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L'Italia del 1898
Informazioni su questo libro
I moti popolari del 1898 furono una serie di sollevamenti e proteste che si svilupparono in tuttaItaliadal gennaio1898e che perdurarono fino a luglio dello stesso anno, a causa delle gravissime condizioni sociali. Napoleone Colajanni (Castrogiovanni, 28 aprile1847–Enna, 2 settembre1921) è stato unpolitico, saggistaedocenteitaliano.
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Si afferma di ordinario dalle persone che non vogliono darsi la pena di comparare per riflettere ed agire in conformità dei risultati ottenuti dalla comparazione: i confronti sono odiosi. Dovrebbe dirsi invece: i confronti sono dolorosi e vergognosi per coloro che sono costretti a constatare la propria inferiorità e per quanti furono e sono causa della inferiorità stessa.
La comparazione che s'impone quando si è dato il bando all'assoluto è di una indiscutibile utilità nella politica, che vuole essere sperimentale perchè, trovando termini di confronto con dati avvenimenti, si acquistano elementi per una specie di giudizio di appello, ammaestramenti ed indicazioni sulle conseguenze non remote degli avvenimenti comparati a seconda della diversità delle misure adottate di fronte ai medesimi.
Non si deve tacere che nella comparazione e nelle induzioni si deve andare guardinghi, perchè la diversità delle condizioni tra popolo e popolo ed anche tra periodi diversi nella vita di una stessa nazione, può indurre in errore e far formulare previsioni che non si realizzano generando meraviglia e disillusioni; ma, oltrecchè nella fase presente di evoluzione la diversità delle condizioni è in continua attenuazione tra i popoli europei, è innegabile che la comparazione rimane come il metodo migliore per fare della politica sperimentale, pur facendo riserve sulle indicazioni che somministra e ricorrendo a tutti i temperamenti nell'applicazione, che possono essere suggeriti dalla conoscenza delle più salienti diversità di condizioni.
Convinto della eccellenza di questo metodo, mi pare che non si potrebbe conchiudere più opportunamente questo studio sui tumulti della primavera del 1898 e sulla conseguente reazione se non coi confronti sul rispetto delle leggi e delle costituzioni, sulla libertà lasciata ai cittadini, sulle misure adottate dai vari Stati d'Europa in casi analoghi a quelli italiani.
Se si dovesse prestar fede ai grotteschi apologisti del vigente regime italiano, i quali non esitano ad affermare che in fatto di libertà e di osservanza della costituzione il nostro paese nulla ha da invidiare agli Stati più liberi del mondo, e che arrivano all'impudenza di dire che ne gode una maggiore della Francia, si potrebbe stabilire un contrasto stridente ed umiliante per noi, ponendo il paragone tra l'Italia e la Svizzera, tra l'Italia e gli Stati Uniti d'America; ma queste vanterie si devono prendere per quello che sono: per ridicolaggini divulgate con serietà o per ignoranza compassionevole o per insigne e interessata malafede. Perciò rinunzio a qualunque paragone non solo con detti Stati retti a repubblica, ma anche colle monarchie scandinave, dove da anni i tumulti per cause economiche e politiche sono sconosciuti è dove è illimitata la libertà e tutto vi si discute: dal Re alla organizzazione sociale; da questa alle compagine nazionale.
I nostri millantatori si avrebbero a male il paragone tra l'Italia, paese a regime rappresentativo, con la Germania o con l'Austria, stati semplicemente costituzionali. Invece sono le due nostre alleate che avrebbero giusto motivo di offendersi del paragone. Il Cancelliere di Ferro, quando volle darsi nelle braccia della reazione, prima contro i cattolici e poscia contro i socialisti, si armò di leggi. Tra noi invece vige da anni, intendiamoci, e non da ieri soltanto, il cosidetto piccolo stato d'assedio, senza che leggi, e nemmeno i famosi decreti-leggi lo abbiano autorizzato. Le leggi talora sono applicate severamente in Germania; ma quando esistono queste leggi, almeno ogni cittadino sa a che cosa attenersi e a quali rischi si espone violandole. Tra noi l'arbitrio sostituito sistematicamente alla legge produce in tutti una incertezza ed un perturbamento, che sono tra le cause maggiori della nostra decadenza politica.
In quanto a libertà di stampa e di riunione, chi legge il Worwärts e gli altri giornali e riviste dei socialisti, chi ha conoscenza delle conferenze innumerevoli che si tengono in tutte le birrerie di Berlino e della Germania, chi ha seguito l'ultimo congresso socialista di Stuttgart, in cui si affermò la dottrina collettivista da un lato e dall'altro si manifestarono voti aperti per la repubblica e si lanciò una sfida solenne all'Imperatore sulla famosa questione degli scioperi - si convincerà che il confronto non regge.
Non regge neppure coll'Austria, che siamo abituati a considerare come sinonimo di dispotismo. Ha certi freni la stampa e i sequestri qualche volta colpiscono anche le riviste - ad esempio, Die Zeit di Vienna; - ma c'è una misura, vi sono criteri stabili. Non parliamo del diritto di riunione; quando i socialisti austriaci promossero l'agitazione pel suffragio universale a Vienna, si fecero dimostrazioni di venti e quarantamila persone, che procedettero ordinate per lo più.
Qualche volta ci furono colluttazioni, anche gravi, colla forza; avvennero arresti e condanne severe - conformi alle leggi; ma il governo austriaco non pensò di sopprimere il diritto di riunione.
Gravi tumulti in Austria sono avvenuti negli ultimi anni e qualche volta fu proclamato lo Stato di assedio, consentito dalle leggi. Ma nè per la durata, nè per gli episodi che lo contrassegnarono in Boemia per la questione recentissima delle lingue, nè nell'Istria alcuni anni or sono, per l'altra analoga delle tabelle bilingui, si rese odioso come in Italia dal 1894 in poi. Nemmeno il più lontano paragone è possibile per le condanne dei tumultuanti, che furono mitissime anche quando andavano a colpire i cittadini rei di manifestazioni anti-nazionali, come fu il caso nei tumulti per le tabelle bilingui nell'Istria. Chi avrebbe potuto immaginare che l'Austria ci avrebbe dato lezioni di liberalismo e di costituzionalismo?
Il paragone prediletto ai nostri monarchici costituzionali è quello coll'Inghilterra. Essi ci tengono, o meglio ci tenevano, a dire che in Italia, in grazia della lealtà di Casa Savoja e dell'affetto popolare da cui è circondata, è stato possibile il godimento della massima libertà e del più perfetto svolgimento del regime rappresentativo. Nulla, intanto, di più grottescamente falso.
Il paragone, sotto tutti i punti di vista, non regge ora; e non reggeva neppure pei tempi migliori della libertà italiana.
Rimontando a sessant'anni or sono per la libertà di stampa ed a più di settant'anni per il diritto di riunione, per i criteri repressivi, per le condizioni lavoratori, deisi potrebbe trovare qualche somiglianza tra l'Inghilterra di allora e l'Italia odierna. Non più oggi.
Due parole sulla libertà della stampa, che è divenuta la libertà fondamentale: essa sola vale quanto gli articoli più larghi di una carta costituzionale, che possono rimanere lettera morta dove c'è un esercito stanziale numeroso e disciplinato; essa sola sostituisce efficacemente ogni più severo controllo sull'opera politica e morale del governo.
Per dare la misura di questa libertà di stampa in Inghilterra, bisogna leggere la collezione del Truth, del Reynold's News paper, della Modern Society, dell'Irish Weekly Independent, del Labour Leader, di altre riviste o giornali socialisti, repubblicani, radicali e irlandesi. Indarno si cerca nella storia dei processi da anni ed anni qualche cosa che rassomigli all'applicazione dell'articolo 247 del Codice penale e di altri articoli consimili. Le istituzioni politico-sociali vi sono discusse e attaccate con una violenza di linguaggio inaudita; la Camera dei lords, nell'anno di grazia 1898, dal Reynold's Newspaper viene considerata come un'assemblea di speculatori, di usurai, di ladri.... E non sono meglio trattati la Regina e tutti i membri della famiglia reale. Su i Re tutti d'Inghilterra, da Guglielmo il conquistatore a Vittoria, circola liberamente il libro di I. Morrison Davidson - The New Book of Kings: Il nuovo libro dei Re - di cui si sono fatte parecchie edizioni, e che riporta tutti gli aneddoti più feroci e più scostumati che possano discreditare le persone reali e le istituzioni monarchiche.
Questa non è la libertà che si esercita su coloro che già appartengono alla storia - e che in Italia sono sempre sacre ed inviolabili; - ma si esercita piena, illimitata, sui contemporanei. Nel numero del 17 aprile 1898, Gracchus scrive una lettera al Reynold's News paper nella quale dimostra il nessun valore politico, intellettuale e morale degli illustri parenti della Regina e della regina dice: «Vittoria ha schivato l'adulterio. E sta bene: l'ammiriamo. E l'ammiriamo in quanto, convinti del dogma della ereditarietà , chiunque avrebbe giurato, che essa avrebbe seguito la grossolana immoralità , che caratterizza i suoi zii particolarmente....».
Ma se la Regina viene risparmiata da Gracchus - nessuno risparmia il Principe di Galles, ch'è stato messo alla gogna nei Tribunali, nei giornali, nei meetings - non la è da altri. Così l' Irish Weekly Independent nel febbraio 1898 pubblicò un articolo: Is the Queen mad? - La Regina è pazza? - dove si facevano allusioni agli amorazzi antichi della Regina con un suo prediletto e notissimo servitore, che - si assicura - la confortò dopo la morte del Principe-sposo Alberto. Nel numero del 1° maggio, lo stesso giornale, ch'è illustrato, in prima pagina, sotto il titolo: A Jubilea Idyll si vedeva la Regina Vittoria, volante come una furia orrida, con la face in mano, portar la guerra dapertutto, mentre intorno e sotto di lei i cannoni che scoppiano producono incendii, rovina e desolazione... In Italia, un giornale fu sequestrato perchè mise in caricatura... gli speroni del generale Pelloux!
Gli emblemi, i motti allegorici, che si portano in processione, i discorsi che si pronunziano nei meetings sono dello stesso genere; e questo genere violento non è escluso dal Parlamento; dove, ad esempio, il Wakley, direttore del Lancet e deputato di Londra, domandando l'amnistia pei condannati cartisti di Monmouthshire, chiama traditori i Re e parla di royal miscreants, di royal ruffians - canaglie reali, banditi reali...
Questi saggi di massima libertà di linguaggio, che si potrebbero moltiplicare a piacere, rispondono alla sciocca obbiezione che si sente spesso ripetere in Italia: in Inghilterra si può concederla perchè non se ne abusa. Ed a questa obbiezione rispose qualche anno fa Pasquale Villari, senatore, conservatore ed ex ministro del regno, col seguente giudizio: «La stampa più moderata usa in Inghilterra un linguaggio che a noi parrebbe sovversivo, ma che colà è giudicato prova di un vero spirito conservatore. Da noi si direbbe, che questo è un eccitare i tumulti colà si crede che questo sia un conoscere i propri tempi....».
E parliamo di tumulti e di sommosse, ch'è quello che maggiormente importa.
La storia dell'Inghilterra - proprio per ismentire anche su questo quei capi ameni i quali vogliono stabilire certe differenze di trattamento politico in ragione delle differenze di temperamento tra gli italiani e gl'inglesi - è piena di tumulti e di sommosse assai più gravi di quelli che abbiamo deplorato in Italia nella primavera del 1898.
Se ci rifacciamo alla storia del primo quarto di questo secolo, anche al di là della Manica riscontriamo un periodo agitatissimo di fame, di prepotenze, di tumulti, di repressioni, di reazione, che nulla o ben poco ha da invidiare al nostro presente.
È il periodo dell'ultratorismo contrassegnato dal sistema iniquo delle imposte, dalla niuna protezione sociale ai lavoratori, dalla prevalenza megalomaniaca e militaresca, dalla mancanza di libertà politica e di giustizia penale. Fu la vergogna dell'Inghilterra e scomparve più di settant'anni or sono.
Sorpasso sui tumulti del 1829 e accenno appena a quelli che si riferiscono alla prima riforma, per fare comprendere a coloro che non conoscono gli inglesi quale sia la flemma e il rispetto delle persone e delle leggi di questi famosi anglo-sassoni.
Nel 1831, appena Lord Russell presentò il bill di riforma, vi furono luminarie e dimostrazioni di gioia. In Italia gli amici delle riforme si sarebbero contentati di manifestare la propria soddisfazione con degli evviva! In Inghilterra si sentì il bisogno di una vigorosa sassaiuola contro i nemici del bill; e la sassaiuola degenera in gravi tumulti dopo il rigetto da parte dei lords (18 ottobre 1831). Si fanno le elezioni generali sulla questione della riforma e riescono favorevoli al bill; e allora, in previsione della opposizione della Seconda Camera, i lords vengono minacciati e scoppiano dappertutto tumulti sanguinosi. Viene bastonato il duca di Newcastle; schiaffeggiato il marchese di Londonderry; gettato da cavallo il duca di Cumberland - un membro della famiglia reale!
Si riesce ad immaginare che cosa avverrebbe in Italia se casi simili si verificassero? Un milione almeno di cittadini sarebbe gettato in galera; della costituzione non rimarrebbe traccia; meno ancora del disegno di legge. Cedere in Italia alla pressione della piazza: vergogna! orrore! Nulla di tutto ciò in Inghilterra. Il bill ebbe il suo corso e i lords, ammoniti a scongiurare bufera più tremenda, non osarono più respingerlo. Non solo: il Re - oh scandalo! - favorevole al bill, annunziò che avrebbe licenziato le persone di casa reale, che non si adoperassero pel suo trionfo.
Ancora un dato interessante. Scoppia un altro tumulto in Londra il 13 maggio 1833; un policeman viene ucciso, altri feriti. Ebbene, i giurati mandarono assolto l'uccisore per omicidio giustificato.... In Italia, per Decreto reale, sarebbe stata soppressa la giuria. Fermiamoci ai tumulti più caratteristici: a quelli che si riferiscono al movimento cartista durato dieci anni e più - dal 1837 al 1848. Ci dobbiamo fermare a questi tumulti perchè hanno qualche analogia coi nostri e per questo aneddoto di dolorosa attualità .
Paolo Valera - oggi in carcere e ch'era vissuto parecchi anni in Inghilterra - impressionato degli avvenimenti italiani del 1893-94, volle fare conoscere il movimento cartista in una serie di articoli della Critica sociale raccolti in opuscolo con una prefazione di Filippo Turati, nella quale si leggono queste parole:
«Collo studio sul movimento chartista, noi squaderniamo al lettore un brano di storia inglese vecchio di mezzo secolo che varcando la Manica e il Gottardo, si ringiovanisce, diventa quasi dell'attualità . Più ancora: diventa forse ad un dipresso, la storia nostra di domani».
Filippo Turati fu profeta. La storia di 60 anni fa è divenuta la storia di oggi.... peggiorata. Niuno lo sa meglio di lui, che soffre nella tetra cella di Pallanza!
Peggiorata? Vediamo.
In Inghilterra ci furono condanne severissime durante il movimento chartista; Iohn Frost ed alcuni altri furono condannati a morte: la pena fu commutata. Ma queste condanne furono conforme alla legge; non stati di assedio; non Tribunali militari; non processi senza difesa e senza garanzia. Si vide anzi questo caso strano: scambi di cortesia, di parole di stima, di ringraziamenti tra.... giudici e condannati. Cose dell'altro mondo!
Non solo questo; ma le condanne, dal punto di vista della legalità , furono meritate e corrispondevano esattamente ai reati commessi. È facile dimostrarlo perchè i fatti abbondano.
In Inghilterra i tumulti non avvennero improvvisi come in Italia; ma furono voluti e preparati. Quando la carta chiesta dai riformatori venne seppellita legalmente, cominciarono a prevalere i così detti cartisti della forza fisica, la cui denominazione dice chiaramente, che la violenza era l'ingrediente principale del loro programma.
Non si trattava di chiacchiere. In quasi tutte le officine d'Inghilterra si lavorava giorno e notte a preparare picche a tre scellini e mezzo per una per la rivoluzione di domani; e i capi volevano che tutti preparassero armi e alle armi si addestrassero. Il reverendo Stephens invitò le moltitudini ad andare ai meetings con un pugnale nella destra e una face nella sinistra; al meetings in Ashton-Under Lyne, dopo una furiosa requisitoria contro il Ministero Whig, domandò alla folla: siete armati? Parecchi gli risposero con delle scariche in aria. - Va bene, disse il ministro di Dio. Buona notte!
Questi comizi notturni e con gli intervenuti armati; dovevano allarmare naturalmente il governo, che li proibì. In questa proibizione di meetings con esercizi militari illuminati dalle torce si vide un insulto al popolo oppresso e una violazione della costituzione; perciò anche alcuni, che deplorarono le violenze dei cartisti della forza fisica, come Feargus O' Connor, si resero solidali con Stephens.
I motti sulle insegne e i discorsi che si tenevano in questi comizi erano la prova lampante delle intenzioni dei promotori ed organizzatori: erano schiettamente rivoluzionari. Stephens si proclamava rivoluzionario fino al coltello ed alla morte ed insegnava che «riprendere le ricchezze male acquistate» «non è altro che atto di giustizia». Parlando dei padroni delle fabbriche, incitò la folla a coprire di pece e di penne Iones (un padrone) ed a dargli fuoco. Insegnò ai presenti come prendersi del pane: «colla picca sul petto dite ai prestinai che alla prossima volta vi prenderete la pagnotta colla sua punta».... Il farmacista Pott - un altro fanatico cartista - appendeva alle sue finestre palle di piombo dorate con questa scritta: pillole pei tories!
Dalla preparazione si passò all'azione; e bande armate, con un capo - Iohn Frost - con un programma preciso, il 4 Novembre 1839 dettero l'assalto a Newport. Vi fu conflitto con undici morti e molti feriti; e fu questo l'avvenimento che dette luogo nel 1840 alle severe condanne emanate dalla giuria, di cui si fece precedente menzione.
In Italia non si può trovare un solo fatto, che si possa paragonare a questo assalto di Newport; eppure, data la diversità dei Codici, le condanne pei tumulti di Sesto Fiorentino furono infinitamente più severe. Volendo essere generosissimi coi nostri giudici militari e col governo che li mise a funzionare, i reati maggiori avrebbero qualche lontana, stentata, artificiosa analogia con quelli attribuiti a Stephens. Ebbene, mentre i Rondani, i Turati, i De-Andreis, i Chiesi, i Romussi, per articoli o discorsi scritti e pronunziati alcuni anni prima e che erano infinitamente meno eccitanti di quelli del prete inglese, ebbero dai sedici ai sei anni di reclusione, lo Stephens fu processato a piede libero e non ebbe che diciotto mesi di carcere! In Italia, in mancanza della pena di morte, lo avrebbero condannato al massimo della reclusione o della galera e i giudici sarebbero rimasti dolenti di non potergli dare gli anni di vita di Matusalem per appioppargliene novecento...
I tumulti del periodo cartista non durarono un mese o un anno, ma con maggiore o minore intensità si riprodussero per dieci anni: la fame li rese acuti nel 1842, quando si assaltarono e saccheggiarono anche le Workhouses. Dettero luogo al cosidetto processo mostruoso dei 59, durante il quale ci fu il discorso lunghissimo, commovente e convincente di O' Connor, che indusse i giudici a dichiarazioni pubbliche di stima e di simpatia verso gli accusati. Si ebbe la sentenza; ma ne venne sospesa l'esecuzione per un errore di forma: l'Inghilterra non ha una Cassazione disciplinata! Il processo non venne ripreso perchè il governo non se ne occupò più. «I Ministri, dice Valera, avevano fiutata l'opinione del paese contraria a questi processi contro le manifestazioni del pensiero».
La diversità dei criteri di governo, del rispetto per la libertà , per le leggi e per la costituzione tra l'Inghilterra e l'Italia, in questi dolorosi casi risulta all'evidenza dalla differenza tra i generali preposti alla repressione. Conosciamo i nostri Bava Beccaris, gloriosi vincitori all'interno; il Valera, e fece bene, ci presentò il generale Napier, che fu mandato a schiacciare il cartismo in undici contee settentrionali. Il generale Napier fece il suo dovere di soldato; ma quale uomo fosse, si può scorgere dal modo come pensava. Dei tumulti riteneva responsabili i governanti e malediceva coloro ch'erano causa delle guerre civili. Le insurrezioni, egli diceva, non sono provocate dai capi del cartismo, ma dal debito nazionale, dalle leggi sui cereali, dalle nuove leggi sulla carità pubblica. Il cartismo è il prodotto della ingiustizia dei Tories e della imbecillità dei whigs. Sferzava i magistrati pusillanimi che divenivano leoni dietro le baionette dei soldati. Deplorava che il Parlamento avesse votato 12,000 sterline per le scuderie reali, mentre altrove si moriva di fame. Sconsigliava l'arresto di O' Connor e voleva che si dasse la Carta. E concludeva: È crudele ed inutile sopprimere la vita per delle idee. Non è giustizia, è barbarie, è vendetta di partito dominante. Magistrati, lords, duchi sono tutti assetati di sangue.
Ecco in bocca ad un generale la frase, che doveva procurare sei anni di reclusione a Gustavo Chiesi...
Tutto questo sfata l'umoristica ed accreditata leggenda sul carattere inglese e prova a luce meridiana che gli inglesi abusano più dei latini della libertà di parola; che gl'inglesi tumultuano tanto frequentemente quanto gl'italiani quando soffrono ed hanno fame.
Se le cose procedono diversamente, in ultimo, in Inghilterra e in Italia, egli è che le moltitudini inglesi sanno farsi rispettare e difendono la libertà . Pare che essi abbiano letti i commentarî di Blackstone e vi abbiano imparato che il popolo ha il diritto di manifestare la sua volontà primo colla petizione, secondo colla rimostranza, terzo colle armi. Così il Valera.
Se le moltitudini sono impregnate dallo spirito di Blackstone, i governanti, in generale, da oltre cinquant'anni in qua, sono del pari convinti che il loro dovere è quello di rispettare i diritti del popolo. E rispettandoli, sanno di fare un buon affare nello interesse sociale e delle classi che rappresentano. Se ne dimenticano qualche volta ed avvengono allora perturbamenti gravissimi. Tale quello della domenica sanguinosa (13 Novembre 1887), quando la polizia volle impedire, la riunione di un meeting in Trafalgar-Square e il popolo scatenossi come una furia su Londra, provocando conflitti sanguinosi, devastazioni di ogni genere. Così avviene sempre, ogni volta che la polizia interviene per impedire una manifestazione; il suo intervento in Italia come in Inghilterra genera la sommossa. La sua assenza è la migliore garanzia dell'ordine, sia in Italia come in Inghilterra. Roma vide trentamila cittadini protestare pacificamente per l'assassinio Frezzi con tanto ordine e con tanta compostezza, quanta se ne può riscontrare a Londra durante le più ordinate e pacifiche manifestazioni. Mancava la polizia. E ci fu in Parlamento chi trovò da rimproverare all'on. Di Rudinì questo atto politico e questo rispetto alla legge e ai diritti dei cittadini!
I nostri monarchici - distinzione, onestamente, non si potrebbe fare fra la destra e la sinistra - messi colle spalle al muro dalla eloquenza dei fatti, non si...
Indice dei contenuti
- Copertina
- L'Italia nel 1898
- Indice dei contenuti
- A chi legge
- SIAMO IN RITARDO
- LA MARCIA DELLA SOMMOSSA
- LA CRONACA SANGUINOSA
- A MILANO
- DAL SACCHEGGIO DI CASA SAPORITI ALLA BRECCIA DEI CAPPUCCINI
- LA MENZOGNA AL SERVIZIO DELLA REAZIONE
- LE ISTITUZIONI IN PERICOLO!
- L'OPERA DELLA REAZIONE
- LASCIAMO PASSARE LA GIUSTIZIA!
- LA CONDANNA DELLE IDEE
- LE CAUSE ECONOMICHE DEI TUMULTI
- LE CAUSE POLITICHE E MORALI
- LA CAPITALE MORALE
- CONFRONTI