
- 352 pagine
- Italian
- ePUB (disponibile sull'app)
- Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub
Messa alla prova
Informazioni su questo libro
I personaggi di questa storia sono un cancelliere di tribunale, un giudice minorile, un ragazzo con alle spalle un'adozione fallita.
Li accomuna un desiderio insoddisfatto di giustizia.
La vita scorre e li mette alla prova, tra normalità e consuetudine ma anche con vicende drammatiche e, a tratti, grottesche.
Emerge una fragilità umana che genera contraddizioni, scelte cruciali, errori.
Ma arriva anche la possibilità di percorrere una strada più serena e consapevole, in cui il filo è tracciato soprattutto dalle donne.
Domande frequenti
Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
- Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
- Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Messa alla prova di Ennio Tomaselli in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Literature e Literature General. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.
Informazioni
Un autunno freddissimo
Malavoglia esitò prima di pigiare sul campanello della comunità .
Con Vito, a cui era stato detto solo che quella mattina sarebbero venuti lui e Moreno, sarebbe andata malissimo nonostante i loro sforzi e sicuramente pensava così anche Moreno, che continuava a fissare innanzi a sé senza parlare.
Con quella morte la prova era giunta al livello estremo. Vito, che già pensava che non c’è giustizia, veniva a trovarsi di fronte alla scomparsa fisica d’ogni possibile interprete di una storia di riscatto. Già sembrava essersi dissolta nel nulla la madre e forse era volata via, scegliendo semplicemente una vita normale, anche Serena.
Si rappresentava, insomma, una tragedia con un unico attore superstite, che si aggirava confusamente sulla scena e minacciava o di sparire anzitempo dietro le quinte o di aggredire qualcuno degli spettatori…
Stavano venendo ad aprire. Evidentemente Malavoglia quel pulsante, alla fine, l’aveva premuto con un gesto meccanico, ciò aveva avuto l’effetto di un ciak registico e così stava partendo un’altra scena, dove i primi a comparire furono proprio Vito e, alle sue spalle, il responsabile della comunità , che cercava affannosamente e vanamente di contenerlo.
«Ancora voi? Volete impedirmi di andare a scuola per avere un altro pretesto per farmi arrestare? Volete arrestarmi direttamente voi?»
Vito era alterato anche fisicamente, come drogato, e Malavoglia gli prese le mani mentre diceva: «Ti prego, Vito, dobbiamo proprio parlarti».
«Non mettermi le mani addosso!»
«Non ci penso proprio».
Risposta istintiva, banale, ma Malavoglia non aveva potuto fare a meno di pensare per un attimo a quanto era successo pochi giorni prima con Moreno. E fu quest’ultimo, intervenendo di brutto, a bloccare il ragazzo. Non era padre nemmeno lui, ma almeno si era fatto un po’ di esperienza con Maksìm.
In quel goffo corpo a corpo, fisico ed emotivo, all’ingresso della comunità , Malavoglia riuscì finalmente ad abbracciare Vito, dicendogli nel contempo: «Vito, tuo padre è morto. All’improvviso, ieri sera».
Quel prologo da mediocre film d’azione, se non peggio, era finalmente concluso. Adesso c’era, se non altro, chiarezza, anche se poteva sembrare quella di un melò. La realtà era quella di un ragazzo che aveva istintivamente accettato il calore di un abbraccio e si era messo a piangere. Non durò molto, però.
Vito, d’un tratto, si staccò. Adesso, più che piangere, digrignava i denti. Si mise ad urlare come un ossesso, con una voce che spaccava il cuore e, questa volta, non contro Malavoglia o Moreno.
«Maledetta, maledetta, sei stata tu la rovina, la causa di tutto! Puttaaana!»
Sua madre era stata quella che se n’era andata. Certo, quando ormai era chiaro come sarebbe finita; ma, comunque, se n’era andata e così aveva abbandonato, o finito di abbandonare, o tradito ancora una volta, lui, Serena e papà . Quella puttana, tanto schifosa che da più di dieci anni era sparita, chissà dove, chissà con chi…
Malavoglia non poteva esserne certo, mentre si affannava con gli altri attorno al ragazzo, ma era immaginabile che Vito, anche se voleva comunque farla pagare a Nicola, in cuor suo dubitasse, per quella storia, della madre. Francesca Rummo, che si era presa il lusso di uscire di scena con dignità , era divenuta un capro espiatorio su tutta la linea.
Prima di andarsene riuscì, in un momento di, relativa, minor agitazione di Vito, a mettergli in mano un pezzo di carta con un numero di telefono.
Era quello di Dominique.
La morte di Gianni Archibugi e la reazione di Vito cadevano in un periodo già pesantemente critico per Moreno.
Dopo il venerdì dello scontro in ufficio aveva trascorso il fine settimana a Novara, ma al rientro a Torino lunedì pomeriggio, quando aveva aperto – al pianerottolo – la porta dell’ascensore, la fine della storia con Antonella l’aveva investito con ben altra furia rispetto a Malavoglia.
La bocca di lei, che si era piazzata nell’ingresso dell’alloggio, con la porta bene aperta perché sentissero tutti, anche dagli altri piani, aveva una piega cattiva che la faceva somigliare a uno squalo (femmina) che sta per lanciarsi sulla preda.
«Sai, allora, cosa ti dico, brutto stronzo? In queste quattro pareti di merda stacci pure tu con quel poco o niente che ti è rimasto! Mi sono già presa tutto quello che mi spettava, con gli interessi per questi anni che ho dovuto farti la serva! In questa topaia ci creperai da solo perché ti mollerà anche il cuore, così non avrai manco la soddisfazione dell’ultima puttana, mentre io ho già un compagno che, anche per Maksìm, vale mille volte più di te!»
Certo, avrei dovuto aspettarmelo, pensava Moreno mentre arretrava all’interno dell’alloggio senza rispondere, per la vergogna di farsi vedere dai coinquilini e quasi che le urla di Antonella potessero essere, così, scambiate per le escandescenze solitarie di una matta. O, almeno, di una fissata: sul figlio, sul sesso, sulla sua immutabile capacità di attrarre gli uomini…
«Cosa credevi, coglione? Che in Puglia ero rimasta ad aspettare i tuoi comodi mentre mio figlio pativa come Cristo in croce fra galera e comunità ? Adesso Michele è qui e, alla facciaccia tua, ci vado a stare come una moglie. Non come una serva! E non ti azzardare a rompere le scatole, altrimenti prima ti massacra Michele e poi io ti denuncio per stalking, così sei servito anche con il lavoro, cancelliere esperto dei miei stivali!»
Con quello era finita. Antonella l’aveva risparmiato solo sulla copiatura al concorso. Di sicuro perché in quel momento non ci aveva pensato; forse, anche perché i sogni di uno che sostiene quella prova per la prima e l’unica volta nella vita erano, perfino nell’inconscio di Antonella, qualcosa di rispettabile e di troppo lontano da quella rappresentazione da pianerottolo del fallimento di una coppia qualsiasi, solo più scombinata ancora di altre.
Rimasto solo, Moreno realizzò che la prova imposta dalla vita si era fatta, per lui, dura e stringente, tanto che si sentiva come un pugile suonato, costretto nell’angolo. Le umiliazioni che Antonella gli aveva elargito a così piene mani non erano che l’ultimo tocco su una pietanza terribilmente indigesta, che aveva contribuito a preparare come un maldestro chef.
Per reagire occorrevano scelte. La prima e più urgente riguardava Senada.
Senada Jovanovic era una rom di ventinove anni, con parecchi precedenti penali e due figlie, ora di sette e cinque anni, che aveva avuto da uomini diversi. Non l’aveva certo conosciuta in un’agenzia matrimoniale, ma tramite quel surrogato che può risultare, talvolta, proprio un tribunale.
Si era imbattuto in lei dentro un fascicolo d’ufficio. L’aveva colpito la sua storia; dove, oltre alle bambine, Laura e Stefy, c’era il primogenito Jovan, che però era stato affidato ai nonni paterni e che lei non aveva più potuto incontrare. Il suo volto l’aveva visto per la prima volta su una foto, allegata al fascicolo, fatta alla matricola dell’ultimo carcere. Gli era apparso straordinario. Quell’espressione fiera e combattiva l’aveva incantato, così come l’incredibile finezza dei suoi lineamenti.
Aveva fatto finta di dover entrare alla ricerca di un fascicolo il giorno in cui Senada, scarcerata, era stata sentita in ufficio da un giudice. L’aveva avvicinata all’uscita. Avendo paura che lo scambiasse, forse non proprio a torto, per un profittatore, un imbroglione, un porco. Lui che trent’anni prima si era dignitosamente e speranzosamente presentato al concorso per la magistratura.
Moreno rifletteva seduto su una panchina, senza badare a difendersi, benché fosse intirizzito per il vento che spirava freddo e discretamente forte, da quell’autunno che stava facendo delle ottobrate all’incontrario.
Se fosse stato il ’Ntoni Malavoglia del suo amico magistrato, si sarebbe messo a ripensare alla propria storia guardando le stelle prima che scomparissero con le luci dell’alba. Lui, invece, era un pratico e considerava anche quanto avrebbe aggiunto casino a casino, come portarsi stabilmente a Torino Senada con le bambine. Scompiglio, scandalo, gli avrebbero addebitato perfino il deprezzamento di uno stabile in realtà già malandato.
Occorreva, quindi, barcamenarsi e continuare ancora un po’ così, alternando i ritorni a Torino e Novara, anche se Senada e le bimbe non sarebbero state certo entusiaste. Piano piano sarebbe riuscito a raddrizzare la barca e a farla andare con il vento giusto, pur se la direzione non sarebbe mai stata quella convenzionale, scritta sui quaderni di rotta. Del resto, se i rom gli erano sempre stati simpatici, lui stesso doveva essere, nell’animo, un po’ rom.
Alzandosi dalla panchina, pensò che avrebbe continuato a sentirsi impreparato e con le idee confuse, però c’era almeno un barlume per andare avanti, come per un ragazzo in una prova incasinata.
Naturalmente tutto sarebbe stato, per l’appunto, un casino, compresa la prospettiva di battere subito i denti nelle notti in roulotte se fosse continuato quell’autunno che sapeva d’inverno precoce.
L’autunno, non solo meteorologico, sferzava anche Malavoglia.
Si era ancora ad ottobre, ma spesso gli sembrava di vivere in un due novembre dilatato a dismisura, tanti erano i segni e i riti di morte, reale o metaforica, che vedeva attorno a sé.
Poco dopo Gianni Archibugi era morta anche Rosy.
Al funerale c’era pure lui; per Frank tre carte, naturalmente, ma era anche un’occasione per rivedere Samantha, che ricordava come un maschiaccio sempre in giro per il quartiere, talvolta con la madre o il nonno, spesso con amiche e amici, ma più spesso da sola.
Lei, però, era comparsa all’improvviso, a messa in corso, e si era quasi nascosta dietro una colonna verso il fondo della chiesa.
I capelli ramati, quasi rossastri, tagliati chissà come, gli occhi stralunati che sembravano disperatamente protesi a fissare la madre (come se Rosy fosse, invece che nella bara, alle spalle del prete e lanciasse da lì degli strani segnali, comprensibili solo per lei) e tutto l’insieme avevano ricordato sinistramente a Malavoglia la zia e la cugina di Samantha. Aveva sentito l’impulso di afferrarla, di cercare di fermare almeno lei.
Ma Samantha era già sparita. Forse anche per non vedere né lui né il nonno. O perché quello era il suo destino.
Poco dopo Malavoglia lesse sul giornale della morte di una donna per overdose e trasalì. Non era Samantha, ma per lui era, se possibile, ancora peggio. In un senso tutto speciale, così come era stato speciale il rapporto fra lui e Rosalba Portanova.
Poiché era in ufficio, Malavoglia avvertì il bisogno prepotente di uscire, forse di fuggire anche lui. Ma non era il caso di fare sceneggiate e si limitò a sedersi su una panchina nel grande cortile del JFC1, a pochi metri dall’Albero della Giustizia.
L’aveva conosciuta vent’anni prima. Come sempre: prima sul fascicolo del tribunale (allora era giudice) e poi quando quella quindicenne era stata accompagnata nel suo ufficio da un’educatrice della comunità .
Aveva fatto la sua prima overdose. Il padre non c’era, la madre sì, ma era tossica, il fratello maggiore già in carcere. Rosalba era intelligentissima e sensibilissima. Proprio per questo era disperata e aveva deciso di fare anche lei un percorso come per perdersi. Con cocciuta e irragionevole determinazione, diceva la comunità ; ma in realtà era un modo di essere solidale con la madre e il fratello, uno stare dalla loro parte sigillato, con il buco, come da un patto di sangue.
Su quel caso aveva lavorato a lungo, con una bravissima giudice onoraria, e per qualche anno era andata bene. Poi Rosalba, maggiorenne, si era fatta risucchiare a poco a poco. Con lui aveva mantenuto, per molti anni, un legame. Forse perché quell’uomo che aveva conosciuto quel giorno in quell’ufficio era qualcosa di più di un giudice. E siccome andava a trovarlo in quartiere e anche a casa, qualcuno aveva cominciato a pensare e parlare di una figlia tossica del giudice Malavoglia. I giudici non sono immuni da certi problemi: bastava pensare a quell’altro che stava sempre chiuso, come segregato, in casa, magari a due passi da lui. Che, pazzo come forse quell’altro, aveva, sì, negato sorridendo amaramente, ma forse non aveva sorriso troppo o era parsa troppa l’amarezza o il problema non era fuori ma dentro la sua testa… E così quella figlia tossica era divenuta una delle realtà irreali della sua vita sghemba. Come se avere una figlia così fosse, per lui, un modo per conoscere davvero, condividendoli fino in fondo, i problemi della gente del quartiere; o come se, sotto sotto, si vergognasse di fare, e di aver già fatto a lungo, il magistrato minorile senza aver mai avuto a che fare, bene o male, con un figlio proprio. La vita gli aveva tolto, giocando d’anticipo, Stefania e Lorenzo e, così, l’aveva sconfitto e basta, senza dargli nemmeno la possibilità di essere messo alla prova…
«Dottore, cosa fa lì sotto l’albero? Le sembra davvero così bello o prende il fresco? Attento, però, perché, più che fresco, è freddo e pure bagnato…»
A riportarlo alla realtà erano il volto e la voce, cordiali, dell’avvocato Buzzegoli, uno della sua età , che lo conosceva già da un bel po’. Malavoglia lo salutò e ringraziò, per poi entrare con lui nei corridoi del JFC1.
Aveva gli abiti un po’ bagnati, ma di quella pioggia non si era accorto.
Nella seconda metà di ottobre Malavoglia si recò, in un fine settimana, a Milano, per un importante convegno dedicato alle grandi trasformazioni in corso nel settore della famiglia e dei minori.
Si sentì subito spaesato. Si era sistemato, con il suo quaderno di appunti, in un posticino laterale, cercando di seguire discorsi che, anche se fatti da taluni che conosceva o aveva conosciuto, gli sembravano lontani, talvolta lontanissimi, dai problemi delle famiglie e dei ragazzi come li vedeva lui, nei fascicoli ma anche nel grigio delle case di barriera, come si diceva a Torino. Pochi prendevano appunti e comunque non come lui, con il quadernetto e la biro. Si sentiva a metà fra la macchietta dello studente universitario ultra fuori corso e quella del paesano che, come Totò e Peppino, è andato a Milano con il caciocavallo nella valigia di fibra.
Sul grande palco, fra autorità , conduttori, chairman, relatori, parole, slides, musiche e canzoni soprattutto inglesi e americane, la babele delle lingue e delle songs era grande, tanto che Malavoglia si sorprese, per un attimo, a pensare a Nashville, il film di Altman.
In sala la gente era molto varia. Oltre ai tanti sinceramente partecipi, a lui (forse – pensava Malavoglia – solo a me, per chissà quale effetto ottico) sembrava di vedere e riconoscere anche vecchi figuranti, attempati volponi evergreen che continuavano a dire da sempre le stesse cose presentandole sempre come nuove e gente che, fra un incarico e l’altro, stava col sedere ben incollato ai posti – fossero pure strapuntini – con vista manovratore. Giudiziario, amministrativo, cattedratico o politico che fosse.
C’erano, naturalmente, anche Clementini e la Pomponazzi; ma pure giovani, o finto-giovani, in carriera per imprinting genetico ed eternamente rampanti, come se recassero tatuato in qualche parte intima...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Moreno e i suoi treni
- Lato arrivi
- Procuratore che farne
- Vito
- Interni
- Vecchi e giovani
- Scene da un presunto abbandono
- Storie spezzate e razioni divise
- Il cinque giugno
- In bilico
- Navigazioni notturne
- Parole e giudizi
- Distacchi e ricongiungimenti estivi
- Volare via
- Quel ramo del lago di Como
- Borgo Grande
- Turbe d’agosto
- Gas Radon
- Serena
- Uomini oltre
- Un autunno freddissimo
- Commissione scarto atti d’archivio
- Samantha
- La forma dell’anima
- Regali di Natale
- Supertestimoni
- Catene
- Campagna d’inverno
- Mesi come anni
- La foto sfocata
- Venerdì Santo
- Finale di prova
- Metamorfosi
- Tramonti e albe