Siamo psicologicamente predisposti alle relazioni
e al cambiamento. Recuperiamo queste capacità!
Delle RELAZIONI
Brutti tempi per le relazioni. Non siamo forse nella società della produttività e dell’efficienza, che favorisce la competitività piuttosto che la collaborazione, l’individualismo piuttosto che l’altruismo? Non siamo forse immerse/i e sommerse/i in quella “cultura del narcisismo” che privilegia l’apparire all’essere, l’immagine alla sostanza? E gli amori, le relazioni sentimentali sempre più caratterizzate da separazioni, divorzi, la famiglia un fenomeno cangiante, più che in crisi in tensione per i cambiamenti che l’attraversano. Comunque sempre meno una “questione di natura”, in difficoltà a fornire relazioni soddisfacenti e di sostegno. Se di scelta si tratta, non si può considerare solo le coppie eterosessuali, ma anche quelle omosessuali. Con diritti di convivenza e di matrimonio, proprio come chiunque altro/a. E anche di avere bambini, come reclamano sempre più a gran voce, le coppie gay e lesbiche. Perché il ruolo di cura e di educazione può essere esercitato altrettanto bene da chi genitore biologico non è. Queste dinamiche, comuni a tutte le società avanzate, in Italia sono ulteriormente aggravate dall’arretratezza istituzionale.
Uno Stato che ha delegato il welfare alla solidarietà familiare e le scelte sui grandi temi della vita e della morte alla Chiesa cattolica, che non investe nei piccoli e non protegge i vecchi non autosufficienti, non riconosce le coppie di fatto e fatica a riconoscere i diritti degli immigrati, è frutto di una democrazia debole e di una cultura politica e civile dove maschilismo, familismo e razzismo formano spesso una miscela esplosiva.
Chiara Saraceno
Uomini spesso disorientati e fragili, tra consumismo, crisi del patriarcato e globalizzazione. A rischio di cercare l’identità perduta in schegge di machismo, che certo non li aiuta a farsi carico delle loro vulnerabilità e a cercare altre strade. A volte anche violenti, quando non sanno uscire dalla dinamica del controllo e sottomissione.
Donne sempre più istruite, più brave a scuola, che si laureano prima dei coetanei, ma più disoccupate e che, quando lavorano, guadagnano di meno. Comunque piene di energia, capaci di sognare e di rinnovarsi. Donne che faticano a relazionarsi con l’altro genere, che trovano comunque il coraggio di essere se stesse e di stare in relazione sempre di più con altre donne.
Guardo alle generazioni che hanno fatto il Sessantotto e il femminismo: vibratile, inquieta, vitale, la generazione che ci ha insegnato a essere esigenti, a pretendere molto dagli uomini e dalla loro intelligenza.
Valeria Parrella
Donne che non sono a disposizione, che vivono oltre il velinismo e gli scandali del potere; che cercano ancora di stare in coppia, ma in una dimensione nuova: l’unione di due individui distinti; che cercano l’amore incondizionato, ma che non vuol dire senza condizioni; che cercano di esserci nelle relazioni pur essendo durissimo tenerle in piedi. Donne che della politica delle relazioni hanno fatto la loro politica: il desiderio di stare nella relazione senza esserne schiacciate, prendendo delle distanze, salvaguardando il sé.
È la capacità di stare in una situazione di confine, fatta dell’intreccio tra cura e separazione [...] basata sull’attenzione del sé a sé, che abbandona come zavorre inutili il diritto di risarcimento e il pregiudizio di insostituibilità.
Marina Piazza
Dove la cura può e dovrebbe essere intesa non solo come gabbia, ma anche come nutrimento interno. Propensione alla cura che non va rinnegata, ma rivista e rivisitata, liberandola dagli aspetti autopunitivi e punitivi verso gli altri. Una dimensione nuova anche per me, che in passato ho visto la cura e l’accudimento più come affanno e distrazione dai miei progetti, che come piacere. Tra l’altro ho avuto poche occasioni di occuparmi di anziani, malati e bambini.
La nonna, che viveva con mia madre, che l’ha assistita nella breve malattia, è morta mentre le tenevo la mano, un giorno che ero andata a farle un po’ di compagnia. Con mia madre, quando ha avuto bisogno di andare in ospedale per un piccolo intervento, ho organizzato la parte medicale e l’assistenza, sottraendomi alla cura più diretta e ravvicinata. Ho scoperto allora di prediligere più il back office che il front office. E con questo ho potuto acquietare gli eventuali sensi di colpa.
Quando, a un mese dall’intervento, appena compiuti gli ottant’anni, mia madre è morta all’improvviso, ho pensato che fosse stata esaudita da Padre Pio, che lei aveva pregato tutta la vita di morire così, senza aver bisogno di cure da nessuno (me compresa). Nemmeno io avrei sopportato il dolore di vederla ammalata in un letto in attesa della morte. Perché certi dolori degli altri faccio fatica a reggerli, ancor più che se fossero i miei. Con...