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Non si piange sul latte macchiato. Racconti in giallo
Informazioni su questo libro
Un'estemporanea di pittura durante la sagra del maiale di San Venanzio, il concorso di poesia per San Valentino, una tavola imbandita di ravioli e innaffiata di barolo del pranzo di Natale, l'antico castello come set di uno spot televisivo, il laccato ingarbugliato mondo del cinema, Torino colma di gianduiotti fin nelle fondamenta, un condominio con portinaia e annessa mattacchiona, il cenone di Capodanno con finale a sorpresa: questi gli scenari delle otto storie gialle che tengono col fiato sospeso e fanno divertire, scritte dalla penna ironica ed elegante di Bruno Gambarotta.
Eccolo qui, l'amore dei torinesi per il "lavoro ben fatto", fosse anche un delitto, o la magia della narrazione.
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Informazioni
Argomento
LetteraturaCategoria
Letteratura generaleGODEBERTO, IL MAIALE DELL’ANNO
«Non è un delitto avere un amico pittore», ribadisce per la centesima volta il commissario Donato Garzullo alla sua signora che, tanto per cambiare, gli spacca i marroni perché ha promesso al suo amico Cesare Arrivabene di accompagnarlo quella domenica al paese di San Venanzio per partecipare a una gara di pittura estemporanea, in occasione della festa patronale del 14 dicembre.
«Il tuo amico non poteva andarci da solo?»
«Cesare non guida, è un artista, non ha nemmeno la patente.»
«È solo una scusa per farti un’abbuffata da schiantare. Come se a casa tua non ti sfamassi. Proprio oggi che viene a trovarci mia cognata Agata…»
Appunto, sta per ribattere Garzullo, ma si trattiene in tempo. Un brivido di raccapriccio l’attraversa al pensiero di rivedere la moglie del fratello della sua signora, una che, fin da bambina, quando le chiedevano cosa volesse fare da grande, rispondeva «La vedova». Appena maggiorenne si era affrettata a sposare un tale che aveva trentasei anni più di lei, per raggiungere prima il traguardo di una vita. Garzullo non aveva mai capito bene il significato della parola gramaglie finché non aveva avuto il piacere di conoscere la cognata Agata, al suo matrimonio, vestita di nero, da capo a piedi.
Nel vocabolario della signora Maria Maddalena Peloso Cipolla in Garzullo non c’è il verbo “arrendersi”: «E cosa sarebbe questa pittura estemporanea?», chiede, con l’aria schifata di chi nomina la tratta delle bianche o il traffico di organi.
«Mah, da quello che ho capito è una gara fra pittori che devono dipingere un quadro in un dato tempo e con un soggetto stabilito dalla giuria.»
«Bella roba. Uno si porta il quadro da casa e fa credere di averlo dipinto sul momento.»
«Cosa credi? Che gli organizzatori non abbiano previsto che fra i concorrenti potrebbe annidarsi una mente contorta come la tua? Una mente predisposta al male? All’inizio della gara la giuria consegna a ogni pittore una tela bianca, uguale per tutti, segnata in un angolo con un punzone tirato fuori dalla cassaforte all’ultimo momento. Scaduto il tempo concesso, quando gli artisti consegnano l’opera, si controlla che il quadro sia stato dipinto sulla tela punzonata.»
«E tu cosa ci stai a fare in questa gara? Fai da cavalletto per il tuo amico? Gli pulisci i pennelli? Gli reggi il quadro mentre lui dipinge?»
«Te l’ho già detto! Lui non guida e io gli faccio da autista. Una volta lì, mentre lui dipinge, faccio un giro tra i banchi della sagra del maiale.»
«E ti abbuffi come al solito. E io per cosa la cucino a fare la minestra di orzo e cavolo?»
«C’è sempre tua cognata…»
«No, lei mi ha chiesto di farle risotto allo champagne e cappelle di funghi porcini alla griglia.»
«Ah. E poi sarei io quello che si abbuffa. Al massimo farò qualche degustazione.»
Forse ha ragione la signora Maria Maddalena, forse è un delitto avere un amico pittore. Perlomeno un pittore che, messo di fronte al compito di dipingere un quadro ispirandosi al tema “Maiale è bello”, non sceglie, come tutti gli altri concorrenti, di piazzare il cavalletto davanti a una natura morta consistente in un trionfo di salumi d’ogni genere, artisticamente disposti su un vassoio con un grappolo d’uva, due fichi e un melograno a ingentilire il tutto. Nossignore. Lui, l’artista estroso, per fare colpo sulla giuria, decide di dipingere il ritratto di un maiale.
«Cosa ci vuole? Qui è pieno di maiali, uno più bello dell’altro.»
In effetti un settore della sagra è dedicato all’esposizione dei campioni di ogni allevamento, in gara per aggiudicarsi il trofeo di Maiale dell’anno. Per l’occasione sono stati lavati, spazzolati, pettinati e lucidati, forse persino profumati. Non sembrano più neanche maiali.
Cesare, dopo un rapido giro fra i recinti che ospitano ciascuno un animale in gara, sceglie l’esemplare degno di essere immortalato in un dipinto che sfiderà i secoli, tramandando ai posteri il suo ricordo, quando si sarà già trasformato in salami, coppe e prosciutti.
Come tutti gli altri concorrenti, ha un nome, si chiama Godeberto, figlio di Ariperto I. Il suo proprietario, Michele Tramezzino, è astigiano e dà ai suoi animali nomi di duchi e re longobardi che hanno regnato sulla sua città, per rendere omaggio a un popolo che dimostrò un’insuperabile bravura nella selezione e nell’allevamento dei maiali. È piccoletto, segaligno, per domare i ciuffi ribelli dei capelli argentati usa il tosaerba ma rispetta i peli che sbucano dal colletto aperto della camicia. La sua immagine potrebbe illustrare la copertina del libro di Isaiah Berlin, Il legno storto dell’umanità. Che la scelta dell’artista sia caduta su Godeberto suona al padrone dell’animale come un preannuncio del premio: la giuria non potrà non tenere conto del fatto che le sembianze del maiale sono state eternate in un quadro. Perciò non si oppone alla richiesta di Cesare Arrivabene di portare Godeberto fuori dallo stabbio dopo avergli messo un guinzaglio e di farlo accomodare in un prato.
Sistemato il soggetto, il pittore non perde tempo, piazza rapidamente il cavalletto davanti alla bestia e inizia, con nervosi e sicuri tratti di carboncino, a tracciare i contorni del ritratto. Alle sue spalle si assembra il consueto gruppetto di curiosi. Cesare patisce la loro presenza ma si rende conto che si tratta di un disagio inevitabile per un artista che dipinge en plein air. Fra gli osservatori c’è anche il commissario Garzullo che, prima di girovagare fra le bancherelle della sagra, vuole sincerarsi che il suo amico si sia messo all’opera e disponga di tutto ciò che gli serve per creare nel tempo regolamentare il suo capolavoro.
Se già è difficile convincere un esemplare della razza umana a restare fermo e immobile mentre un pittore dipinge il suo ritratto, figuriamoci un maiale. Gustando un cotechino, una fetta di culatello o di lardo, noi tendiamo a immaginare chi ce li ha involontariamente forniti in posizione statica, come una sfinge, un’icona della maialitudine.
Niente di più illusorio.
Del tutto inconsapevole del grande onore che gli è toccato, il nostro Godeberto esegue di continuo dei micro movimenti della testa che rendono ardua se non impossibile l’impresa di fissare i tratti del suo volto sulla tela.
Gli astanti non lesinano i commenti: «Si sa, il maiale è castrato, altrimenti si chiamerebbe verro».
«E questo cosa c’entra, scusi?»
«Il castrato è curioso di natura, non sta mai fermo, gli piace sfilare nei cortei, fare casino. L’animale che ha ancora gli attributi pensa solo a quella cosa e perciò sta fermo, immobile, punta la femmina.»
«Si vede che lei è pratico di castrati.»
Cesare Arrivabene è disperato: ha mirato troppo in alto. Si volta verso il gruppetto degli spettatori alle sue spalle per annunciare l’intenzione di gettare la spugna e scorge tra loro il commissario Garzullo che pensava fosse già in giro a caccia di degustazioni.
«Donato, mi daresti una mano a tenergli ferma la testa? Cinque minuti soltanto, il tempo di fissare i suoi tratti essenziali.»
Si può negare questo piccolo favore a un amico? Il commissario si avvicina alla bestia, si china e le cinge il capo in un abbraccio fraterno. Tranne un paio di triplette di basi azotate, pensa, noi e i maiali abbiamo lo stesso DNA, tanto è vero che si preparano a diventare in un prossimo futuro donatori di organi agli esseri umani.
Per la prima volta nella sua breve vita Godeberto si trova avvolto da un abbraccio amorevole, fraterno e soprattutto disinteressato da parte di un essere umano. Appoggia il testone contro la felpa di Garzullo e sta finalmente immobile a godersi il calore di quella nuova amicizia.
«Bene, ecco, così. Qualche minuto ancora di pazienza e ho finito», lo incoraggia il pittore mentre gli astanti immortalano sul cellulare l’inedito abbraccio.
La speranza è dura a morire. Uno si illude che la tranquillità sia destinata a continuare nel tempo, per scoprire ogni volta che si è trattato di una breve parentesi fra due turbolenze. La sagra del maiale non fa eccezione.
Godeberto, a giudicare dal respiro fattosi regolare, sembra essersi assopito; da parte sua Garzullo, avvertendo il formicolio invadere le membra intorpidite, allenta la stretta del braccio per favorire la circolazione del sangue. Vatti a fidare di un maiale: con un colpo di reni si rimette in piedi e incomincia a correre come un levriero. Senza alcun preavviso e perciò spiazzando il commissario che, per il contraccolpo, finisce seduto a terra.
Nel tempo che Garzullo impiega ad alzarsi Godeberto è già lontano. L’artista è rimasto immobile, pietrificato.
Gli spettatori, assiepati alle spalle del pittore, vociano tutti insieme: «Prendetelo! Acchiappatelo!», con l’unico risultato di rinforzare nel maiale la convinzione che, fuggendo, ha fatto la scelta giusta.
Il prato, destinato a fare da sfondo al ritratto, confina con il campo sul quale sta per avere inizio l’attesa gara di tiro con l’arco.
Facciamo un piccolo test: vi trovate con un arco in mano, la freccia incoccata, la corda tesa, pronti a centrare il bersaglio. Entra nel vostro campo visivo un bolide rosa accompagnato dal grido “Prendetelo! Acchiappatelo!”. Voi come vi comportate? Facile rispondere. Eccolo lì, il nostro Godeberto, fermato per sempre nel fiore dell’età più bella per un maiale, centrato e attraversato da parte a parte da sei frecce, che agonizza senza neanche il fiato per squittire.
Chi strilla invece è il suo allevatore.
Il signor Tramezzino non si dà pace: «Godeberto era il maiale più bello che io abbia mai avuto! Adesso chi mi ripagherà i danni?»
Gli arcieri sono prontissimi a mettere le mani avanti: «Non guardi noi. Noi non c’entriamo. È entrato nel nostro territorio e tutti gridavano: fermatelo ad ogni costo, vivo o morto! Noi siamo andati in soccorso. Casomai dovrebbero ricompensarci. Ma noi siamo gente semplice, senza pretese, non chiediamo niente, ci basta un grazie».
Cesare Arrivabene è annichilito. L’allevatore punta il dito contro Garzullo: «Lei! Ce l’aveva in consegna lei! È lei che deve pagarmi i danni!»
Garzullo, temendo sopra ogni cosa che si venga a sapere che è un commissario della squadra mobile di Torino (sia pure in incognito), si affanna a calmare il proprietario dell’animale: «Stia tranquillo, troveremo il modo di ricompensarla, di comprare il suo maiale al prezzo di mercato».
«Non basta!» grida quello. «Per me Godeberto era come un figlio, oserei dire più di un figlio.»
«Un figlio da macellare subito dopo la conquista del trofeo, per lucrare un prezzo più alto!»
«Cosa c’entra, scusi? Per un maiale essere sparato in fronte da una pistola ad aria compressa è la morte sua. Ma lo guardi, non prova un po’ di pietà davanti a questo povero innocente con il corpo trapassato dalle frecce?»
L’audacia dell’immagine evocata dal papà di Godeberto fa drizzare le orecchie al pittore e lo fa uscire dal suo stato catatonico: «Ecco! Lo dipingerò così! Come un san Sebastiano martire!»
Garzullo tenta di dissuadere l’amico: «Non puoi! Sarebbe una provocazione bella e buona, lo prenderanno come un gesto blasfemo!»
Si sa di quale pasta sono fatti gli artisti, quando sono posseduti dal demone della creatività non li ferma più nessuno: «Ho già in mente il titolo del mio dipinto, San Godeberto martire».
Garzullo prova con l’argomento teologico: «Non puoi, il vero Godeberto, come tutti i longobardi, praticava l’arianesimo».
«Storici autorevoli sostengono che si sia convertito in punto di morte.»
Al commissario non resta che una carta, l’ultima: «In giuria c’è anche il parroco di San Venanzio. Non voterà mai per te. Anzi, farà di più, chiederà che il tuo quadro non venga neanche ammesso alla gara».
«Magari lo facesse! È tutta pubblicità. Il quadro sarà riprodotto su tutti i giornali! Lo faremo battere all’asta! A Londra!»
Il destino del quadro non interessa al papà di Godeberto che ignora l’artista e si rivolge al suo amico: «Vogliamo parlare dell’indennizzo?»
«Parliamone», risponde un rassegnato Garzullo.
«Per una bestia così bella, al mercato di Fossano, il più importante del Nord Italia per la carne suina, avrei ottenuto senza fiatare almeno dodici euro al chilo a peso vivo.»
A Garzullo trema la voce mentre chiede: «Lui quanto pesava? Mi sembra una bestia magrolina, scommetto che non superava il quintale…»
«Godeberto pesava 240...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Godeberto, il maiale dell’anno
- Da vicino siamo tutti poeti
- Natale con Lucas Cranach
- L’ombra del ciakkista
- Al cinema il bravo truccatore si vede dalla lacca
- Per un pugno di gianduiotti
- Vacanze di Natale
- La persona giusta