Don Luigi Millefiori, marchese di Pianoro, conte di Bagnacavallo, patrono di Filèttole, ecc. ecc., amava due sole cose al mondo: la moglie e il gioco. Le amava tanto, che per esse dimenticava tutti gli altri svaghi che i suoi milioni gli potevano procurare; e gli occhi di donna Lucia e le rotondità capricciose della donna di quadri si contendevano con eguale potere nell’anima di lui il dominio.
Don Luigi amava, ma non era vizioso. Come non aveva mai fatto un torto a sua moglie, così non aveva mai giocato d’azzardo. Il trenta e quaranta e il macao non avevano alcuna attrattiva per lui. Gli piacevano i giochi in cui il calcolo e la riflessione hanno il primo posto. Era stato per lungo tempo un famoso giocatore di whist, e molte volte l’alba lo aveva sorpreso al Circolo, mentre meditava su un atout contrario o su un errore dell’avversario. Ma quando per i suoi affari era costretto a passare alcuni giorni in campagna, e soli suoi compagni potevano essere il fattore, il farmacista e il curato, allora egli si contentava di un volgare tresette o di un comune scopone. Era di quelli per cui il gioco, più che un’abitudine, è una necessità.
A quarant’anni aveva sposato una ragazza giovane e graziosa, ma non aveva perduto la passione delle carte. La sera non andava più al Circolo, e a mezzanotte era già coricato; ma, appena il pranzo era finito, il tavolino da gioco lo attraeva con le sue grazie pericolose. Due vecchi amici sulla cinquantina arrivavano puntualmente ogni sera: e, donna Lucia essendo la quarta, la partita cominciava. Se per caso raro uno dei compagni mancava, don Luigi lasciava il whist per la calabresella; e se per caso rarissimo mancavano tutti e due, marito e moglie si sollazzavano giocando a scopa, a briscola, e a quel celebre tresette pizzighin le cui regole sono eloquentemente spiegate nell’ultimo romanzo di Antonio Fogazzaro. La posta non era mai grossa: una sera, don Luigi perdette dodici lire, e se ne rammentò per tutta la vita.
I coniugi Millefiori vivevano insieme da tre anni. Donna Lucia, che era bella e indolente, aveva ceduto al capriccio del marito, e si era lasciata insegnar docilmente ogni sorta di giochi. Anzi ella stessa, essendo un giorno stata a visitare la baronessa di Larino ed avendo veduto molta gente che con molta gravità attendeva a un nuovo gioco venuto da poco in Italia, disse al marito:
— Perchè non giochiamo anche noi a bridge?
E davanti al nuovo signore, tutti gli altri passatempi dovettero mettersi in fuga e sparire.
E non solo i coniugi Millefiori lo giocarono ogni sera, noncuranti degli spettacoli, dei balli, e dei teatri: ma ogni giorno, dalle cinque alle sette, si diedero a frequentare i five o’ clock eleganti dove i cavalieri intrecciavano idilli fra un magnifico atout di cuori e un raddoppio di fiori. Donna Lucia fu molto ammirata e corteggiata; il marito ne divenne furibondo di gelosia, ma non potè resistere alla passione. Poichè, secondo le buone regole, il bridge è giocato da due dame e da due gentiluomini, egli faceva in modo che il compagno di sua moglie fosse brutto e maturo. A un solo giovane egli fece la grazia di accettarlo al suo tavolino: perchè il giovane giocava male e perdeva, con grande dispiacere di donna Lucia la quale perdeva con lui. Ma i maligni dissero che quel dispiacere era finto, e che da quel bridge erano cominciate le sventure coniugali del conte di Bagnacavallo.
Alla fine di maggio, donna Lucia fu presa da una lieve nevrastenia per la quale i medici le ordinarono un mese di montagna. Dalla villa suburbana in cui essi passavano la maggior parte dell’anno, marito e moglie passarono in una stazione climatica dell’Appennino Toscano, in un delizioso piccolo albergo fra gli abeti, dove erano ancora pochi i villeggianti e dove – passandosi la giornata in lunghe escursioni sui monti – ognuno si coricava presto la sera. Partendo per lassù, don Luigi aveva pensato alla salute della moglie, ma non al passatempo del gioco. Sapendo di andare in un albergo di lusso, egli aveva imaginato una serie di tavolini affollati di giocatori di bridge. Con sua grande delusione, non ne trovò neppure uno.
La bella natura intorno non aveva attrattive per lui. Gli abeti attorno all’albergo erano così folti, che l’ombra sotto di loro era perpetua e non vi penetrava se non qualche raro raggio di sole. Più in là, cominciavano i faggi, con il loro fogliame chiaro che tremolava di continuo ai venti leggeri. Freschi ruscelli d’acqua pura canterellavano fra i tronchi; qualcuno rampollava dalle radici di un faggio, o dalla fenditura di una roccia. Intorno, erano alti monti nettamente segnati contro il cielo azzurro. L’aria era fresca e odorosa; sulle prode dei fossi si coglievano le fragole e i mirtilli, e il profumo di resina entrava come una delizia nei polmoni.
Tutto ciò per don Luigi Millefiori era come se non fosse. Si vedeva la sua magra figura allampanata gironzolare fra i tronchi; alle volte, il suo volto caprino con i grandi occhi ceruli e scialbi si illuminava: allora egli traeva di lasca un mazzo di cartine inglesi, sue inseparabili compagne, e su un sedile di legno o su una tavola di macigno stendeva una nuova figura di bridge. Egli solo giocava per quattro, con lunghi ragionamenti e con mille finezze. Aveva due trattati inglesi e uno francese, e li consultava continuamente. Le ghiandaie dai rami si sporgevano a guardare, incuriosite.
Donna Lucia si annoiava. Poichè all’albergo non c’erano che signore e uomini maturi, il marito le lasciava molta libertà; ond’ella ne profittava per errare nel bosco con un romanzo francese. Alta e formosa, ma snella, con i capelli biondi e la veste bianca, ella innamorava gli Egipani selvaggi e destava invidia nelle Ninfe che cantavano dentro le fontane. Ma ella ignorava la mitologia, e non ne approfittava. Pensava alla sua gioventù che sfioriva monotona fra un marito brutto e un mazzo di carte. Il profumo dei fiori selvaggi le commoveva le vene. Il suo petto si apriva a un respiro più ampio; la sua bocca, quando ella beveva alle fonti, anelava a un qualche altro ignoto refrigerio. Certi brividi la correvano tutta, e la spaventavano.
E la sera, dalle otto a mezzanotte, quando tutto taceva e gli altri ospiti dormivano, ella sedeva di rimpetto al marito, e cominciava con lui il sollazzo di una interminabile serie di briscole e di scope. E ad ogni giocata, egli esclamava:
— Ah! un bel bridge in quattro: che delizia!
Oppure:
— Maledetto albergo! Neppure un gentiluomo che sappia giocare a bridge!
Donna Lucia sbadigliava, e malediceva il destino. Un poco, il male del marito si era attaccato anche a lei. Comunque, «un bel bridge in quattro» sarebbe stato più divertente che quel monotono colloquio in due, il quale aveva anche il difetto di essere coniugale. E mormorava anch’essa, tenendo bordone al marito:
— Neppure un gentiluomo...
E il gentiluomo capitò, una bella mattina dei primi di luglio. La notte era piovuto, e l’aria era limpida in modo meravigliosa. Tutta la montagna era un bagliore di smeraldi e di diamanti. Giù nella valle il fiume ingrossato ruggiva.
La prima persona da cui Giorgio Cangianti fu veduto arrivare, fu appunto donna Lucia, che era uscita per la sua consueta passeggiata mattutina. La bella signora e il bel giovane elegante si scambiarono un’occhiata scrutatrice. Uno pensò che quella solitudine non sarebbe stata tanto ingrata. L’altra, pensò che un uomo come quello sarebbe stato certo un compagno piacevole e divertente nel tedio delle lunghe ore. Ma don Luigi Millefiori, quando lo vide, corrugò la fronte e divenne pensieroso. E se ne accorse donna Lucia allorchè nel pomeriggio, uscendo per il bosco, si vide accanto come fido compagno il marito. Addio, bella libertà che in parte la compensava del tedio serale! E in cuor suo maledisse l’importuno che, con la sua presenza, aveva fatto ridestare la gelosia di don Luigi. La qual cosa non le impedì di corrispondere durante il pranzo con qualche breve occhiata a quelle, lunghe ed espressive, che il bel giovane le volgeva dal tavolino di rimpetto. E mai come quella sera, davanti all’asso di briscola o al sette bello, le accadde di accorgersi che il marito era vecchio e ridicolo con quei grandi occhi slavati e la barba rada.
In montagna le amicizie si annodano presto. La mattina dopo, Giorgio Cangianti si fece presentare a donna Lucia che sulla porta dell’albergo aspettava lo sposo. Ella era un po’ languida e lenta: ma accettò subito la corte che l’altro con grazia le offriva: e a un suo madrigale rise ed arrossì.
Don Luigi capitò in quel momento, e si oscurò in volto. Rispose con un semplice cenno del capo alle parole del giovane, e fu con lui duro e quasi scortese.
A donna Lucia queste cose non piacevano; e dopo, fra gli abeti, glielo disse.
— Io sto anche troppo bene così; – rispose il marito. – Possiamo anche fare a meno di conoscenze nuove.
— Non si può dire che ci divertiamo troppo... – osservò donna Lucia.
— Non è detto che con quel signore là dobbiamo divertirci di più! – rispose egli seccamente, e per tutta la mattina non disse parola.
Così Giorgio Cangianti non potè più per quel giorno nè per tutto il giorno appresso avvicinarsi alla bella signora. Ma l’idillio, fra quei contrasti, continuò. Donna Lucia fra gli abeti volgeva le spalle al marito e, seduta ai piedi di una pianta, pensava. E i suoi pensieri non erano propriamente quelli ...