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Tra nevi ingenue
Informazioni su questo libro
Di luogo in luogo. Per viaggiare, visitare, rivedere nel ricordo - anche letterario. Permangono così atmosfere e suggestioni, immagini lucenti o tenui.Tracce, da cui nascono racconti. Come una flânerie dell'anima. Ogni personaggio ha uno scenario che gli corrisponde, il suo "io mi fermo qui". Sergio il portico d'una vecchia casa, Louis un bistrot, Vittoria un paese di parole, Bruno un cortile, Mara la brughiera... Per alcuni è ossessione. Per altri confortevole rifugio oppure voluttuosa nostalgia.Per tutti sono come paesaggi dentro una boule à neige, che poco basta a risvegliare.
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Informazioni
Argomento
LetteraturaCategoria
Letteratura generaleGOUACHE
Seconda casa
Ogni oggetto sembra giunto per una deriva lenta, inesorabile sospinto da un amore tiepido
che l’allontana
senza abbandonarlo.
Testimonianze di momenti, d’esistenze che
non si riesce a tradire permangono,
colmando spazi con l’ingombrante mestizia
di cose senza bellezza.
Abusati soprammobili invecchiati in fretta, souvenir, libri illeggibili
nella casa di vacanza li si finge necessari
e posano come in una natura morta.
Al riparo
I due cani e il gatto lo trovavano il posto migliore in cui vivere.
Ruggero, anche. Vi aveva già invitato amici e parenti nei giorni di festa. Lo aveva fatto perfino con semplici conoscenti. Bastava il minimo pretesto per offrire loro un aperitivo. Solo per il gusto di mostrare la casa, il giardino e…
Sergio ne accoglieva l’entusiasmo con benevola ironia e tiepida partecipazione.
Eppure, abitare in quella vecchia dimora a mezza collina l’aveva desiderato da anni.
Era la casa di Nicola. O, meglio, dei genitori di lui.
Lì avevano preparato la maturità e i primi esami di Architettura. D’inverno, nello studiolo col camino. D’estate, sotto l’ampio portico. Ad una certa ora la madre dell’amico arrivava, sospingendo, con discrezione, un carrello cigolante e carico di spremute, crostate e panini col salame.
Poi, Nicola aveva scelto l’estero. Sergio non l’aveva seguito, benché avessero ricamato insieme sul progetto di aprire uno studio a Berlino.
La rinuncia non gli era costata, non l’aveva nemmeno rimpianta. Ma non era riuscito ad abbandonare l’abitudine di frequentare quella casa.
Qualcuno avrebbe potuto pensare, conoscendolo, che fosse per una specie d’inerzia o per l’attaccamento a Nicola, di cui Sergio era stato vanamente innamorato. In realtà, egli stesso non sapeva spiegarsi perché continuasse ad andarci.
Alla madre di Nicola, rimasta vedova, facevano piacere le sue visite. Parlare del figlio l’aiutava a sopportarne l’assenza.
Anche se, poi, ogni volta che Nicola tornava le riusciva difficile ritrovare i gusti che gli erano propri. E ne era in parte delusa. Perché erano tratti maturati altrove, sotto occhi non suoi.
«Ha contratto abitudini nuove» si rammaricava successivamente con Sergio. Usando inconsciamente quel verbo, “contrarre”, di solito riferito ad un morbo.
Alla fine, Nicola aveva deciso di restare in Germania, dove aveva avviato uno studio con la moglie tedesca.
La speranza che il figlio tornasse s’era acquietata in una sospirosa rassegnazione, per la signora, alla quale Sergio faceva visita, periodicamente.
Le portava cabaret di paste, per addolcirne gli umori malinconici, da accompagnare con bicchierini di vermut o di liquori fuori moda, in bella mostra sul cigolante carrello. Lei allontanava l’offerta, dicendo: «Basta, basta…» Ma poi frequenti sorsi riempivano i silenzi.
Sergio si sentiva come quei gatti che scelgono la casa d’un vicino, facendola propria, per via d’una sedia in vimini o d’un vecchio forno in pietra, dove vengono lasciati dormire, oppure d’una siepe fitta, sotto la quale riescono a nascondersi per seguire lo zampettare dei merli.
Al di fuori dei mesi più rigidi, gli accadeva spesso di trovare la signora nel portico, tra ceste di noci o di cachi, ad invasare piante, a disfare vecchi golf o cuscini di lana, ad imbastire solitari. Era il suo piccolo universo. E anche Sergio vi stava bene, come da nessun’altra parte. Ormai aveva imparato a conoscerlo in ogni momento dell’anno.
Consentiva di vivere all’aperto senza essere troppo esposti e di coltivare l’ombra. D’estate ci si accomodava anche nell’ora più calda, spostando la sedia secondo gli spicchi che il sole tracciava sul quadrante del pavimento.
Durante un temporale si poteva restare ad osservarne la violenza, a respirare il profumo terroso che promanava dal prato.
Lo amava in primavera, quando le aiuole s’infoltivano di brusii o le piogge dilungate spettinavano le rose.
Gli piaceva anche quando la malinconia carnevalesca d’ottobre iniziava ad intaccare il giardino. E man mano le giornate si facevano più spente la pianta di cachi si accendeva come un surrogato di sole.
Quando la madre di Nicola morì, Sergio provò una fitta di dolore alla prospettiva che quel luogo gli sarebbe venuto a mancare. Si sentì un po’ meschino, ma dovette ammetterlo quantomeno con se stesso.
A sorpresa, invece, un paio di anni dopo, Nicola gli propose di affittare la casa.
«La terrai meglio di quanto potrei fare io da qui.»
Sergio accolse l’offerta come un boccone troppo caldo.
Non così Ruggero, che pensò subito alla possibilità di adottare il secondo cane.
“È giovane” si disse, benevolo, Sergio. Come se li separassero vent’anni invece che sei.
E si domandava, ora, se l’inverno sarebbe stato come sempre, con il portico sgombro, cartigli di foglie secche e silenziosi nidi di polvere negli angoli.
Non distante da Bunbury
Se non lo si vedeva in giro per qualche giorno, era scontato che Gustavo fosse là.
Dove Bellerofonte si trovasse e se fosse un bel posto non lo si poteva dire con certezza, p...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Fuori strada
- L’arte del passo
- GOUACHE
- GOUACHE
- GOUACHE
- GOUACHE
- GOUACHE