CAPITOLO OTTAVO
Il Marcellina
Nel salone grande questa sera c’è il Marcellina. Che sarebbe un uomo, ma lo chiamano tutti con quel nome da donna perché si profuma e si incipria, parla muovendo le mani e cammina muovendo i fianchi. Sa stare allo scherzo, non si offende per nulla quando lo chiamano Marcellina, anzi non possono fargli piacere più grande. Dicono sia innamorato del Tranquillo perché aveva preso le sue difese quando in fabbrica gli avevano proibito di andare al lavoro con la gonna. L’intervento del Tranquillo non era servito, perché la direzione aveva tenuto duro e il Marcellina aveva dovuto rassegnarsi ai pantaloni. Però è rimasto lo stesso riconoscente al Tranquillo.
Quando c’è il Marcellina il divertimento è assicurato perché da tutti i tavoli fanno a gara a prenderlo in giro, chi gli chiede quando si sposa, chi vuole avere consigli su ciprie, profumi, smalto per le unghie, chi vuole farlo ingelosire dicendogli che il Tranquillo lo tradisce, e lui ribatte a tutti, con voce in falsetto e muovendo le mani, senza mai offendersi, anzi, contento come una pasqua.
C’è il Marcellina, questa sera, ma nessuno si diverte. Perché ai tavoli c’è anche il Danilo. E al Fascio non piacciono quelli come il Marcellina, per loro c’è persino la galera. Con il Marcellina, però, hanno sempre chiuso un occhio perché, anche se a vederlo non lo si direbbe, è un grande lavoratore, molto svelto e preciso e non si tira mai indietro quando gli chiedono di fare gli straordinari. E anche perché ha i muri di casa tappezzati di foto del duce, manca solo che vi accenda un lumino.
Quando c’è il Danilo l’atmosfera nel salone è comunque sempre meno allegra del solito, i clienti bevono, ridono, giocano e cantano, questo sì, sempre però stando bene attenti a quello che dicono e a quello che fanno, di barzellette su Mussolini non ne senti certo raccontare.
I tavoli della cena già sono stati sparecchiati, distribuiti i mazzi di carte assieme ai quartini e ai mezzi litri, ma l’atmosfera continua a non essere quella di tutte le sere. Anche se il Danilo non è più presente, è andato in cucina a parlare con il Tranquillo. Zia Speranza e la Gisella li hanno lasciati soli, sono venute nel salone, la Gisella a controllare il livello del vino nei mezzi litri senza aspettare che battano contro il bicchiere a richiamare l’attenzione, zia Speranza a controllare che la Gisella tenga a freno la lingua con i clienti e che i clienti tengano a freno le mani con la Gisella.
«Litigano?» si è subito informato il Pulce, slacciando il grembiule alla Gisella. «Un pochino» ha subito risposto la Gisella prima che zia Speranza le bloccasse la risposta. Il grembiule della Gisella è caduto a terra e come al solito c’è sempre qualcuno che si affretta a raccoglierlo e si offre di aiutarla ad allacciarlo, così l’abbraccia e lei diventa rossa, batte schiaffetti sulle mani del cliente e dice uffa uffa.
«Proprio tu vuoi sapere se litigano?» chiede arrabbiata al Pulce zia Speranza. Perché se il Danilo e il Tranquillo stanno litigando, il Pulce c’entra, e lo sa benissimo. Non lui personalmente, ma sua figlia, l’Ursula. Figlia del Pulce e di madre ignota.
Che il Pulce avesse questa figlia si è saputo solo il giorno in cui è tornato in paese con una ragazza che nessuno prima aveva visto mai. E gongolava nelle presentazioni: «Questa è Ursula, mia figlia unica e rara, guardate com’è bella, sfido, ha patrizzato». Tutti d’accordo che avesse patrizzato, tanto era brutta e smilza come suo padre, che non a caso viene chiamato Pulce. Si è poi saputo che l’aveva tenuta fin dalla nascita dalle suore in un orfanotrofio di Torino.
«Nella disgrazia è stata fortunata, povera figliola» aveva detto suor Maria Modesta. «Le nostre sorelle di Maria Ausiliatrice sono eccellenti educatrici, le giovani che escono dai loro istituti sono sempre veri modelli di laboriosità e di virtù cristiane».
«E le nostre sorelle del Convitto Rivetti sono forse da meno come educatrici?» aveva detto suor Anna Piera.
«Altroché» aveva ribattuto suor Maria Modesta «eccellenti educatrici e perfetti sergenti maggiori.»
«Suor Maria Modesta, questa non è carità cristiana» aveva detto con voce severa la madre superiora. «È fin troppo facile criticare quando come nel nostro caso dobbiamo occuparci per qualche ora al giorno di pochi bambini mansueti e di buona famiglia, mentre le nostre sorelle del Convitto hanno la responsabilità , diurna e notturna, di giovani operaie, spesso irrequiete e indocili, cresciute in ambienti spesso lontani dalla religione. Sono da ammirare, le nostre sorelle, non da criticare.»
Verissimo. Sono più di trecento le operaie che abitano nei tre piani del Convitto Rivetti. Di giorno lavorano in fabbrica, di notte dormono in stanzoni di quaranta o cinquanta letti. Nelle ore extra fabbrica stanno in un salone che funge da laboratorio dove imparano dalle suore a cucire, ricamare, lavorare ai ferri.
Ma pure verissimo che quelle suore sono dei sergenti maggiori. Basta vedere la fila delle operaie del Convitto quando vanno al lavoro. Marciano tre a tre dalla porta del Convitto a quella della fabbrica, come tanti soldati, persino con la divisa, uguale per tutte, un grembiule a quadretti bianchi e neri.
L’Ursula deve conoscerla bene la differenza fra le due famiglie di suore, avendole provate tutte e due, quelle di Maria Ausiliatrice fino a ieri, e poi quelle del Convitto dove il Pulce l’aveva trasferita dopo averle trovato lavoro al lanificio. Anche queste seconde non le erano piaciute. E aveva incominciato a pestare i piedi, sono stufa di suore, io qui non ci rimango manco morta. Il Pulce a tenere duro: lo sai, sono senza lavoro, come faremo a vivere? Dalle suore stai come un papa, hai da mangiare da dormire da vestire e da lavorare, pensa quanti soldi risparmiati. Porta pazienza pochi mesi, Ursula, e vedrai che la risolviamo. Manco morta, neanche più un’ora qui ci rimango, rispondeva la figlia.
Non otteneva niente dal padre, l’Ursula? L’aveva ottenuta dal Danilo. A sentire il Pulce, la sua Ursula era già nata fascista ma crescendo lo era diventata sempre di più per cui era raro, se non impossibile, trovare un’altra giovane italiana di più puro spirito fascista. Secondo le tote, invece, l’Ursula si era improvvisata fascista nel momento stesso in cui aveva scoperto che sua sola ancora di salvezza non poteva essere che il Danilo.
«Avesse sperato di ottenere qualcosa dal Tranquillo si sarebbe fatta comunista, ha puntato invece sul Danilo e si è fatta fascista, fascista per puro calcolo, ecco come stanno le cose, vuoi mettertelo in testa una buona volta sì o no, testona che non sei altro?»
Testona che non sei altro lo dicono a tota Erica, e anche tutto il discorso della fascista per puro calcolo lo dicono per calmare tota Erica che è furibonda di gelosia, sospetta che l’Ursula faccia il filo al Danilo. E che il Danilo sotto sotto ci stia. Non serve che cento volte al giorno le carte di tota Germana assicurino che non è così. Non serve che cento volte al giorno le altre tote dicano non vedi com’è brutta, è persino gobba, continuano e ripeterglielo e a volte pure si arrabbiano, ma tota Erica continua ad essere furibonda di gelosia, continua a sospettare che l’Ursula faccia il filo al suo Danilo e che il suo Danilo sotto sotto ci stia.
«Non sapete che l’amore è cieco?» dice alle altre.
«Lo sappiamo, lo sappiamo» rispondono le altre, e giù a ridere.
Comunque, è un fatto che l’Ursula ora non è più al Convitto delle suore. E questo proprio grazie all’interessamento del Danilo. Il Pulce e sua figlia abitano ora in due stanze in una casa di proprietà del municipio. Ed è pure un altro fatto che molte tessitrici hanno notato che il Danilo a volte si ferma un po’ troppo a lungo al telaio della Ursula, sarà per motivi di lavoro, ma con le altre operaie di solito non la tira tanto lunga. Il guaio è che la prima a venirlo a sapere è sempre e proprio tota Erica. Insomma, se il Pulce avesse continuato a dimenticarsi di avere una figlia e la Ursula avesse continuato e rimanere in quel suo orfanotrofio di Torino sarebbe stato meglio per tutti.
L’Ursula, però, faceva parte di un patto segreto fra il Tranquillo e il Danilo. Patto segreto ora saltato, e potrebbe essere questo il motivo per cui il Tranquillo e il Danilo sono chiusi in cucina. Forse a litigare. O forse a stringere un altro patto. Ma non c’è la Gisella questa volta ad ascoltare dietro la porta e a riferire. È occupata a distribuire schiaffetti sulle mani lunghe dei clienti.
Il patto segreto era che il Danilo avrebbe cercato di convincere il conte Oreste a non dare gli otto giorni alla Mantenuta e se proprio questa continuava a non fare il bedò l’avrebbe trasferita nel reparto confezioni che andava bene anche per la sua artrosi. Infatti, subito il Danilo aveva parlato con il conte Oreste che aveva alzato le spalle e risposto «Fate vobis», figurati se diceva di no al Fascio con tutti i milioni che gli fa guadagnare.
Compiuto ora il Danilo il piacere al Tranquillo, visto che la Mantenuta era una sua tesserata, toccava ora al Tranquillo fare un piacere al Danilo, visto che la Ursula era una tesserata sua. Questo: non mettere il bastone in mezzo alle ruote se il Danilo faceva avere alla Ursula il telaio della Lisa, andata in pensione. Telaio che faceva gola a molte con più diritti certo della nuova arrivata. Il conte Oreste aveva di nuovo detto fate vobis e il Tranquillo non aveva fatto storie. Così, anche la seconda parte del patto segreto era andata in porto.
Le storie, semmai, le aveva fatte chi si aspettava di ottenere il telaio della Lisa. Mentre a tota Erica questa volta non erano bastate le gocce di belladonna, non le carte di tota Germana, non le rassicurazioni delle altre tote.
Certo, però, che nessuno poteva prevedere il patatrac che proprio questa mattina ha mandato all’aria la seconda parte del patto segreto.
Questa mattina, nel suo primo giorno di pensione, la Lisa si è presentata come niente fosse al lavoro. È entrata in anticipo, come sempre, subito si è diretta a prendere posto al suo telaio, ha incominciato a disporre spole, a controllare ingranaggi. Le altre tessitrici del reparto, che stavano arrivando alla spicciolata, sbalordite del fatto, si sono radunate attorno al telaio della Lisa, senza però sapere né cosa dire né cosa fare. Munssù Acquadro, il capo reparto e re dei prepotenti, si è precipitato dal suo gabbiotto, ma quando è arrivato dalla Lisa neppure lui ha saputo cosa dire o cosa fare, solo ha saputo mettersi a urlare contro le operaie attorno alla Lisa per spedirle ai loro telai e non perdere altro tempo.
La Lisa dava l’impressione di non essersi accorta di nulla. Dopo pochi minuti, era arrivata l’Ursula dai filatoi dove ha lavorato fino a ieri e dopo aver recuperato dagli armadietti del reparto il suo fagotto personale. Così dai telai hanno ricominciato ad avvicinarsi ad assistere alla scena, chi dava ragione alla Lisa, chi all’Ursula, e chi piangeva, mentre munssù Acquadro rosso come un tacchino era corso a chiamare munssù Maffei in direzione.
L’Ursula, lei sì, aveva subito saputo cosa dire e cosa fare. Subito aveva incominciato a vantare il suo diritto a quel telaio, poi ad invitare la Lisa a tornarsene a casa, poi a minacciare di far intervenire chi so io, poi a fare commenti sull’età della Lisa poi sulla salute della sua testa. A tutte le parole che diceva l’Ursula, la Lisa rispondeva parlando da sola sottovoce, senza mai guardare l’Ursula senza mai alzare la testa dalle spole che stava incominciando a caricare sul telaio. All’Ursula è scappata ancora di più la pazienza, ha strappato una spola dalle mani della Lisa, poi l’ha afferrata per un braccio per allontanarla dal telaio. Ed è stato a questo punto che la Lisa ha dato segno di accorgersi di che cosa stava accadendo attorno a lei. E ad accorgersi della Ursula. Limitandosi a fissarla, a lungo, in silenzio. Con quei suoi occhi grigio chiaro, che guardano sempre altrove le poche volte che parla con qualcuno. E l’Ursula, fino a quel momento infiammata e furibonda, è scoppiata a piangere. Dalla rabbia? Dalla paura?
Poi, come un bolide è arrivato il conte Oreste in persona. Seguito da munssù Maffei e da munssù Acquadro. Adesso sentiamo gli urli, hanno subito pensato tutte. Ha urlato, sì. Ma non contro la Lisa o contro la Ursula. Contro munssù Maffei e munssù Acquadro. Perché il telaio della Lisa secondo lui funzionava male. «Siete ciechi? Devo sempre esserci io dappertutto? Cosa vi pago a fare? Non è la prima volta che vi dico che è un telaio da sostituire, cosa avete sempre per la testa? Se succede una disgrazia all’operaia chi la paga, voi? Sapete cosa vi dico? Sono stufo di dover fare sempre il boia e l’impiccato. Sveglia, giovanotti, sveglia!»
Il conte Oreste va sempre giù sul pesante così, anche quando parla con i direttori. Tanto è vero che il mese scorso l’ingegner Tarabbo si è licenziato, offeso perché il conte lo aveva bistrattato davanti agli operai. «Ehi, tu, rosso, vieni un po’ qui!» gli aveva gridato visionando una pezza secondo lui fallata. L’ingegner Tarabbo, che, infatti, è rosso di capelli, si è avvicinato al conte e a quella pezza, ha fatto un leggero inchino e ha detto: «Il mio nome è Tarabbo, signor conte, e da questo momento non sono più suo dipendente, le comunico le mie dimissioni». Come tutte scuse il conte ha urlato ancora più forte: «Sì? Ti credi che ti pianga dietro? Corro ad accendere una candela alla Madonna, ecco cosa faccio».
Munssù Maffei e munssù Acquadro, invece, si sono presi la sfuriata senza fare una piega. Anche perché avevano capito tutta quella manfrina del conte. L’Ursula, invece, aveva capito una sola cosa: che almeno per quel giorno doveva rinunciare a quel telaio. E lo ha detto ad alta voce, anche.
Se stava zitta era meglio. Il conte Oreste, che già se ne stava andando, si è voltato come una furia e ha ripreso ad urlare: «Il tuo telaio? Il tuo telaio? Quanto lo hai pagato il tuo telaio?» e a voce più alta ancora: «Nella mia fabbrica di tuo non hai nemmeno il culo, capito brutta scimmia?»
Sì, se stava zitta era meglio. Così, ha dovuto tornarsene nel reparto filatura. Bel pasticcio. Ecco perché quei due sono ora in cucina a cercare di sbrogliare la matassa. Il Danilo deve lavorarsi il Tranquillo perché convinca la Lisa a rimanersene a casa con la scusa del telaio in riparazione. Il Tranquillo deve lavorarsi il Danilo perché convinca l’Ursula a starsene tranquilla e zitta finché la cosa non è risolta. Ma è sempre un bel pasticcio lo stesso, come ha detto tota Germana.
«Bel pasticcio» proprio così aveva detto tota Germana quando la Paolina era venuta su oggi dalle tote a raccontare tutto l’accaduto per filo e per segno. Anzi, a ripetere, perché alle tote avevo già raccontato tutto io.
«La Lisa doveva cavare gli occhi a quella troia, invece di limitarsi a fissarla» ha commentato tota Erica. Comunque, la Paolina era ammirata da come il conte Oreste aveva saputo risolvere la situazione.
«Ha saputo risolverla oggi, ma domani?», tota Germana ha tirato nove carte e le ha lette. «Non me la vedo finire per niente bene questa storia» aveva detto alla fine.
«Niente bene per la Lisa o per la troia?» voleva sapere tota Erica.
«Niente bene» si era limitata a rispondere tota Germana.
Certo, neanche le sue carte potevano sapere che questa sera sarebbe venuto il Danilo, che avrebbe incontrato il Tranquillo, che insieme avrebbero, forse, saputo risolvere la situazione meglio del conte Oreste.
Da quando il Danilo è andato in cucina, il Pulce è sulle spine. Perché pensa che sicuramente staranno parlando della Lisa e di sua figlia e problemi collegati.
«Staranno facendo testamento quei due?» si è già provato a dire e non una volta sol...