
eBook - ePub
La mia casa sul ciliegio
Lasciare la città, vivere in un bosco, essere felici
- Italian
- ePUB (disponibile sull'app)
- Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub
Informazioni su questo libro
«Siamo tutti presi dalle corse frenetiche di questa vita. Se solo rallentassimo, ci renderemmo conto che le cose di cui abbiamo davvero bisogno sono poche. Io non so se ho trovato una giusta direzione, non so in cosa si tradurrà in futuro questo mio vivere solitario, ma la sensazione di aver interpretato un desiderio mi rafforza. I sogni vanno realizzati. È compito di ogni uomo fermare la propria vita, volgere lo sguardo al futuro e restituire al mondo una parte di se stessi. È solo così che si può ringraziare per il nostro transito qui».
Questo libro è il manifesto di un nuovo modo di vivere. Gli amanti del Tree House Living sono un'onda inarrestabile, che si sta diffondendo nel mondo intero e che ambisce a una quotidianità più semplice, serena e in armonia con la natura.
Nella sua personalissima parabola esistenziale, Gabriele ha trovato la sua felicità, ma soprattutto ha compreso che le scelte che facciamo sono spesso dettate più dalle convenzioni che da una precisa volontà. Dopo un periodo di smarrimento, i suoi dubbi interiori hanno trovato risposta in un bosco, su un ciliegio inclinato, fra le assi di legno di una casetta che, fino a quel momento, era stata un rifugio temporaneo e che da una notte di luglio è diventata la sua casa.
La sua storia è un invito a trovare il coraggio delle proprie risposte e a fare della propria vita un'opera d'arte unica e meravigliosa.
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Informazioni
Editore
TS EdizioniAnno
2022eBook ISBN
9791254710166Prologo
La pioggia che cade al mattino entra nei miei sogni e mi sveglia. Sotto le coperte il caldo mi accarezza, ascolto le gocce che picchiano sul tetto. Una dolce magia, questa. Basta una leggera pioggia ad accrescere la piacevole sensazione di sentirsi dentro alla natura. Per quanto una vita come la mia potrebbe far paura, io qui mi sento protetto. Allungo la mano, sposto la tenda e fuori la natura mi aspetta.
Mi soffermo tra le coperte e con lo sguardo oltre il vetro a scrutare il giorno. Un semplice momento che nutre lo spirito, dall’alto del ciliegio ammiro in silenzio quegli impercettibili movimenti tra le foglie, avverto un picchio che lavora il legno. Mi concedo pochi minuti per osservare il risveglio del bosco. Le foglie sono accarezzate da una leggera brezza e in lontananza si vede uno scoiattolo saltellare tra i rami: chissà dove andrà, così presto? Una sensazione di leggerezza mi abbraccia e un sorriso solca il mio volto. Potersi svegliare così è un dono e io sempre di più mi accorgo di aver fatto la scelta giusta. Sono felice.
Faccio un balzo uscendo dal letto rialzato verso il soffitto, l’urto con il pavimento dà uno scossone alla casa. Spettinato, metto l’acqua a bollire sul fornello, mi stropiccio gli occhi, una bustina di tè, due biscotti, la mia solita tazza e un sorso dopo l’altro la giornata prende vita con qualche raggio di sole timido che inizia a filtrare tra il fitto fogliame, prendendo il posto della pioggia.
Apro la porta che scricchiola nel silenzio della natura, le travi di legno sono secche e ne assaporo la superficie ruvida. Sul piccolo balcone mi inginocchio e nella cassa di legno osservo i ghiri del ciliegio dormire uno attaccato all’altro. Loro, come me, hanno scelto questo albero.
Mi chiamo Gabriele, ho quarant’anni e da tre vivo in una casa di sei metri quadrati costruita su un ciliegio. Un giorno una persona mi ha suggerito di raccontare la mia esperienza. È così che ho messo da parte la mia timidezza, tutta quanta la mia pigrizia, ho preso una penna e ho incominciato a scrivere. Ho incontrato da subito la paura, quella di essere giudicato, ma ho imparato a combatterla, a sconfiggerla. Perché i sogni vanno realizzati.
È compito di ogni uomo vivere, fermare la propria vita, volgere lo sguardo al futuro e ridare al mondo parte di se stessi. È solo così che si può ringraziare per il nostro transito qui.
La vita prima
Ci penso spesso, alla mia vita di prima. Una vita come tante, probabilmente, con i suoi alti e bassi, le sue certezze e le sue insicurezze. A volte mi rivedo nei panni che ormai ho dismesso da tempo. Eccolo, il Gabriele di tre anni fa.
La mia giornata-tipo comincia non troppo presto. Fortunatamente ho un lavoro senza orari, posso iniziare quando voglio e gestirmi in completa autonomia. Mi alzo e faccio colazione con la televisione accesa per non sentire i vicini che già urlano e, per la strada, il trambusto del traffico cittadino.
Esco di casa con quella fretta che chissà da dove arriva, salgo in macchina e sempre di corsa schivo le auto tentando di recuperare qualche minuto che mi porterà a terminare la giornata il prima possibile. I semafori eterni, la solita Panda davanti che non procede, e oltre i finestrini persone nervose. Qualcuno guida al telefono e si percepisce che sta parlando di lavoro, preso dalla sua conversazione sembra che tutto ciò che gli è attorno non esista più. Rapito dal telefono guida in un automatismo. La mia mente si sofferma su questa scena e genera subito un pensiero: “Io non sarò mai così”. Quasi un augurio che faccio a me stesso.
Il semaforo è verde, la coda procede lentamente. Din! Arriva un messaggio sul cellulare, mi distraggo, butto l’occhio per vedere chi mi scrive. Ecco il “buongiorno” con la solita immagine presa da Internet di un caffè e una brioche. Con un po’ di insofferenza rispondo con un altrettanto anonimo “buongiorno”, sperando di non offrire il fianco alla domanda successiva: «Come stai?». Non amo conversare tramite messaggi, soprattutto di cose poco importanti che non portano da nessuna parte. Mi viene in mente quando ero piccolo a casa dei miei genitori, con il telefono della SIP sul tavolino in salotto. Quell’apparecchio era presente in tutte le case e non doveva mai squillare durante gli orari dei pasti. Se succedeva, o anche solo stavamo per sederci a tavola, mio padre mi diceva di non rispondere, tanto se era importante avrebbero richiamato.
La giornata di lavoro inizia, uguale come sempre. Sono un visual merchandiser e mi destreggio tra responsabili e direttori di vari punti vendita. Gente per lo più ingabbiata nelle solite dinamiche, che sta sempre a lamentarsi del poco o troppo lavoro o degli obiettivi impossibili da raggiungere per accedere a maggiori compensi economici. Il mio lavoro mi dà tanto, ma non posso negare che spesso mi metta di fronte a situazioni che proprio non riesco a digerire. Uno come me, che anche in un incontro di lavoro cerca il contatto umano, l’occasione per un confronto empatico, difficilmente si sente a proprio agio con i ritmi impersonali e gli schemi ripetitivi delle grandi aziende.
Queste riflessioni che già si affacciano alla mia mente saranno al cuore delle mie scelte future.
In autostrada i paesaggi sfrecciano dal finestrino, oltrepasso il confine regionale e l’aria è diversa, si sente già il profumo del mare e l’entroterra regala colori differenti. Appena la routine rallenta, mi concedo un momento di pausa e volo via con la fantasia, mi ritaglio un posto tra i miei sogni.
È da tempo che desidero farmi un viaggio come si deve, di quelli che piacciono a me. Deserto, mare, tavola da surf, libertà, adrenalina, tenda e zaino. Punto il dito sulla mappa e i pensieri si trasformano in sogni, con quel desiderio di renderli realtà. Ultimamente mi sento attratto dal Centro America. E se ci andassi a vivere? Chissà se ci riuscirò mai. Con questi pensieri la giornata prende vita ricca di speranza. Leggo dei blog, mi documento. I viaggi che ho sempre fatto non mi bastano più e intuisco dentro di me qualcosa che non so decifrare. A volte mi sento scomodo, come se indossassi un paio di scarpe più piccole di due numeri; a guardarle sembrerebbe persino che non le abbia scelte io. Ma cosa mi succede? Cosa mi sto portando addosso? Cosa sto calzando? Ma siamo sicuri che sto camminando nella giusta direzione?
Il cellulare vibra. Una telefonata mi riporta con i piedi per terra.
«Pronto?».
«Buongiorno, vogliamo proporle l’offerta riservata ai nostri clienti…». Riattacco.
Controllo il conto corrente on line su cui mi viene versato lo stipendio, inserisco i vari codici e incrocio le dita. Chissà come mai c’è sempre meno di quello che immaginavo. Prendo la calcolatrice, faccio due calcoli e prospetto le spese del mese corrente, la rimanenza la bonifico subito su un conto deposito per i miei progetti e viaggi futuri. Lo stipendio a cui mi aggrappo mi pare sempre un po’ misero per sovvenzionare i miei sogni, e per quanti soldi io metta da parte sembrano sempre non bastare.
“Ci vuole tempo e sacrificio per ogni cosa. Non avere fretta” ricordo a me stesso.
Ma io corro, le giornate volano via con grande facilità, brucio le ore facendo salti mortali. Per quanto mi dia da fare sono sempre qui a districarmi tra i problemi, mi sento fermo al punto di partenza benché di strada ne abbia fatta parecchia. Cosa mi serve per fare un salto di qualità? Non riesco a trovare quel passo che mi riscatti da questa sensazione di immobilità.
Il weekend è alle porte, parcheggiata la macchina aziendale controllo un’ultima volta le mail e sono libero. Prima di chiudere la giornata mi butto in palestra per sfogarmi e tenere il corpo allenato. Borsa in spalla, salto sulla bici e mi dirigo verso l’arena del corpo libero. Con soli 19,90 euro al mese hai tutto a disposizione, sale, corsi, attrezzi, qualche sorriso e persone supertirate che sfoggiano il proprio corpo come se fosse una sfilata.
Passando davanti al bancone vedo la receptionist intenta a discutere con un ragazzo che è in ritardo con il pagamento e a cui il tornello elettronico blocca l’entrata.
Lo spogliatoio è saturo e la pessima areazione del locale non riesce a smaltire la cappa maleodorante.
Mi spoglio, metto il mio solito pantaloncino e canotta, chiudo l’armadietto e vado a fare cardio. Corro fermo nello stesso punto, sudo, gli occhi fissi. E la mente è nuovamente volata via…
Sarà andata in Centro America? Vado a recuperarla. “Torna qui che mi servi”, rimetto in standby i sogni che spesso rapiscono la mia attenzione. Mi concentro sugli esercizi, cerco di spostare i miei limiti un po’ più in là e di andare oltre la soglia del dolore.
Niente, oggi non riesco a ottenere grandi risultati, non ci sono, la testa non è con me.
È assurdo sapere di essere qui ma riconoscere che parte del tuo corpo non vuole stare tra queste quattro mura. Nuovamente la sensazione delle scarpe strette mi pervade.
Siamo tanti, tutti un po’ ammassati, ognuno con il bisogno di raggiungere i propri obiettivi. Gli sguardi si intrecciano in cerca di comprensione impregnata di invidia. Tra di noi intravedo qualche talento, qualcuno che è realmente sicuro di ciò che sta facendo tanto da ipnotizzarmi, cerco di carpirne le doti o capacità.
Una ragazza con i capelli raccolti passa di fronte a me e i suoi leggins attillati mi sciolgono i lacci di queste scarpe, restituendomi una boccata di ossigeno e spensieratezza.
Ecco, finalmente arriva Edoardo, un ragazzo simpatico conosciuto in palestra. Le classiche chiacchiere di rito prendono vita e io mi aggrappo un po’ a questa isola sicura.
Oltre le finestre il buio della sera ha già preso posizione e io, senza voglia di continuare, getto la spugna e vado a farmi una doccia.
Mi soffermo sotto l’acqua calda cercando conforto, gli occhi chiusi, bagno schiuma e Havaianas gialle e verdi. Uomini seminudi si guardano allo specchio gonfiando pettorali e muscoli, faccio finta di non vedere.
La bici mi aspetta fuori, umida e infreddolita dall’inverno, ci salto sopra, il fresco tra i capelli smorza il tepore corporeo accumulato durante la doccia.
Arrivato a casa apro il frigo e la luce all’interno illumina il vuoto. La televisione e una Peroni sgasata avanzata dalla sera prima a farmi compagnia. Divan...
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