

Informazioni su questo libro

Esiste un'epica femminile?I saggi raccolti nel volume partono da questa domanda, e perciò indagano la definizione stessa di questo genere antico e in continua trasformazione, rintracciando le forme possibili di un'epica "altra", nell'oscillazione e ancor più nello scarto che sempre si evidenzia quando entri in gioco la differenza sessuale. Le autrici si muovono intorno a parole-chiave – eroina, impresa, coraggio, mondo, spostamento – in percorsi di lettura e proposte interpretative che spaziano dalla letteratura italiana del Novecento (Morante, Cialente, Masino, Sapienza), alla scrittura modernista di Hilda Doolittle; dalla poesia di Alice Notley, voce di primo plano nel mondo anglofono seppur poco nota in Italia, ai romanzi di Doris Lessing "epica cantatrlce dell'esperienza femminile" secondo la motivazione del Nobel conferitole nel 2007, fino ad autrici contemporanee italiane e straniere (da Helen De Witt a Caterina Venturini, da Anne Tyler a Valeria Parrella) che disegnano una "epica del quotidiano". In un dialogo costante tra figure del passato (Elena, Penelope, Antigone…) ed emergenze del nostro presente, trovano il loro posto narrazioni di esilio e migrazione – Scego, Dones, Vorpsi, Ghermandi, Ali Farah; ma anche voci di giovani donne italiane che come tante e tanti hanno voluto/dovuto scegliere di vivere altrove – e romanzi e film intorno alla nascita dell'India e alla diaspora indiana.

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Tracce di Elena
Marina Vitale
“Una io ne scelgo”: re-visioni, narratività, palinsesti
Non già ch’io tutte le fatiche illustri
Ricordar sol del pazïente Ulisse
Possa, non che narrarle: una io ne scelgo...
parole di Elena in Odissea, IV, 310
(trad. di Ippolito Pindemonte)
Nel 2002 la videoartista e performer americana Joan Jonas presentò all’undicesima edizione di Documenta (la grande manifestazione di arte contemporanea di Kassell) un’opera composita, costituita di video proiettati su schermi multipli e di performance dal vivo, di cui si può ancora apprezzare una traccia su alcuni siti di istituzioni dedicate all’arte, tra i quali quello del museo di Brooklyn1. L’evento artistico-teatrale, intitolatoLines in the Sand, prendeva lo spunto da Helen in Egypt (H.D. 1961)2,un poema molto complesso di Hilda Doolittle – più nota con lo pseudonimo H.D. – in cui si alternano versi e prosa, e dal quale è tratta la maggior parte degli inserti verbali che forniscono una componente dell’ambiente sonoro. Provengono da tale fonte i pochi accenni informativi espliciti sull’intenzione dell’artista di rivisitare la mitica figura di Elena, sulla quale, fin dall’antichità, si sono incrostate interpretazioni contrastanti. Quasi all’inizio dell’evento una figura, vestita in dimessi abiti contemporanei, legge poche parole da un testo appoggiato su un leggio3. Le sue parole riproducono, quasi letteralmente, la didascalia in prosa in apertura della prima parte di Helen in Egypt, intitolata “Pallinode” (Palinodia):
Conosciamo tutti la storia di Elena di Troia, ma pochi di noi l’han­no seguita in Egitto. Come ci arrivò? Stesicoro è stato il primo a parlarcene nella sua Palinodia. Secondo lui, Elena non era mai stata a Troia. Era stata trasposta, o tradotta, in Egitto. Elena di Troia era un fantasma, che era stato sostituito alla vera Elena. I greci, come pure i troiani, combatterono per un’illusione.4
Sugli schermi già si disegnano le proiezioni di piccoli gesti compiuti dal vivo da alcune persone in abiti quotidiani, le cui figure appaiono stranamente trasfigurate in forme ieratiche, simili a quelle dei vasi attici. Gesticolano come se recitassero, o tracciano linee essenziali su una lavagnetta, o su un quadrato di sabbia racchiuso tra assi di legno. Gli schermi ingigantiscono i disegni quasi infantili che vengono subito cancellati e incessantemente ridisegnati: il delta di un fiume, una piramide stilizzata, una forma vagamente somigliante a un pittogramma. Altre figure indossano maschere di animali (che forse richiamano le teste di certe divinità egizie). Siedono su sedie disposte accanto a una specie di lettino da solarium, che potrebbe alludere a quello dello psicoanalista. Le proiezioni si complicano, evocando vedute turistiche di piramidi e sfingi smerigliate dal tempo, spesso emergenti da vecchie foto ingiallite, reduplicate in una fuga di immagini en abîme, mescolate a visioni fugaci di paesaggi contemporanei degradati. Sul loro sfondo, più tardi, si metteranno in posa figurine di osservatori-turisti, per farsi inquadrare da una macchina fotografica o da una telecamera, che spesso sembra fare le riprese attraverso il finestrino di un veicolo in movimento. Il gioco scenico continua con la costruzione di piccoli cumuli di sabbia o di mattoni che assumono sugli schermi dimensioni monumentali e, allo stesso tempo, l’aspetto di rovine. Ben presto la piramide, preceduta da un’immensa sfinge e completa di palme svettanti, si rivela come il gigantesco simulacro kitsch che ospita le 2.300 stanze e il casinò dell’albergo Luxor di Las Vegas. Rutilanti videate di giochi elettronici e mosse ammiccanti di un prestigiatore, che fa apparire dal nulla delle carte da gioco, trasformano sardonicamente l’alea del fato greco in quella del gioco d’azzardo5.
Su questo fondale mobile e inquietante, l’artista-attrice recita alcune battute, slegate, ma estremamente suggestive, di Helen in Egypt, intercalate a piccoli brani di un’altra opera di H.D., Tribute to Freud (1970)6,omaggio al fondatore della psicoanalisi con il quale la scrittrice era stata in analisi nel 1933 e, nuovamente, l’anno successivo. Il sonoro fornisce altre tracce mescolate tra loro in modo labirintico, con una tecnica di missaggio che si avvale della collaborazione di un vero giocoliere delle commistioni sonore, il DJ Spooky, alla cui produzione ben si attaglia la definizione, da lui medesimo coniata, di “instant classic”7. La filosofia stessa alla quale si ispirano le ri-creazioni musicali di questo e altri DJ è perfettamente in accordo con lo scavo memoriale, l’ibridazione testuale e la re-visione culturale di cui le “linee nella sabbia” di Joan Jonas offrono un esempio molto coinvolgente, riallacciandosi all’opera di una grande pioniera della re-visione.
Infatti i testi di H.D. ai quali l’installazione esplicitamente si ispira sono, già di per sé, caratterizzati da un intreccio di molteplici piani espressivi che ne fanno un “palinsesto”, per usare un termine molto caro a questa scrittrice.La tecnica della stratificazione è la marca stilistica della sua esigenza di esprimere un contenuto psichico e immaginativo a sua volta articolato come lo spaccato di una roccia sedimentaria o la sezione di uno scavo archeologico. Questo modo di rapportarsi alla realtà fisica e spirituale era senza dubbio legato ad atteggiamenti mentali suoi propri, radicati forse in una formazione infantile sulla quale ella stessa ci offre affascinanti sprazzi in sue opere quasi-autobiografiche8. Ma era anche in consonanza con concezioni di forte impatto sulla cultura del primo Novecento: da un lato, gli importanti ritrovamenti e gli schemi interpretativi elaborati dalla scienza archeologica, e dall’altro le esplorazioni nell’inc...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. informazioni
  3. frontespizio
  4. Introduzione
  5. Un altro epos: scrittrici del Novecento italiano
  6. L'epica che non c'è. Tre autrici della sconfitta
  7. Estranee alla grammatica della Storia - eroine indiane della connessione
  8. Regine, scimmie ammaestrate, viaggiatrici - eroine nel cinema indiano della diaspora
  9. Dal fondo del tempo. Epiche di esilio e migrazione
  10. Tracce di Elena
  11. Una catabasi contemporanea - The descent of Alette di Alice Notley
  12. Per un'epica del quotidiano
  13. L’ira, la guerra, la cura e la parabola di Martha Quest
  14. Pratiche di attraversamento. La rabbia
  15. Le autrici
  16. la casa editrice