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Senza Pace
Informazioni su questo libro
Finisce sempre nei guai, Pietro Sicuro. E anche questa volta c'entra l'ispettore Pace che, da un letto d'ospedale, gli strappa una promessa.Sullo sfondo di un Salento freddo e piovigginoso, dove il mare è buono solo per il surf, Sicuro tenta di venire a capo di una vicenda che è un vero ginepraio, trovandosi ad affrontare la malavita organizzata, una fidanzata lontana e ambiziosa, un appetito insaziabile e i tentativi di tenerlo a bada, irrimediabilmente destinati al naufragio.La famiglia, gli amici, il lavoro nel suo Caffè Letterario e dosi massicce di ironia lo tengono a galla.Qui si ride, e non si scherza.
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Informazioni
Argomento
LetteraturaCategoria
Letteratura generaleCapitolo nono
Alle ore nove Calò ci lascia, al suo posto arriva l’attrice che questa sera si esibirà al Caffè. Fuori non piove, ma c’è un vento gelato che sembra urlare: ressssta a casaaaaa, non ussssccciiiireee, afffffitta un bel ffffffiiiilm. Ovviamente il locale è vuoto. Noi abbiamo cercato di rimandare la serata, ma Ippolito ha detto «Lùnia (ebbene sì, si chiama Lùnia) è arrivata due giorni fa da Milano, ieri ha recitato a Brindisi, domani a Bari e dopodomani ha il volo di ritorno. Capite bene che rimandare è più costoso che farla esibire.»
Con questo ci siamo messi l’anima in pace.
«Speriamo che sia brava e godiamoci lo spettacolo» ho detto a Sandro dopo aver salutato Ippo.
«Speriamo che non sia una rompicoglioni, piuttosto» ha auspicato lui, facendo riferimento alle pretese da star e alla bizzarria che caratterizza gli artisti, non tutti, ma molti.
«E questo sarebbe il Caffè Letterario? Fa freddo, io non posso recitare al freddo, e poi dov’è Ippolito? Perché non c’è nessuno ad accogliermi? Lo sapevo che non dovevo venirci qui.»
Ecco a voi Lùnia, l’ennesima rompiballe a cui Melpomene deve aver dato alla testa.
Prima che Sandro le dia il benvenuto con un sonoro vaffanculo, lo anticipo tentando di rassicurarla.
«Buona sera, io sono Pietro e lui è Sandro. Siamo i titolari. Ippolito sarà qui a momenti.» Intanto tendo una mano indossando il mio sguardo più rassicurante.
Lùnia, una perticona dinoccolata, con capelli arancioni, naso aquilino e labbra sottilissime, si stringe teatralmente nel suo cappotto bianco di lana a pelo lungo e si volta lasciandomi lì col braccio per aria come un cretino. La tentazione di usarlo per darle un colpo a mano aperta su quei capelli da bambola di pezza è fortissima.
«Senti, Eleonora Duse dei miei coglioni, mettiti seduta in un angolo e aspetta che arrivi Ippolito, e senza fiatare.»
Il mio socio non è quel che si direbbe un fan dell’amor cortese, insomma se c’è da rispondere per le rime a qualcuno, non fa discriminazioni sessuali. Io invece ho ancora qualche residuo dell’antica cavalleria popolare. A pensarci bene, Sandro è più ligio alle pari opportunità di me.
Lùnia alle parole di Sandro reagisce impietrendosi come una statua iperrealista particolarmente sgraziata. Solo la linea sottile e scarlatta formata dalle sue labbra serrate, tremando, rivela un accenno di umanità. Dopo pochi, lentissimi secondi di silenzio tombale, l’attrice che è in lei riprende il sopravvento e, con aria offesa e movimenti plateali, ci volta le spalle, si stringe ulteriormente nel cappotto e va ad accucciarsi su un divanetto con il mento ben in alto per lo sdegno.
Nemmeno il tempo di ricominciare a respirare dopo lo sfogo di Sandro che il nostro direttore artistico fa il suo ingresso nel Caffè.
Avvolto dalle spire di una lunghissima sciarpa color ruggine e con un pesante cappello di lana calcato bene in testa, si chiude in fretta la porta alle spalle per lasciare fuori il vento gelido come si fa con un inseguitore malintenzionato.
«Che serata! Fuori ci sono solo lupi e fantasmi.»
«E dentro gente che lavora e rompicoglioni» specifica Sandro ancora irritato.
Dall’alto della sua esperienza Ippo coglie al volo la situazione e sospira sonoramente.
«Questa ha proprio rotto. Ieri, a Brindisi, si è lamentata di ogni cosa. Anche del deodorante nel bagno e del colore delle sedie, “troppo sgargiante, mi distrae”» dice imitando il tono d’artista consumata. «Che poi lo sapete qual è la questione? È che è maledettamente brava. Vabbè, vediamo che intenzioni ha.»
Con passo deciso si dirige verso Lùnia che, mantenendo la posizione della dea vilipesa, non lo degna di un saluto.
Da dove ci troviamo sentiamo appena la voce di Ippolito che tenta di mediare. Le parole che riusciamo a cogliere sono: “non è un teatro… adattarsi… uno sforzo da parte tua”. Senza troppi complimenti Sandro, Franci ed io, dietro il banco, ci godiamo lo spettacolo cercando di immaginare gli sviluppi.
«Secondo me lei si alza e se ne va» dice Francesca.
«Io dico che la convince» scommetto, «Ippolito sa come rabbonire il gentil sesso.»
«Per me le molla uno schiaffo, così a mano aperta» aggiunge Sandro mimando il gesto.
«Scommettiamo una pizza?» propone Francesca.
«Ci sto.»
«Andata.»
Lùnia non dà segni di vita. Ippo si zittisce per qualche secondo, i nostri bisbigli no.
«Ora se ne va.»
«No, ecco che arriva lo schiaffo.»
«Ma va, vedrete che si sorridono e poi lei…»
«Allora Lùnia, facciamo una bella cosa…» ci interrompe Ippolito con voce decisa, ostentatamente calma, ma ad un volume decisamente alto «…stasera al Caffè recito io. Tu però prendi le tue cose da casa mia, dalla mia camera e ti cerchi un albergo. Così la smetto di dormire sul divano. Poi, domani, a Bari, ci vai in treno e l’indomani mattina, alle sette, prendi un bel pullman, se lo trovi, sennò ti paghi un taxi per l’aeroporto di Brindisi e te ne ritorni fresca fresca a casa tua. Va bene?»
Tratteniamo un applauso che ci starebbe tutto, per eccesso di educazione, ma la scena meriterebbe almeno un “Bravo bis”.
Alle dieci meno un quarto, contro ogni pronostico, i tavoli si sono riempiti quasi tutti. Restano vuoti solo due. Con questo freddo le ordinazioni si orientano verso il vino rosso, i liquori corroboranti, ma anche tisane e cioccolate calde.
Lùnia ha appaltato la saletta in fondo per usarla come camerino. Ha issato la bandiera bianca, ma ad una condizione: «Io nel bagno non mi cambio» ha detto, «ho bisogno di una stanza confortevole per prepararmi». Con un pannello di compensato che di solito usiamo come bacheca, abbiamo schermato l’ingresso della saletta riuscendo ad accontentarla.
Francesca sforna panini e piadine ripiene, Sandro pensa ai tavoli ed io dietro il banco verso, stappo o scaldo acqua per le tisane. Occorre che siano tutti serviti prima che inizi lo spettacolo, dopo cerchiamo di limitare i movimenti al minimo, soprattutto quando si tratta di teatro e in particolar modo se l’artista, come in questo caso, è uno scassapalle.
Quando ormai stiamo per abbassare le luci, la porta del Caffè si apre ed entrano, mano nella mano, Michele ed una biondina ricoperta di strati di lana multicolori e calze a fasce rosse, blu e viola. Il mio socio ed io ci scambiamo uno sguardo eloquente: alla faccia della confidenza! Chissà cosa ne penserebbe papà Pace di avere il suo Calò come genero…
Michele ci saluta con un cenno del capo. Lei non ci degna di uno sguardo e segue il suo cavaliere a testa bassa. Il riflettore si accende sul piccolo palco del Caffè, il buio cala sul resto della sala.
Lùnia fa il suo ingresso borbottando qualcosa e, alzando gradualmente la voce, si aggira tra i tavoli come in preda ad una crisi di nervi.
«Ma dove sono capitata?» urla ad un tratto. «A tutto c’è un limite. Non lo accetto, non ci sto, anzi mi rifiuto» continua a inveire sempre più isterica.
Sandro mi guarda, prima preoccupato poi incazzato nero. Sta per partire al contrattacco, ma lo anticipo d’impulso. Come si permette questa mazza di scopa rovinata di insultare il nostro locale, così, davanti a tutti? Non ci vedo più e urlo a mia volta «Senti un po’, grandissima...»
Ippolito è a pochi metri da me e mi si lancia addosso.
«Ippolito per favore» mi ribello, «io non posso permettere...»
«Zitto Pietro, fa parte dello spettacolo» mi dice tenendomi con fermezza i polsi e parlandomi vicinissimo a voce strozzata, «non ce l’ha col Caffè.»
«Silenzio per favore!» ci rimprovera qualcuno da un tavolo vicino a noi.
Lùnia non sembra essersi accorta di nulla o dissimula per il bene dello show che must go on.
Mentre mi scuso con la mano promettendo che non succederà più, mi squilla il cellulare. Per Giove, ho dimenticato di metterlo in modalità vibrazione.
«E che diavolo!» si lamentano sempre dallo stesso tavolo.
«Per favore, vogliamo seguire lo spettacolo» si accoda un altro cliente.
Io chiudo la chiamata che, tra l’altro, era di Elisa.
Lùnia recita la battuta seguente con un’intonazione di stizza repressa. Lo spettacolo prosegue senza più intoppi, l’attrice si rivela tra le più brave che abbiamo mai ospitato. Il pubblico ride, si emoziona, partecipa e applaude felice. Mi spiace solo non ci sia più gente a godere di questa serata preziosa, ma va bene, ne è valsa la pena. Quando nel locale si riaccendono le luci ci ritroviamo tutti con un sorriso sognante sul viso, un po’ disorientati come appena destati da un sogno ad occhi aperti.
A riportarmi definitivamente alla realtà ci pensa Michele che si avvicina al bancone con la scusa di ordinare due calici di vino. Erica lo attende al tavolo mentre lui, dandole le spalle mi chiede «Ci raggiungi un attimo?»
«Ok, mi inventerò qualcosa» poi aggiungo «Comunque, caro il mio poliziotto, mica ce l’avevi detto che la conoscenza con la signorina Pace era così approfondita.»
Arrossisce visibilmente e si limita a sospirare. Evidentemente la cosa non era nei suoi piani.
«Vabbè» lo rassicuro, «volgiamo a vantaggio della causa questa novità.»
Sorridendomi come un bambino mi dice «Grazie Pietro.»
«Bevete alla vostra!»
Così dicendo gli porgo i due calici di rosso.
Prima di passare al cliente successivo vado a controllare il telefono. Eli ha riprovato a chiamarmi un’altra volta, poi mi ha inviato un sms.
“Mi spiace per questo contrattempo. Ancora non sappiamo quando partiremo. Per ingannare il tempo stiamo andando a vedere uno spettacolo al Lyceum di Broadway. Quando uscirò, in Italia sarà notte fonda. Ci sentiamo domani. Ti bacio.”
Madre santissima, lo so che non è razionale, ma il sangue mi ribolle nelle vene come sugo piccante sul fornello della gelosia.
D’istinto rispondo: “Fammi un favore, chiamami solo quando atterri a Bari e, una volta arrivata, non raccontarmi nulla. Non voglio sapere niente. Buon divertimento”.
Una sorta di rassegnazione si impossessa di me. Quel che deve succedere succeda, ora, però, occupiamoci dei cazzi che abbiamo da questa parte dell’oceano, che sono già più che sufficienti.
Appena riesco a liberarmi, mi armo di un calice di Salice Salentino e mi dedico alle pubbliche relazioni.
«Ciao Paolo» dico ad un cliente storico che condivide con me radici napoletane che ostenta con orgoglio, «piaciuto lo spettacolo?»
«Molto, lei è davvero brava. Certo, non come Marisa Laurito, ma notevole, complimenti.»
Sorrido divertito e passo al tavolo successivo come una sposa al pranzo di nozze. Quasi casualmente approdo al tavolo di Calò e compagna.
«Allora Michele, è la prima volta che ti vedo qui per uno spettacolo. Vi siete divertiti?»
«Molto, lei è davvero brava», poi rivolgendosi a Erica «E a te è piaciuto?»
«Hmm hmm!» Con questo giudizio puntuale ed esaustivo anche Erica mostra di aver apprezzato, se così si può dire.
«A proposito,...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Breve prologo
- Capitolo primo
- Capitolo secondo
- Capitolo terzo
- Capitolo quarto
- Capitolo quinto
- Capitolo sesto
- Capitolo settimo
- Capitolo ottavo
- Capitolo nono
- Capitolo decimo
- Capitolo undicesimo
- Capitolo dodicesimo
- Capitolo tredicesimo
- Capitolo quattordicesimo
- Il Capo e le squdre
- Capitolo quindicesimo
- Capitolo sedicesimo
- Il Capo e l’ouzo
- Capitolo diciassettesimo
- Capitolo diciottesimo
- Capitolo diciannovesimo
- Capitolo ventesimo
- Il Capo e il giro grosso
- Capitolo ventunesimo
- Capitolo ventiduesimo
- Capitolo ventitreesimo
- Il Capo e il Greco
- Capitolo ventiquattresimo
- Capitolo venticinquesimo
- Capitolo ventiseiesimo
- Capitolo ventisettesimo
- Il Capo e l’affare saltato
- Capitolo ventottesimo
- Capitolo ventinovesimo
- Capitolo trentesimo
- Capitolo trentunesimo
- Breve epilogo
- Ringraziamenti