Molti altari della modernità
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Molti altari della modernità

Le religioni al tempo del pluralismo

Peter L. Berger

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Le religioni al tempo del pluralismo

Peter L. Berger

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La nostra epoca è segnata dal forte ritorno delle religioni nello spazio pubblico. La teoria della secolarizzazione («più» modernità = «meno» fede) si è rivelata errata. Berger, un tempo sostenitore di quel paradigma, non ha timore ad ammettere lo sbaglio: l'osservazione della realtà lo porta ad affermare che oggi non viviamo in un'età secolare ma in quella del pluralismo. Le fedi sono compresenti a livello planetario: gli Hare Krishna ballano davanti alle cattedrali gotiche d'Europa, il cristianesimo si diffonde nella Cina confuciana, l'America Latina (un tempo uniformemente cattolica) vive un'esplosione di presenza protestante, la regina Elisabetta si proclama «difensore di tutte le fedi nel Regno Unito». Al contempo i credenti sono immersi nella propria epoca vivendo in prima persona il pluralismo in quanto persone sia religiose sia secolari. Ma cosa significa il fatto che il pluralismo è il paradigma della condizione spirituale moderna? In che modo le istituzioni religiose ne vengono condizionate? Cosa succede alla fede in questo contesto? Questo libro risponde con lucidità a tali domande. Berger intreccia un'impareggiabile competenza accademica con la sapida capacità di indagare i fatti propria dell'uomo curioso di capire.«Berger è un'autorità mondiale in materia di religioni e modernità» The Washington Post«Il più famoso sociologo vivente» Forbes«Tra i primi a prevedere che il mondo si sarebbe secolarizzato, Berger è stato anche tra i primi a riconoscere di essersi sbagliato» Il Foglio

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Informazioni

Editore
EMI
Anno
2017
ISBN
9788830723887
1. IL FENOMENO PLURALISTA
Il termine «pluralismo» ha una lunga storia nella filosofia, dove sostanzialmente sta a significare che ci sono diversi modi di guardare la realtà. Nel discorso filosofico contemporaneo il termine è stato applicato al concetto di «giochi linguistici» coniato da Ludwig Wittgenstein. Tale uso filosofico, per quanto interessante, non mi riguarda in questa sede. Per pluralismo io intendo un fenomeno che non appartiene alla mente di un filosofo, bensì costituisce un fatto della società del quale possono fare esperienza le persone comuni (che per fortuna sono molto più numerose dei filosofi).
Questo significato più ordinario del termine fu introdotto da Horace Kallen (1882-1974), un filosofo formatosi a Harvard, che insegnò per molti anni alla New
School for Social Research, che sorge nel Greenwich Village di New York, in un ambiente bohémien dove egli entrò in contatto con una pluralità di tipi umani molto maggiore di quella che aveva potuto conoscere durante gli studi universitari nel cortile di Harvard. Suo padre, un rabbino, era emigrato negli Stati Uniti con la famiglia quando Horace aveva cinque anni. Molto tempo prima di incontrare la filosofia, Kallen aveva vissuto la realtà tumultuosa dell’esperienza migratoria e aveva imparato ad apprezzarla. Così egli non solo descrisse, ma celebrò la multiculturalità degli Stati Uniti d’America. Questo doppio significato del pluralismo come semplice descrizione dei fatti sociali e come ideologia si è conservato fino ad oggi.
Anch’io sono entrato negli Stati Uniti da immigrato – a diciassette anni, non a cinque – e ne ho sempre assaporato con gusto la diversità. Tuttavia, scrivo qui in veste di osservatore piuttosto che di celebratore. Il suffisso «ismo», naturalmente, trasmette una sfumatura ideologica, e per un certo tempo ho preferito usare il termine più descrittivo «pluralità». Ma poi ho constatato che dovevo continuare a spiegare di che cosa stavo parlando: «Vedi, è come il pluralismo…». Quest’ultimo termine è facilmente comprensibile e infatti è diventato parte del linguaggio corrente. E io lo utilizzo, qui, nel suo significato colloquiale.
Contaminazione e dissonanza cognitiva
Il mio uso del termine, ad ogni modo, deve essere definito chiaramente: il pluralismo è una situazione sociale in cui persone diverse per appartenenza etnica, visione del mondo e sistema di valori etici convivono pacificamente e interagiscono reciprocamente in modo amichevole. L’ultima frase è importante. Non ha gran senso parlare di pluralismo se le persone non si parlano tra loro – se, per esempio, interagiscono solo in quanto padroni e schiavi, o vivono in comunità rigidamente segregate e interagiscono esclusivamente a livello di rapporti economici. Affinché il pluralismo sprigioni tutta la sua dinamica ci deve essere una conversazione prolungata, non necessariamente tra pari ma estesa nel tempo e tale da coprire una vasta gamma di argomenti. Gli antropologi impiegano due termini utili per questo: «commensalità» e «connubio» (mangiare insieme e/o sposarsi); in altre parole, la conversazione a tavola e quella intima tra compagni di letto.
Quello che avviene poi è il processo che ho denominato «contaminazione cognitiva». Tale espressione può non essere un glorioso contributo alla lingua che parliamo, ma a volte è utile allontanarsi dal linguaggio ordinario. La frase si riferisce a un fatto comunemente osservato: persone che continuano a parlarsi l’una con l’altra si influenzano a vicenda.
Gli psicologi sociali hanno ammassato una ricca letteratura sul fenomeno. Ci sono anche studi divertenti. Milton Rokeach, ad esempio, ha scritto un libro avvincente, I tre Cristi. L’Ypsilanti che figura nel titolo dell’edizione originale non è il patriota greco del tempo di Byron, ma una città del Michigan dove si trova un ospedale psichiatrico. Vi erano due internati, ciascuno dei quali credeva di essere Gesù Cristo. In qualche modo andavano d’accordo. Gli psichiatri però si preoccuparono quando arrivò un terzo paziente con la stessa illusione. Per risolvere il problema, alla fine i tre non furono separati, ma messi insieme. Rokeach racconta ciò che accadde: i tre inventarono un’ingegnosa teologia che permetteva a ciascuno di mantenere il proprio titolo come una sorta di Cristo. Coloro che si parlano, anche se pazienti di un ospedale psichiatrico, finiscono per influenzarsi l’un l’altro. Raggiungono un compromesso cognitivo.
Faccio quindi due affermazioni importanti: la prima è che la contaminazione cognitiva relativizza; la seconda è che il pluralismo produce contaminazione cognitiva in via permanente.
La mia comprensione della contaminazione cognitiva è una chiosa all’importantissima opera di Leon Festinger su quella che egli ha definito dissonanza cognitiva (Teoria della dissonanza cognitiva, 1957). Il termine si riferisce a ciò che accade quando le persone vengono poste di fronte a presunti fatti che contraddicono ciò che esse sono abituate a credere. Festinger era particolarmente interessato alle strategie che le persone utilizzano per evitare la dissonanza. Per esempio, i fumatori voltavano subito pagina quando s’imbattevano in un articolo sui rischi del fumo per la salute. È interessante notare che Festinger effettuò i suoi studi alcuni anni prima che scoppiasse la grande guerra al tabacco. Non credo che le strategie da lui descritte siano molto cambiate, a parte il fatto che oggi i fumatori che fuggono dalla dissonanza hanno più articoli da saltare.
Secondo Festinger esiste una vera e propria scala nelle strategie di fuga: negare la validità dei dati dissonanti (io lo chiamo «assassinio metodologico»; è lo strumento privilegiato degli scienziati sociali con forti pregiudizi); attaccare le motivazioni personali di chi trasmette i dati dissonanti (per esempio dicendo che è al soldo di qualche soggetto interessato ecc.); rimuovere fisicamente dalla scena i portatori di tali dati o fuggire dalla scena; nei casi estremi, convertire o uccidere i portatori di dati dissonanti. Esiste però anche un’altra opzione: negoziare con loro. Questo è appunto ciò che fecero gli internati dell’ospedale psichiatrico di Rokeach. Ho chiamato tale fenomeno «contrattazione cognitiva». È una strategia molto importante per comprendere il pluralismo.
Relativizzazione delle visioni del mondo
Qualsiasi interazione prolungata con chi sia in disaccordo con la nostra visione del mondo relativizza quest’ultima. Le persone con punti di vista contrastanti neppure hanno bisogno di dire qualcosa riguardo al loro disaccordo: basta che siedano vicine e già si sentono a disagio. Riprendendo l’esempio del tabacco, molti bambini oggi vengono sottoposti a un massiccio indottrinamento sulla grave nocività del fumo. Tale convinzione è sostenuta dalle famiglie come dalle scuole, dagli operatori sanitari e dai media. Una volta ho assistito, in proposito, a un incidente relativizzante. Una bambina alla quale era stata evidentemente inculcata la virtù anti-fumo si trovava nel salotto di casa quando un ospite si accomodò e si accese la pipa. Nessuno obiettò. Eravamo agli albori di questa particolare guerra culturale. La bambina rimase congelata al proprio posto, con gli occhi sbarrati, palesemente scioccata. L’ospite colpevole non disse nulla.
Ma supponiamo che la ragazzina si riprenda dal congelamento e sfidi il fumatore: «Ma non lo sa che il fumo fa male alla salute?». Supponiamo che costui risponda: «Oh, io non la penso affatto così», e continui a godersi con calma la pipata. È possibile immaginare un numero svariato di scenari ulteriori, fino alla violenza fisica. Il punto fondamentale è semplice: la relativizzazione avviene, almeno in minima parte, quando uno si comporta in un modo visibilmente diverso da quello che per un altro è il comportamento corretto. La relativizzazione si intensifica se lo sfidante verbalizza il disaccordo. In tal modo, varie forme di interazione con diverse visioni del mondo e con i comportamenti che esse generano avviano un processo di relativizzazione.
Un altro esempio di questo processo è reperibile nell’opera di Montesquieu, un pensatore politico abbastanza inaffidabile e comunque assai influente. Nelle sue Lettere persiane (1721) egli fornisce un buon esempio di quanto vorrei ora precisare. Il libro contiene le presunte lettere inviate a casa da due visitatori persiani a Parigi. Essi esprimono stupore per gli usi e i costumi della società che stanno osservando, per esempio riguardo alla coesistenza della monogamia e dell’adulterio, fatto che trovano strano. Riferiscono anche lo stupore dei francesi per ciò che i visitatori raccontano loro della vita in Persia, per esempio sulla poligamia e gli harem. I parigini chiedono: «Come si fa a essere persiani?». Ma la domanda che Montesquieu intende porre è: «Come si fa a essere parigini?».
Ecco appunto la relativizzazione: l’intuizione che la realtà può essere percepita e vissuta in modo diverso da quello che viene considerato l’unico modo. In parole povere, le cose possono essere molto, molto diverse. Gli antropologi chiamano questa esperienza «shock culturale». Parecchi antropologi fanno i conti con lo shock della relativizzazione quando si immergono nelle culture dei nativi. Il pluralismo produce una situazione in cui la relativizzazione diviene un’esperienza permanente. Ciò può verificarsi ai più svariati livelli di sofisticatezza, da quello della bambina che assiste a un comportamento per lei scandaloso a quello dell’antropologo che cerca di elaborare una teoria del cannibalismo.
Breve excursus storico
Il pluralismo come l’ho definito è esistito, in forme diverse, in varie epoche della storia. È un’antica tradizione nelle culture dell’Estremo Oriente, in particolare in Cina e in Giappone. L’India preislamica rappresenta un esempio un po’ diverso. Per molti secoli i paesi lungo la Via della Seta manifestarono un pluralismo religioso esuberante, con cristiani, manichei, zoroastriani, induisti, buddhisti e letterati confuciani che interagivano tra loro, spesso nel contesto degli stati ellenistici eredi delle conquiste orientali di Alessandro Magno.
Un magnifico esempio di questo tipo di scambio è il testo buddhista classico Le domande del re Milinda, che contiene un dialogo tra un saggio buddhista e un sovrano ellenistico, il cui nome greco era probabilmente Menandro. Il re pone domande sul buddhismo dal punto di vista della sua conoscenza della filosofia greca. Si tratta di uno splendido esempio di due visioni del mondo molto diverse, entrambe profondamente religiose in modi diversi, che devono venire a patti l’una con l’altra.
L’ellenismo, che fiorì nei centri urbani del tardo Impero romano, era una forma particolare di pluralismo e fu molto importante per il successivo corso della civiltà europea. Fu in quel contesto favorevole che il cristianesimo si diffuse al di fuori della sua terra d’origine, a partire dalla missione di Paolo ad Atene, dove l’Apostolo si rivolge direttamente al pluralismo ellenistico con il suo discorso riportato negli Atti degli Apostoli: «Ateniesi, vedo che, in tutto, siete molto religiosi. Passando infatti e osservando i vostri monumenti sacri, ho trovato anche un altare con l’iscrizione: “A un dio ignoto”. Ebbene, colui che, senza conoscerlo, voi adorate, io ve lo annuncio» (At 17,22b-23). Quindi Paolo annuncia il Vangelo di Gesù Cristo, il cui culto era centrale per la sua fede.
Nella storia dell’islam ci sono stati periodi (alcuni brevi, altri più lunghi) nei quali i governanti hanno consentito e persino incoraggiato il pluralismo religioso e culturale, come nella Spagna musulmana, nell’India Moghul e nell’Impero ottomano; nel primo caso fu coniato un termine speciale, convivencia, per indicare un’amichevole convivenza tra musulmani, cristiani ed ebrei.
Il Medioevo cristiano in Europa, un periodo storico non molto rinomato per la tolleranza, ha tuttavia conosciuto episodi di pluralismo. Un esempio è il governo degli Hohenstaufen in Sicilia; un altro la Langue d’Oc sotto il conte di Tolosa, un cattolico che tollerò e addirittura protesse gli albigesi finché non giunse da nord una crociata particolarmente feroce a sterminare l’eresia, distruggendo con essa anche la cultura pluralistica.
Dal destino alla scelta
Il pluralismo è spesso associato a città importanti – sedi di governo, centri commerciali e porti marittimi. Un vecchio adagio tedesco si riferisce a questa realtà: Stadtluft macht frei, l’aria della città rende liberi. Non c’è nessun mistero in questo. Le città sono i luoghi dove è più facile che persone provenienti da ambienti molto diversi vivano a stretto contatto e la contaminazione cognitiva cominci il suo lavoro distruttivo o creativo (a seconda dei punti di vista). È utile riflettere sul fatto che nella storia premoderna sono esistite grandi città – basti pensare ad Alessandria – e che il pluralismo è molto più antico della stampa e della macchina a vapore, due potenti mezzi del pluralismo moderno.
La modernità può essere sinteticamente definita come l’insieme dei cambiamenti introdotti dalla scienza e dalla tecnologia che si sono sviluppati negli ultimi secoli – un processo sempre più accelerato, con conseguenze che colpiscono un numero crescente di settori della vita umana. In un certo senso la modernizzazio...

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