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Gioventù partigiana
Memorie 1943 - 1945. Canavese, San Mauro, Langhe, battaglia di Alba, liberazione di Torino
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Gioventù partigiana
Memorie 1943 - 1945. Canavese, San Mauro, Langhe, battaglia di Alba, liberazione di Torino
Informazioni su questo libro
Scritte nel 1953 e lasciate in un cassetto, riemergono oggi le memorie di un ragazzo che partecipò alla Resistenza piemontese. Dalle azioni di sabotaggio in montagna alla battaglia di Alba, fino alla liberazione della città di Torino. La città brulica di partigiani, ci sono rappresentanze di tutte le formazioni del Piemonte, fazzoletti multicolori, bandiere, musiche, canti, discorsi e la grande sfilata da piazza Vittorio al lungo Po, al Valentino a corso Vittorio. La popolazione assiepata nelle strade esulta; finalmente la guerra, le paure, le privazioni, tutto è finito e tutti sognano ora un futuro roseo di benessere, di pace, di giustizia sociale: è il 2 maggio 1945Introduzione: Massimo RendinaPrefazione: Alessandro Portelli
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Informazioni
Capitolo 1
XX Brigata Garibaldi, nel Canavese
(giugno-luglio 1944)
Gli esami di maturità sono finiti, e mi sono rimasti solo due esami da ripetere per la sessione di settembre: Storia e Matematica. Ora mi sento più libero e vorrei realizzare il proposito maturato l’inverno del ’43 nell’alta valle di Lanzo, a Breno di Chialamberto, osservando nascere e crescere giorno per giorno dall’8 settembre in poi i primi nuclei di partigiani.
Studiavo presso i Ciaffi, una famiglia di professori, tutti intellettuali antifascisti di lunga data. Il mio sogno era di far parte di un gruppo partigiano, di combattere per questi nuovi ideali che avevo iniziato a conoscere e ad ammirare e che stavano prendendo forma nella mia mente. Come è stato possibile vivere tanti anni nell’oscurantismo, con un’educazione falsa imposta dal regime, la superiorità della razza ariana, le colonie quale soluzione dei problemi economici, il potere di un partito unico, il culto dell’uomo, del dittatore? Come è stato possibile vivere senza sapere che al di fuori del nostro paese si lottava per far riconoscere i diritti di tutti a una giustizia sociale, all’educazione, a una vita migliore indipendentemente da colori, razze, religioni? Senza sapere che quasi ovunque era acquisito il diritto alla lotta di classe, alla libertà di opinione, alla partecipazione di tutti al governo del paese attraverso libere elezioni.
Ho scoperto, sto scoprendo la verità, non ho dubbi, tutto diventa chiaro. Vale la pena di buttarsi e di partecipare alla costruzione di un mondo migliore, grande, unito, senza più divisioni e barriere! A San Mauro, dove la mia famiglia ha la residenza di campagna, vive il cugino Zaverio Mochino1 che è del 1924, due anni più di me. Nell’inverno del 1943-44 è già stato in una formazione partigiana su nel Canavese; poi si era ammalato ed era dovuto tornare a casa, ma ora si è rimesso. Lo vado a trovare, si discute, si ragiona e finalmente si decide, partiremo insieme fra due giorni: lui, che conosce la zona, mi farà da guida. È fatto.
Ho informato mamma e papà. Sono tristi ma non dicono nulla, nessuno cerca di fermarmi. Papà è a letto con una crisi di cuore; questo pensiero mi torturerà a lungo e ne avrò sempre il rimorso. Giunge la partenza, sono tutti in lacrime. La mamma mi ha cucito un po’ di soldi in un angolo della fodera della giacca per casi di urgenza, dice.
Inforchiamo la bicicletta e via! Per non dare nell’occhio non porteremo nulla con noi, se non i vestiti che abbiamo addosso. Hanno raccomandato a Zaverio di prendersi cura di me. Abbiamo detto loro dove andremo e papà cercherà di mandarci in seguito un sacco da montagna con un cambio di vestiti e qualche altra cosa di prima necessità. Lo manderà infatti dopo una settimana con l’autista della ditta2, Visetti, che salirà in bicicletta, ma il sacco lasciato al posto di blocco a Pian d’Audi con la promessa di farcelo giungere non ci arriverà mai. Abbiamo raggiunto Corio e poi Pian d’Audi senza inconvenienti né incontri; lì c’è il posto di blocco e un po’ più su si trova il comando della XX Brigata Garibaldi. Ci accolgono, ci interrogano e poi ci smistano su in alto, ad un distaccamento di montagna alla base delle pendici dei monti Soglio e Angiolino.
Dovevamo presentarci al Comandante del Distaccamento che si chiama “Pierin d’la Fisa” (fisarmonica)3. È un operaio della Fiat e viene dal quartiere di Porta-Palazzo, uno dei più popolari di Torino, un giovane dall’aria decisa, viso aperto e gioviale. Ci chiarisce la situazione: è un momento di grande affluenza in montagna; da un lato i fascisti e i tedeschi si sono fatti più determinati e hanno iniziato a rastrellare i giovani di leva – e gran parte dei carabinieri che sono sempre rimasti finora in servizio senza essere toccati – per mandarli a lavorare in Germania; dall’altra è primavera e con il tempo buono la montagna fa meno paura. Così in questa valle di Corio ci sono più di duemila nuove reclute e il numero cresce di giorno in giorno. Non ci sono indumenti, non c’è molto cibo, e soprattutto non ci sono armi; anche gli alloggi scarseggiano. Bisognerà adattarsi!
Il distaccamento di Pierino è composto da più di duecento persone; c’è un gruppo di un centinaio di soldati cecoslovacchi che erano stati reclutati nell’esercito tedesco e sono fuggiti con i partigiani con armi e bagagli, e sono tutti in divisa, gli altri sono giovani come noi senza armi e mal vestiti. Ci hanno dato una coperta a testa che ci teniamo ben stretta e ci hanno assegnato una grangia (costruzioni di pietra che in montagna fungono da stalla per le mucche quando dalle pianure salgono al pascolo alto). La grangia servirà per una ventina di noi. Si dorme sulla paglia, gli uni accanto agli altri, avvolti nelle coperte. Per bere e per lavarsi c’è una fonte con dell’acqua freschissima che esce da un tubo di ferro; per mangiare cucinano il rancio in un gran bidone – quelli da 200 litri per i carburanti – con sotto un fuoco di legna. La sbobba è composta invariabilmente di riso con qualche patata e pezzi di carne. Si cucina all’aperto, vicino alle grange, che per via del passaggio recente delle vacche che ora stanno più in alto, sono piene di mosche. Tutto è bollito finché si condensa, e quando la cottura è completata si lascia riposare la zuppa, le mosche vengono a galla e la superficie si fa completamente nera. Allora il cuoco dà qualche bella schiumata col mestolo e inizia a distribuire il rancio che sarà accompagnato da un pezzo di pane e dal corredo di quattro sigarette “popolari”.
I partigiani si mettono in fila con dei recipienti in mano ma, a parte i soldati cecoslovacchi che hanno le loro gavette, per gli altri ci sono appena una trentina di tazze e di piatti, così bisogna aspettare che i primi abbiano finito per poter mangiare; di mosche ne rimangono comunque sempre in mezzo al riso e si cerca come si può di gettarle; il cibo è insipido e appena sufficiente.
Non ci sono che pochi cucchiai e chi ce l’ha se lo tiene gelosamente in tasca. In un mucchio di immondizia trovai il pezzo di ceramica del bordo di un piatto fondo, lo ripulii e quello fu il mio cucchiaio per tutto il periodo che rimasi lì.
Intanto per non farci rimanere in ozio i comandanti avevano escogitato un piano di attività: si erano stabiliti dei turni di guardia di notte che capitavano almeno tre volte la settimana e duravano dalle cinque alle sei ore. Venivamo armati di moschetti e disposti in vari siti della valle; durante il giorno si facevano marce d’addestramento in montagna che ci portavano a riconoscere il territorio circostante; infine a turno, quando a Pian d’Audi arrivavano i camion dalla pianura che portavano su viveri, pane, riso, patate, andavamo a scaricarli, a ordinare i sacchi nel magazzino del comando e a caricare i muli che portavano i viveri sulla montagna a ogni distaccamento.
Ricordo che non ero particolarmente felice, non mi preoccupava la vita grama, piuttosto il fatto che non c’erano riunioni, né discussioni sulle idee, sui principi che ci avevano portati lassù. Non si facevano progetti per il futuro nostro e del nostro paese; la vita scorreva monotona e tutti sembravano soprattutto preoccupati a far scorrere il tempo, e a sopravvivere. Mi sentivo un po’ disilluso per quel che avevo immaginato nella mia fantasia di ragazzo ancora quasi adolescente. Anche il cugino Zaverio e gli amici occasionali trovati lì cominciavano a scoraggiarsi. Si comparava, con deduzioni negative, la vita del posto ad altre esperienze fatte o viste nelle altre valli.
Erano passati quasi due mesi ed eravamo giunti verso la fine del luglio ’44. Correvano voci strane, bisbigliate: si diceva ad esempio che giù, al comando di Pian d’Audi si gozzovigliava negli agi con donne e liquori, mentre noi qui su abbandonati si faceva miseria e fame, si diceva persino che c’erano prove che viveri, vestiti e coperte invece di raggiungere la montagna venissero venduti dal gruppo del comando per far soldi.
Il tempo continuava a passare uguale. Poi notammo negli ultimi giorni, nelle ore serali, degli andirivieni di gruppi dei più vecchi in riunione con i capi dei distaccamenti e una notte degli ultimi giorni di luglio fummo svegliati da colpi di arma da fuoco e raffiche di mitragliatori giù nel fondo valle. Il mattino Pierino era di ritorno dalla valle con alcuni dei più fidi. Ci riunì tutti e spiegò quello che era avvenuto: disse che da molto tempo un gruppo di avventurieri si era imposto al comando e aveva iniziato a deviare i fondi, le forniture e i viveri a suo unico beneficio; vari comandanti subalterni sospettavano da un certo tempo di questo stato di cose ma avevano dovuto attendere per avere delle prove sicure. Poi si erano riuniti e avevano deciso di far piazza pulita: così quella notte il comando era stato circondato, i vari membri messi alle strette e indotti a confessare. I colpevoli, che non erano poi tutti, erano stati fucilati; si era eletto un nuovo comandante, un uomo provato, antico antifascista militante che sarebbe stato coadiuvato da un Consiglio formato dai vari comandanti dei distaccamenti di montagna. Le cose sarebbero d’ora in poi migliorate in tutti i sensi. Disse che potevamo essere più tranquilli e fiduciosi.
Ma!... Non ci fu molto tempo per attendere i cambiamenti sostanziali. Il 2 di agosto al mattino presto giunsero delle staffette dal fondo valle con notizie allarmanti. Sembrava che i fascisti e i tedeschi stessero aggirando tutta la valle e apprestandosi a sferrare un grande rastrellamento.
Tutti i gruppi armati furono convocati per riunirsi più in basso ad occupare posti prestabiliti di difesa. Il grosso dei disarmati doveva tenersi invece pronto a evacuare verso le cime delle Alpi circostanti.
Verso le ore nove iniziarono i colpi dei mortai, le raffiche delle mitragliatrici prima lontane e sporadiche, poi sempre più fitte e più vicine. I colpi dei mortai e delle granate cominciarono a piovere prima in basso poi più su, vicino alle nostre grange. Si decide l’evacuazione fra i colpi, gli scoppi, il fumo; gli uomini salgono in fila allontanandosi. Mi sono attardato e, quando vedo che non c’è più nessuno, indifferente agli scoppi che si fanno più vicini, mi avvio alla baracca in legno che fa da dispensa, dove la porta è rimasta aperta. Afferro un pane, un grosso pezzo di burro e un sacchetto di zucchero, li avvolgo nella mia vecchia coperta che butto sulle spalle a mo’ di sacco, e via di corsa su per il sentiero che risale il pendio della montagna.
Dopo tre ore di marcia raggiungo un pianoro in alto, vicino alle cime dei monti Soglio e dell’Angiolino; è un largo spazio in alta montagna popolato di mucche che pascolano libere al sole e c’è una grande malga con dei pastori, a circa 1700 metri di quota. Il rumore dei combattimenti si è affievolito salendo gradualmente e lassù regna una calma completa, sembra d’essere in un mondo divers...
Indice dei contenuti
- Copertina
- informazioni
- frontespizio
- ringraziamenti
- citazioni
- dedica
- Prefazione di Alessandro Portelli
- Introduzione di Massimo Rendina
- Nota al testo
- Elenco abbreviazioni
- Premessa
- foto1
- foto2
- foto3
- foto4
- foto5
- foto6
- Capitolo 1: XX Brigata Garibaldi, nel Canavese (giugno-luglio 1944)
- foto7
- foto 8
- Capitolo 2: Gioventù d’Azione, Divisione “C” Giustizia e Libertà a San Mauro – Torino (novembre 1944-marzo 1945)
- foto 9
- foto 10
- Capitolo 3: III Divisione Langhe Giustizia e Libertà (marzo 1945-settembre 1945)
- foto 11
- foto 12
- Capitolo 4: Azione su Alba (15 aprile 1945)
- Capitolo 5: Venticinque aprile 1945
- Capitolo 6: Il Comandante Marco (Giuseppe Martorelli)
- Conclusioni
- Documenti: Relazione sull’attacco di Alba nei giorni 14 e 15 di Giuseppe Martorelli
- Riferimenti bibliografici
- la casa editrice