L'ultima occasione
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L'ultima occasione

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L'ultima occasione

Informazioni su questo libro

Un uomo e una maschera che compiono rapine spettacolo, rapine di protesta, di contestazione verso un mondo, una società, un sistema che sembra avere scopi ben precisi: distruggere i sogni delle persone, annientare la loro possibilità di avere un pensiero critico, rubarne il tempo per evitare che la gente possa avere una vita migliore, una vita fatta di materialità superflua, da una totale assenza di bellezza ma piena di sogni accantonati, naufragati prima che una possibile ultima occasione possa portarla in salvo.

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Informazioni

Il mio problema è quello di essere egocentrico per eccellenza e non ho mai sopportato l’idea di avere una vita, come dire, normale.
Essere un comune mortale mi avrebbe mortificato e giuro che, se lo fossi diventato, oggi non sarei qui a parlare con voi.
«Certo, staresti in un normale ufficio a fare il tuo normale lavoro onestamente, come i comuni mortali!»
«In ogni caso, non ci sarei mai stato in quel dannato ufficio, sarei morto, probabilmente mi sarei ucciso con le mie stesse mani!» dissi, guardando quegli uomini davanti a me.
«Invece i giornali e i telegiornali di mezzo mondo hanno parlato di me e domani ci saranno centinaia di articoli che parleranno ancora e nuovamente di me!»
«Credi di essere una grande celebrità?!»
«In qualche modo lo sono, anche se le cose dovevano andare in modo diverso!»
«Tu sei pazzo!»
«Può darsi…»
«Credi che questa sia una giustificazione? Credi che questo sia un buon motivo per fare rapine, rubare denaro, creare scompiglio e combinare tutto quel casino?!»
So solo che mi divertivo da matti. Era il momento più bello della giornata.
«Signori e Signore, Ladies and Gentlemen, questo è il mio show quotidiano, quindi, mi raccomando, tutti concentrati su di me!»
Poi sceglievo una persona a caso, solitamente una persona poco robusta o che aveva la possibilità di sfuggire alla mia visuale.
«Tu! Vieni qui!»
La persona si avvicinava ed io gli consegnavo una busta nera.
«Svuota il registratore di cassa e metti tutti i soldi qua dentro. E muoviti!» gli urlavo.
Non avevo preferenze nello scegliere i locali, andavo a fiuto.
Entravo con un programma ben definito, l’inizio come la fine.
Avevo sempre avuto la fissa per quella maschera maledetta.
Comprai tutto: la crema bianca, il rossetto rosso fuoco e la matita nera.
«Signori state fermi e giuro che non vi succederà nulla, ve lo prometto! Fidatevi di me!»
Puntavo la pistola contro la persona che avevo scelto per raccogliere i soldi e gridavo: «Tu, sbrigati se non vuoi avere una lapide al cimitero!»
Era tutto questione di minuti, quattro, sei al massimo, quando erano locali con due o tre registratori di cassa. In quel caso le persone designate erano due, ma cercavo di evitare questo tipo di posti, perché spesso avevano delle telecamere a circuito chiuso pronte a mettermelo nel culo.
«Allora?! Ti sbrighi?!» gridavo alla persona che stava raccogliendo i soldi.
Ma questo accadeva raramente, perché la pistola puntata contro metteva il pepe nell’anima!
Dopo i quattro o sei minuti calcolati, la persona mi si avvicinava tremante, con la busta di soldi tra le mani.
«Adesso mettiti buono lì e non muovere il culo fino a quando non sarò uscito da questo posto di merda! Chiaro?»
La persona eseguiva senza obiettare.
Alla fine, davo uno sguardo completo al locale per vedere se mi fosse sfuggito qualcosa o qualcuno e per sapere come comportarmi fuori.
«Signori e Signore, Ladies and Gentlemen, spero che lo spettacolo vi sia piaciuto e che vi comportiate allo stesso modo se avrete il piacere di assistere ad un altro mio show!»
Dopodiché avveniva la parte più rischiosa della scena, perché poteva sfuggirmi tutto di mano, ma nulla avrebbe avuto senso senza quel gesto in cui scaricavo tutto me stesso:
L’inchino.
Mi inchinavo, portando il busto in avanti di quarantacinque gradi, il cilindro nella mano destra che scivolava davanti al capo. I capelli lunghi cadevano a peso morto a pochi centimetri da terra.
Poi alzavo la testa e sorridevo ai miei spettatori.
Avevo sempre tutto con me.
Il trucco.
In macchina, prima di iniziare lo spettacolo, mi spalmavo la crema bianca intorno al viso, tralasciando le labbra e due linee semisferiche sulle guance che andavo a pitturare con il rossetto. Poi prendevo la matita nera e disegnavo due linee verticali, di pochi centimetri, sotto gli occhi e due triangoli neri sulle sopracciglia.
Mi guardavo nello specchietto retrovisore, sorridendo in modo da mettere in evidenza i canini.
Quando mettevo in testa il cilindro nero, l’opera era terminata.
Lanciavo ancora un altro sguardo nello specchietto e sorridevo di nuovo.
Poi mi buttavo nello spettacolo!
Quel giorno faceva più caldo del solito e la macchina aveva una temperatura prossima a quella di un forno.
Il sudore mi rigava il viso e dovetti passare la crema più volte, per fissarla. Quando terminai, guardai fuori, verso il locale predestinato, poi verso la gente. Ero in attesa del momento giusto per scagliarmi fuori.
Intanto, il caldo aumentava.
Quando fu il momento adatto, infilai la pistola sotto la giacca e scesi di corsa.
In un attimo raggiunsi il locale.
C’erano due uomini in fila alla cassa, una donna davanti al banco dei liquori, il cassiere al suo posto e il commesso era dietro al bancone.
Calcolai in poco tempo le distanze e chi avrebbe dovuto raccogliere i soldi. I tre clienti erano in un’ottima visuale, ma erano apparentemente innocui, mentre gli impiegati potevano avere qualche allarme a portata di mano.
I calcoli erano fatti. Sfilai la pistola dalla giacca e iniziai lo spettacolo:
«Signori e Signore, Ladies and Gentlemen, questo è il mio show, quindi mi raccomando, tutti concentrati su di me!»
Puntai la pistola contro il cassiere.
«Tu! Vieni qui!» gridai a lui e al commesso dietro al bancone. Diedi la busta nera al cassiere, ordinando di consegnarmi tutti i soldi del registratore di cassa, mentre il commesso si occupava dei portafogli dei clienti. Questa era una mossa che non avevo mai fatto.
«Signori, state fermi e giuro che non vi succederà nulla» gridai ai clienti «E voi, sbrigatevi se non volete avere una lapide al cimitero!»
La mia pistola passava sui volti di tutti i presenti.
«Allora, cazzo, sbrigatevi!»
Quella volta la pistola puntata non aveva messo il pepe nell’anima a nessuno.
Si sbrigò prima il commesso che si occupava dei clienti. Si avvicinò tremante con in mano alcuni portafogli e due orologi.
«Pezzo di merda, mettili in una busta!»
«Quale busta?» mi chiese, tremando.
Mi innervosii: non riuscivo a capire se il commesso la stesse tirando per le lunghe o se fosse rincoglionito davvero.
«Non avete una busta del cazzo qui dentro?!» mi alterai.
«Certo, certo, signore.» disse, mentre si allontanava verso il bancone.
«Dove stai andando?» gli urlai.
«Signore, a prendere una busta, come vuole lei, signore.»
Puntai la pistola verso il cassiere.
«Tu sei ancora lì? Sbrigati!»
«Butta per terra quello che hai e non ti muovere di un millimetro, intesi?!» gridai al commesso.
Il commesso obbedì immediatamente mentre i minuti calcolati erano terminati già da un pezzo e pensavo alla cosa più banale che potesse accadermi: che un nuovo cliente entrasse nel locale e mi colpisse alle spalle.
Cercai con gli occhi qualcosa che riflettesse. Le bottiglie davano un’immagine distorta ma, per il resto, nient’altro poteva essermi utile.
«Pezzo di merda, muoviti!»
Il cassiere si mosse verso di me con la busta in mano mentre il tempo volava via, il sudore colava e la crema bianca sul viso si scioglieva.
Lanciai uno sguardo all’orologio, erano passati più di dieci minuti, non era certo il tempo che ci voleva per svuotare un registratore di cassa.
Le sirene in lontananza mi diedero la conferma del mio presentimento: quel bastardo del cassiere aveva dato l’allarme!
«Figlio di puttana!» gridai.
Sparai due colpi in aria ma non colpii nessuno e di questo, poi, ne fui felice.
Uscii di corsa dal locale e mi infilai in macchina buttando tutto il mio peso sull’acceleratore.
L’urlo della sirena si avvicinava, allora aum...

Indice dei contenuti

  1. L'ultima occasione
  2. Ringraziamenti