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La contemplazione di Dio con La Lettera d'oro
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La contemplazione di Dio con La Lettera d'oro
Informazioni su questo libro
Questo volume raccoglie due perle di spiritualità del Medioevo. Figura esemplare di monaco e teologo degli inizi dell'ordine cistercense, Guglielmo di Saint-Thierry continua a mostrare con efficacia anche al lettore contemporaneo i segreti per accedere alla contemplazione di Dio. Questo tema, centrale nella sua vita e nella sua opera, è ripreso e sviluppato anche nella Lettera d'oro indirizzata a una comunità di monaci a lui legata, sul finire del suo pellegrinaggio terreno. Un testamento spirituale in cui il grande mistico trasmette il bilancio e il lascito di uomo e consacrato.
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Informazioni
Argomento
Teologia e religioneCategoria
Denominazioni cristianeLA LETTERA D’ORO
Ai signori e fratelli Aimone priore e H.1, il fratello Guglielmo augura un sabato di delizie (Isaia 58, 13)
1. Sfiora l’impudenza e oltrepassa le buone regole della convenienza che la mia parola si rivolga a voi, carissimi fratelli in Cristo: perdonatemi, ma il mio cuore si è dilatato. Dilatate anche il vostro, vi prego fin dal profondo e accoglieteci (2 Corinzi 6, 11-13; 7, 2): poiché sono tutto vostro in Colui nel cui profondo amore ci desideriamo ardentemente a vicenda (Filippesi 1, 8).
2. Perciò, da quando vi lasciai fino a ora, ho deciso di dedicare la mia modesta fatica quotidiana non a voi, che non ne avete bisogno, ma al fratello Stefano, ai fratelli più giovani suoi compagni e ai novizi che giungono a voi, dei quali – sia ben chiaro – Dio solo è il maestro, perché la tengano e la leggano, se per caso vi trovino qualcosa di utile, a sollievo della loro solitudine e a incoraggiamento nel loro santo proposito.
3. Offro quello che posso: la buona volontà; e la vorrei di ritorno con i suoi frutti. Davide, danzando, piacque a Dio, non per la danza, ma per il sentimento che vi metteva. Così, anche la donna che unse i piedi del Signore fu da lui lodata, non per l’unzione in sé stessa, ma per l’amore che vi profuse: e poiché fece tutto ciò che era nelle sue possibilità, fu in questo giustificata.
4. Inoltre, ho pensato di dedicare a voi anche un altro breve scritto, che sono stato indotto a comporre dalla necessità in cui si trovavano alcuni fratelli, dettata più da inquietudine che da reale pericolo, per consolarli e sostenerli nella fede. Di solito, la loro tristezza, a questo proposito, è per me occasione di grande gioia, sennonché non posso vederli rattristati.
5. Infatti, per la grandezza non solo della loro fede, ma anche dell’amore, essi detestano a tal punto tutto ciò che sembra loro in contrasto con la fede, che, se anche soltanto un poco vengono in questo tentati o turbati da spirito blasfemo o da carnale sensualità, anche per qualcosa che sia loro venuto semplicemente all’orecchio o li abbia appena sfiorati, ritengono irreparabilmente compromessi i loro più intimi sentimenti religiosi e piangono disperatamente su sé stessi, come se fossero divenuti colpevoli della loro fede (2 Timoteo 3, 8).
6. A coloro che dalle tenebre del mondo pervengono alla pratica di una vita più pura capita come a chi d’improvviso esca alla luce dopo lunga oscurità: come a costoro la luce stessa, indispensabile per vedere ogni altra realtà, sulle prime risulta fastidiosa col suo irrompere sugli occhi ancora deboli, così anch’essi, al primo bagliore della fede, restano accecati e non riescono a sopportare i raggi inconsueti della nuova luce, finché non vi si abituino appunto per amore della luce.
7. Questo stesso opuscolo si divide in due brevi scritti: il primo, poiché è scorrevole e facile, ho deciso di intitolarlo Specchio della fede; l’altro, che è una specie di sintesi delle ragioni e delle formule sostanziali della fede secondo i detti e il pensiero dei Padri cattolici ed è in certo qual modo più difficile, Enigma della fede. Con quest’opera, come colui che la vecchiaia e i malanni tengono lontano dal lavoro comune, non già perché lo meriti, ma perché pigro e inutile, ho voluto evitare l’ozio, nemico dell’anima, piuttosto che istruire gli altri, la qual cosa non sta bene sulla bocca di un peccatore (Siracide 15, 9) e si addice soltanto a coloro che danno testimonianza con la vita di quei valori che seminano con l’insegnamento.
8. Nel primo, il lettore alle prime armi impara la via da intraprendere, nel secondo anche con quale prudenza procedere. Con lo stesso ordine, infatti, il Signore dice ai discepoli: Dove io vado, lo sapete e conoscete la strada (Giovanni 14, 4). E il Profeta, a sua volta: La ricchezza della salvezza sono la sapienza e la scienza (Isaia 33, 6). E anche nel Salmo: prima il giorno al giorno annuncia la parola e dopo la notte alla notte indica la scienza (Salmo 18, 3).
9. Ci sono, inoltre, altri nostri opuscoli: due trattati, il primo sulla Contemplazione di Dio, il secondo sulla Natura e nobiltà dell’amore; un libretto su Il sacramento dell’altare; delle Meditazioni non del tutto inutili allo spirito di novizi, che devono essere formati alla preghiera; e un Commento al Cantico dei Cantici fino al passo: Li avevo da poco oltrepassati, quando trovai colui che la mia anima ama (Cantico 3, 4).
10. Infatti, la mia disputa Contro Pietro Abelardo non mi ha consentito di portare a termine tale opera. Né, d’altra parte, ritenevo di potermene stare indisturbato a godere di un così delizioso riposo tutto raccolto in me stesso, mentre all’esterno questi, sguainata, come si dice, la spada, andava devastando crudelmente le frontiere della nostra fede. Ciò che, dunque, ho scritto contro di lui, dal momento che quanto ho detto l’ho attinto alle fonti dei santi Padri – come per il commento alla Lettera ai Romani e di tutti gli altri scritti di cui dirò appena sotto, nei quali non c’è nulla o non molto di mio –, è meglio, se sarete del parere, che, cancellato il mio nome, venga relegato nelle opere anonime, piuttosto ch’io passi per una pernice, che cova le uova che non ha deposto (Geremia 17, 11).
11. Infatti, dai libri di sant’Ambrogio ho estratto tutto ciò che riguarda il Cantico dei Cantici, opera notevole e famosa; lo stesso nei confronti del beato Gregorio, ma ancor più largamente di quanto ho fatto con Beda: anche costui, infatti, come sapete, per l’ultimo dei suoi libri di commento al Cantico ha fatto questa stessa scelta.
12. I Pensieri sulla fede, che per la maggior parte ho tratto dal beato Agostino, – se volete trascriverli – sono naturalmente molto densi e profondi, e si integrano bene col suddetto opuscolo, che mi è piaciuto intitolare Enigma della fede.
13. C’è anche un altro opuscolo di mia composizione, scritto col titolo Giovanni a Teofilo2, al quale ho fatto precedere – per fare una sintesi delle problematiche riguardanti l’uomo nella sua interezza, come mi sembrava conveniente – un trattato su La natura del corpo: ho ricavato quest’ultimo dai libri di coloro che curano i corpi, il primo, invece, dagli scritti di quelli che attendono alla cura delle anime.
14. Leggeteli dunque tutti, questi scritti; e se non sarete i primi a farlo, siate almeno, se vi piacerà, gli ultimi; poiché, se finissero nelle mani di quelli che non solo non fanno niente di buono, ma rovinano tutto ciò che fanno gli altri, io stesso, che sono vecchio e malfermo, come si legge di Isacco – malfermo non nel passo, ma nel giudizio – non potrei uscirne indenne.
Se, infine, saranno ritenuti inutili, preferisco che li distrugga un fuoco castigatore, in seguito non alla critica, ma alla prudente decisione di persone amiche, piuttosto che su di essi si accanisca la foga astiosa dei detrattori.
15. Dio, infatti, ci ha chiamati alla pace e dobbiamo fare il bene non solo al suo cospetto, ma anche davanti agli uomini (2 Corinzi 8, 21) e per quanto è in nostro potere, stare in pace con tutti (Romani 12, 18). Difatti, questa condotta, che non sfuggirà al Giudizio, raccomanda in particolare l’Apostolo: che non rechiamo inciampo o scandalo al fratello.
16. D’altra parte, chi li leggerà con animo fraterno, anche senza ricavarne conforto o edificazione, non vi troverà nessun motivo di scandalo o di ripulsa, come potrebbe fare con un presuntuoso. Inoltre, edificazione a parte, chi mi è amico sopporterà anche in ciò la mia temerarietà, se pur ve n’è, e non interpreterà con occhio malevolo la mia semplicità, soprattutto per il motivo che ho addotto sopra: che cioè, del tutto ignaro di quanto accade all’esterno e ormai affranto dal peso dell’età e dei malanni, non sarei riuscito in alcun modo, senza il soccorso di questa occupazione, a fuggire la tirannia dell’ozio, il quale, come attesta la Scrittura, è stato maestro di molti mali.
Lettera di Dom Guglielmo ai fratelli del Monte di Dio
1. Ai fratelli del Monte di Dio, che irradiano nelle tenebre dell’Occidente e nel gelo delle Gallie la luce dell’Oriente e quel celebre antico fervore dei monaci dell’Egitto – vale a dire l’esempio della vita solitaria e il modello della comunità celeste – corri incontro, anima mia, e corri insieme a loro nella gioia dello Spirito Santo e col sorriso nel cuore, col favore della carità e con tutto l’ossequio di una volontà devota.
2. Perché, infatti, non bisognerebbe far festa e rallegrarsi nel Signore, se la forma più bella dell’esperienza religiosa del cristianesimo, quella che sembrava lambire più da vicino i cieli, era morta ed è tornata a vivere, era perduta ed è stata ritrovata?
3. Udivamo con le nostre orecchie e non credevamo, ne leggevamo nei libri e venivamo presi da venerazione per quell’antica gloria della vita solitaria e dell’abbondanza della grazia di Dio che la colmava; ed ecco che all’improvviso l’abbiamo trovata nelle radure della foresta al Monte di Dio, sul fertile monte dove ora, grazie a essa, crescono rigogliosi gli splendori del deserto e i colli si cingono di esultanza (Salmo 131, 6; 7, 16; 64, 13).
4. Qui, infatti, grazie a voi, essa ora si offre a tutti, si manifesta nelle vostre sembianze e, finora sconosciuta, si fa conoscere e ce la pone innanzi, in pochi uomini semplici, colui che, nella persona di pochi uomini semplici, ha assoggettato a sé il mondo intero sotto i suoi stessi occhi stupefatti.
5. Infatti, per quanto grandiosi e chiaramente divini siano stati i miracoli che il Signore ha compiuto sulla terra, tuttavia questo solo ha brillato su tutti gli altri, rischiarandoli col suo fulgore, poiché, come ho detto, nella persona di pochi uomini semplici ha soggiogato a sé il mondo intero con tutto l’orgoglio della sua sapienza. E adesso questo miracolo comincia a operare in voi.
6. Così, così è, o Padre, poiché così è piaciuto a te. Infatti l’hai tenuto nascosto ai sapienti e agli scaltri di questo mondo e l’hai rivelato ai piccoli. Non temere, dunque, piccolo gregge, dice il Signore, ma abbi totale fiducia, perché a Dio Padre è piaciuto darvi il suo regno (Luca 12, 32).
7. Considerate, infatti, fratelli, la vostra vocazione: dov’è tra voi il sapiente, dove il letterato, dove l’intellettuale di questo mondo? (1 Corinzi 1, 26). Infatti, anche se tra voi vi sono dei sapienti, tuttavia è stato grazie ai semplici che ha radunato i sapienti colui che allora, tramite dei pescatori, ha sottomesso a sé i re e i filosofi di questo mondo.
8. Lasciate, dunque, lasciate che i sapienti del mondo, rigonfi di spirito mondano, che aspirano alle vette e leccano la terra, se ne scendano all’inferno con tutta la loro sapienza. Voi, invece, come avete già cominciato a fare, mentre si sta scavando la fossa per il peccatore, fàttivi stolti a causa di Dio, per quella stoltezza di Dio che è più sapiente di tutti quanti gli uomini, con la guida di Cristo, imparate l’umile disciplina che consente di salire al cielo.
9. Infatti, la vostra semplicità spinge già molti a seguire le vostre orme; il vostro bastare a voi stessi e la vostra perfetta povertà già confondono la cupidigia di molti; la vostra vita appartata ispira a gruppi ancor più numerosi orrore per tutto ciò che può essere occasione di chiasso.
Se c’è pertanto qualche consolazione in Cristo, se c’è conforto derivante dalla carità, se c’è qualche comunanza di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, rendete piena la mia gioia (Filippesi 2, 1-2); e non soltanto la mia, ma quella di tutti coloro che amano il nome del Signore: affinché nella diversità dell’abito, indorato con l’oro della sapienza di Dio, la regina assisa alla destra dello Sposo, grazie al vostro zelo e alla vostra costanza, venga ristabilito, a gloria di Dio, a vostro grande merito e per la gioia di tutte le persone perbene, questo gioiello di santa novità.
10. Dico «novità» a motivo delle lingue malefiche – che Dio vi metta al riparo dalle loro contestazioni, nascondendovi dentro al suo volto – degli uomini empi, i quali, non riuscendo a offuscare la chiara luce della verità, fanno dell’ironia al solo udire la parola «novità», da vecchi quali sono, incapaci di meditare cose nuove nella loro vecchia mente; otri vecchi, inadatti a contenere il vino nuovo, che si romperebbero qualora vi venisse versato.
11. Ma questa novità non è una nuova vanità. Essa, infatti, è la sostanza dell’antica vita religiosa, la perfezione della pietà fondata da Cristo, l’antica eredità della Chiesa di Dio; prefigurata fin dal tempo dei Profeti e, sorto ormai il sole della nuova grazia, realizzata e rinnovata in Giovanni il Battista, celebrata dallo stesso Signore con grande intimità e ardentemente desiderata dai suoi discepoli alla sua stessa presenza.
12. Quando coloro, che erano con lui sul monte santo, videro la gloria della sua trasfigurazione, subito Pietro, fuori di sé e senza sapere bene cosa stesse dicendo – poiché, vista la maestà del Signore, gli sembrò giusto di dover includere il bene di tutti in quello che egli allora provava; ma, al tempo stesso, pienamente presente a sé stesso e perfettamente consapevole di quel che diceva –, provò ardente brama di questa vita in compagnia del Signore e degli abitatori celesti, visti insieme con lui, quando disse: Signore, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia (Matteo 17, 4). E, se in ciò fosse stato ascoltato, ne avrebbe fatte senza dubbio altre tre: una per sé, una per Giacomo e una per Giovanni.
13. Dopo la passione del Signore, invece, quando ancora era bruciante nel cuore dei fedeli il recente ricordo dello spargimento del suo sangue, in seguito al loro sforzo di perseguire una vita di solitudine e di povertà, e al fervore, con cui gareggiavano gli uni con gli altri nelle pratiche ascetiche e nella feconda inoperosità della contemplazione divina, i deserti vennero popolandosi. Fra essi fanno spicco i vari Paolo, i vari Macario, Antonio, Arsenio e parecchi altri appartenenti ad alte cariche in questa istituzione della vita santa; possessori di nomi illustri, rivestiti di nobiltà nella città di Dio, e di titoli trionfali, grazie alla vittoria riportata ...
Indice dei contenuti
- INTRODUZIONE
- NOTA BIBLIOGRAFICA
- LA CONTEMPLAZIONE DI DIO
- LA LETTERA D’ORO
- Note
- Indice