Un anno strano
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Un anno strano

  1. 352 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Un anno strano

Informazioni su questo libro

Quando incontra il magistrato minorile Malavoglia Romy ha 16 anni, una famiglia disastrata alle spalle e fa già parte di una banda di delinquenti. Uno di fronte all'altra si tengono testa, tra arresti e fughe, cedimenti e delusioni, ma anche guardandosi da lontano in cerca di un'alleanza. Con piccoli passi su un ponte traballante, Malavoglia riesce a entrare nel passato di Romy, a dare via via forma e nome alle ombre, a iniziare un dialogo con la ragazza, che è anche con se stesso. Il pm a un passo dalla pensione e l'adolescente che sembra aver già troppo vissuto e patito affrontano quell'anno strano che è la vita, in tutti suoi tempi: un passato opprimente, un presente precario, un futuro in cui, comunque, si può sperare.

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Informazioni

Editore
Manni
Anno
2020
Print ISBN
9788836170197
eBook ISBN
9788836170210
Argomento
Literature

Ultime lettere

Romy li abbracciò. Poi disse, tutto d’un fiato: «Grazie. Quell’uomo si era preso a poco a poco la mia vita. Adesso me la sento di nuovo mia, anche stando in galera. Non so spiegare bene, ma è come non avere più un coltello alla gola, una cosa che ti sbarra la strada e ti toglie la luce…»
«O uno zaino riempito con un blocco di pietra: un passato breve, ma che ti trascina a fondo».
Nell’intervenire così, a Malavoglia venne istintivo accarezzare lievemente il volto di Romy. Le sembrava effettivamente sollevata e speranzosa, ma anche tremendamente fragile. Un’altra batosta della vita, un colpo di testa, una sbandata più o meno grave, una persona sbagliata, avrebbero potuto frantumare ciò che era sopravvissuto ai macigni scagliati dall’alto o ai gorghi e ai mostri marini. E pensare che per fronteggiarla si era, ripetutamente, armato come un ufficiale della Wehrmacht…
«E un grazie grande anche per Tino! Non so cosa avrei fatto se fosse morto, anche se adesso ci sono anche Roby, che mi è già venuto a trovare, e Said. Gli hanno fatto un’amputazione parziale a una gamba, ma l’educatrice dice che così, per via dell’assistenza medica, ha più speranze di restare in Italia. Ci hanno, finalmente, autorizzati a scriverci… Ah, ancora una cosa, Malavoglia: se una volta vai a trovare Coggiola, fagli un abbraccio da parte mia. Non ci conosciamo, ma, senza saperlo, abbiamo voluto bene tutti e due a Marcella».
Mentre tornavano in ufficio, pensavano, tutti, a chi Romy non aveva nominato. Ruppe il silenzio Sonia. Giovane e minuta com’era, poteva sembrare una cugina grande di Romy, ma aveva per lei una sollecitudine quasi materna.
«Romy non ne parla ma, adesso che Tiberio è morto, il padre, che è sempre latitante, potrebbe costituirsi. Deve rispondere di un omicidio, se lo condannano ne avrà per parecchi anni, però è stato anche lui, in un certo senso, ostaggio di Tiberio e potrebbe avere qualche attenuante. Nascondersi non ha senso e comprometterà definitivamente il rapporto con la figlia».
Malavoglia interpellò Terry: «Nessuna traccia di lui?»
«I carabinieri che lavorano con la Corsini mi hanno detto che non hanno trovato niente, né a Cuorgnè e dintorni né a Torino. La sua compagna ha giurato di non averlo più visto dal giorno della sparatoria».
Malavoglia tacque per qualche secondo, poi concluse: «Non credo che si costituirà. Non alla Giustizia».
Malavoglia ed Elettra sarebbero partiti per la Sicilia il 10 settembre, imbarcandosi a Genova anche per poter, il giorno prima, andare a trovare Coggiola a capo Mele. Lui era già in ferie, ma nel pomeriggio del 7 si trovava in ufficio per fare un po’ d’ordine e salutare Terry e Carlin.
Telefono. La voce di un’educatrice in servizio nel carcere minorile. Una che conosceva a malapena; probabilmente era lì da poco o sostituiva una collega.
«Dottor Malavoglia? Scusi se disturbo, ma non sappiamo bene come fare per una situazione che riguarda la detenuta Solimano Romina, ancora minorenne. Mi ha parlato di lei, anche se è qui per una sentenza del gup e risulta in tutela a…»
«Mi dica pure, se posso essere utile».
«Grazie. Allora… Da una località vicina a Milano ci hanno comunicato la morte del padre della giovane, Solimano Renzo. Sembra per overdose. I carabinieri hanno notiziato i vigili del posto, che si sono messi alla ricerca dei parenti, anche perché il signore aveva la residenza, almeno anagrafica, a Cuorgnè. In breve: della madre di Romina non si sa niente, mentre abita a Torino un figlio della vittima, che ha già visitato la sorella qui in carcere. Però il padre era stato dichiarato decaduto dalla responsabilità genitoriale, tant’è che dalla nostra cartella, che è voluminosa e sto consultando, risulta, come le dicevo, un tutore…»
Malavoglia aveva lasciato proseguire l’educatrice, affannata e sicuramente giovane, per cercare di fare nella propria testa un minimo di ordine che non fosse quello del fascicolo, che conosceva benissimo. Intervenne.
«Scusi, ma, per quanto mi riguarda, mi dica solo se Romina è stata già informata e, in questo caso, se ha chiesto di me».
«Non è stata ancora informata. So che questo caso è molto delicato e c’è, naturalmente, l’urgenza dei funerali. Io, non essendo immediatamente rintracciabile la psicologa che conosce Romina, cercavo appunto il tutore o almeno lei. La ragazza, come le ho già accennato, fa riferimento soprattutto a lei, anche se mi ha menzionato pure la dott.ssa Sonia Ambrosetti e una certa Terry, che non so che ruolo abbia».
«Avverta non appena possibile la mia collega Ambrosetti, che dovrebbe essere a Ivrea, il magistrato di sorveglianza e il cappellano del carcere. Sì, anche il tutore. Io vengo subito in carcere».
«La ringrazio infinitamente, dottore».
Già, grazie infinite, ma questa era l’ennesima volta che toccava a lui.
Possibile che, fra chi operava in carcere (educatrice, psicologa, cappellano), vari magistrati con diversi ruoli, l’avvocato e il tutore, non fosse possibile, in quell’estate che certo non era più da vuoto ferragostano, trovare una persona che si assumesse il compito di parlare con Romy?
Evidentemente era il suo destino o la conseguenza inevitabile del rapporto che si era creato fra loro o, in definitiva, era semplicemente giusto, perché per i bisogni veri delle persone non c’è una tabella già pronta di addetti alla produzione e alla distribuzione. La chiamata non era stata per Speedy Pizza. E così, esattamente sei mesi dopo che lui aveva visto per la prima volta, in carcere, Romy e suo padre, si sarebbe trovato di nuovo di fronte a lei; ma, questa volta, da solo.
Dirigendosi, in carcere, verso la saletta colloqui, Malavoglia scorse Romy che, all’esterno di essa, discuteva animatamente, ad alta voce, con quella che doveva essere un’educatrice, probabilmente la stessa che gli aveva telefonato. Appena lo vide, Romy si svincolò e gli corse incontro. Era agitatissima, quasi isterica, e dalla bocca uscivano parole a raffica contro un nemico indistinto.
«Bastardi, ditemi cos’è successo! Se è capitato qualcosa a Said mi ammazzo! La mia vita, senza di lui, non vale niente! Malavoglia, maledetto, chi c’è di mezzo questa volta? Roby, Tino…?»
Erano ormai faccia a faccia. Il colore degli occhi di lei era sempre quello della prima volta, ma era come se sul celeste del laghetto di montagna si fosse addensato un cupo nembo temporalesco. O su quel celeste ci fosse il riflesso di altri occhi, gonfi di stanchezza mortale.
«Romina, parliamo di tuo padre».
«Non m’interessa di lui. L’hanno preso? Non so cosa farci, non me ne frega un cazzo, al processo quello che so lo dico anche se sono sua figlia!»
«No, Romina. Tuo padre l’hanno trovato, ma per lui non ci sarà nessun processo. È andata così, è arrivato in fondo alla sua storia».
Dal nembo si era sprigionato il fulmine, ma sembrava che esso avesse colpito un terreno già riarso. Il laghetto c’era ancora, ma forse un immane incendio si era già divorato la foresta attorno ad esso e il fulmine giungeva solo a completare e suggellare l’opera.
«Come è morto? Quando?»
«Overdose. L’hanno trovato, vicino a Milano, che era già morto. Mi dispiace, Romina».
Sì, Romina, perché era un momento importante e perché quello era il nome che le aveva dato lui. Ma lei tirava dritto come un carro armato, come se davvero le importasse solo chiudere i conti: «Vuoi che mi metta a piangere? E invece a me non m’importa un cazzo di uno che ci ha sparato addosso. Said è rimasto invalido per colpa sua e, se non ero svelta, beccava anche me!»
«Sì, ma non ci sono solo queste cose qui…»
«Ma sono le uniche che contano adesso. Ma tu che cazzo vuoi? Cosa volete, tutti? Lasciatemi in pace!»
«Mi hanno avvisato. A te non l’avevano ancora detto. Mi tolgo di mezzo, Romina. Hai bisogno di stare anzitutto con te stessa».
«Lo so io di cosa ho bisogno! Sparite tutti!»
«Ciao».
L’eco delle urla di Romina lo inseguiva lungo i corridoi del carcere. Come tante altre volte. Forse non era cambiato niente. O forse tutto, ma perché a risolvere la partita era stata la morte, che aveva travolto ogni finzione e fatto venire a galla, sull’acqua del lago, la verità della vita.
Ciao, cara Sonia.
Avrei voluto vederti prima di partire, ma so che tornerai fra un po’ di giorni perché il tuo piccolo Matteo non sta bene e reclama la sua mamma.
Io, questo pomeriggio, mi sono occupato, invece, di Romy e per un’altra emergenza, se si può dire così…
Credo che Romy ci metterà non poco a elaborare la scomparsa di una figura che, con tutti i suoi limiti e con criticità cresciute e degenerate a dismisura, era stata comunque significativa per lei, visto anche il vuoto materno. Forse Romy immaginava che in futuro, più grande e più forte, avrebbe potuto confrontarsi alla pari con il padre e giungere a una specie di resa dei conti, sul piano emotivo e psicologico, da cui sarebbe uscita ancora rafforzata. Ora questa morte improvvisa (che, anche se non lo sapremo mai, mi fa pensare a un suicidio attuato con un’overdose; e forse anche Romina lo pensa) l’ha, oltretutto, spiazzata sotto questo profilo.
Ma tu, l’avvocata Brancaccio, le educatrici e la psicologa, che spero non mi accusi anche in questo frangente di protagonismo (!) o qualcosa del genere, saprete gestire al meglio la situazione. Come ti ho già detto, lei ha bisogno soprattutto di figure femminili e tu sei la più indicata.
Sicuramente sarai più brava di me a fare squadra, anche se devo dire qualcosa a mia parziale discolpa. Le situazioni dei ragazzi sono sempre più incasinate e la mitragliata di casini che si è abbattuta su Romy (o in cui lei si è andata a cacciare: l’altra faccia della stessa medaglia) ha beccato di riflesso, necessariamente, anche me e mi ha costretto a fare, per non perdere definitivamente di vista Romy, il timoniere di una barca sbattuta dalla burrasca, la cui unica rotta “giusta” è inevitabilmente incerta e soggetta a continue correzioni e qualche invenzione del momento.
Dico anche, per onestà e perché tu, Terry, ecc… l’avete capito benissimo, che ciò non è poi così lontano dalla mia idea di questa nostra giustizia, anche se quest’anno è stata particolarmente dura, ho forse preteso e sicuramente sbagliato ed è andata a finire che il timoniere, o il vecchio pescatore, è stato a un filo dal lasciarci la pelle. Per salvarlo hanno dovuto venire i gendarmi, con le armi, come nella canzone di De André…
Tornerò ad ottobre dalle mie sospirate ferie, durante le quali cercherò anche di capire se, a sessantasette anni suonati e dopo questo tsunami, conviene che continui a fare il magistrato o che vada in pensione, come già potrei. Il pensiero della morte, mica solo la propria, non lascia indifferenti.
Un abbraccio e un grande ciao.
Salvatore M.
Era un settembre bellissimo, davanti al mare e sotto il sole, la luna e le stelle di Lipari.
Nel loro cantuccio – come Elettra chiamava le due stanze che avevano preso in affitto da un pescatore – lei e Malavoglia avevano reimparato a respirare a pieni polmoni, cantare insieme, fare l’amore come ragazzi. Emotivamente disconnessi dalla realtà, almeno in quei momenti e anche se il collegamento web c’era, implacabile (ma, fortunatamente, ballerino).
Era stato impegnativo, come inevitabile, l’incontro con Coggiola, alla vigilia della partenza. Lui era peggiorato di testa. Avevano cercato soprattutto di stargli vicino, di coccolarlo. Ad un certo punto (ne avevano discusso prima, abbastanza a lungo), Malavoglia aveva tirato fuori, come per sbaglio, una foto di Tiberio e l’aveva strappata. Gli occhi del vecchio si erano illuminati e per un bel po’ il braccio rimasto sano aveva solcato l’aria come per un applauso gioioso. Chissà cosa aveva capito – e forse era stato perfino, nella sua rozzezza, un gesto crudele rispetto a Tiberio – ma qualcosa volevano e dovevano pur cercare di comunicargli, dopo la strenua lotta che quell’uomo aveva ingaggiato per un po’ di giustizia nel nome di Marcella.
Nello stesso spirito un altro vecchio – lui, Malavoglia – avrebbe, finite le ferie, comunicato alla Procura di Ivrea la verità che era emersa, formalmente e informalmente, quanto alla morte di quella ragazza. Non sarebbe, praticamente, cambiato nulla, l’unico plauso sarebbe stato quello di Marta Corsini, già al corrente, ma era necessario perché l’errore di un tempo non rimanesse come verità consacrata.
C’era, pensava talvolta Malavoglia, qualcosa, anzi molto, di rituale in tutto ciò. Forse era anche un rito di passaggio, che lo riguardava molto da vicino: fra non molto, comunque, avrebbe smesso di fare il magistrato e doveva mettere a posto tutte le carte, materiali e ideali, lasciando ai giovani il testimone del suo lavoro e delle sue lotte, riuscite o meno.
Era l’ultimo giorno di settembre quando Elettra, che aveva acceso il pc, segnalò a Malavoglia, con un gesto che lui non comprese, che era giunta una mail dal carcere minorile di Novara.
Il suo cuore ebbe un sobbalzo. Poi si pose davanti allo schermo e lesse quella missiva inattesa.
Caro dottor Malavoglia,
so che sei in vacanza con la tua donna (beati voi!) e che manca poco a che tornate. So anche che per le lettere non si usa la posta elettronica del carcere, che anzi c’è la censura, ecc… Però, facendo casino, eccomi qua a scrivere questa cosa, naturalmente con la psicologa che mi sta accanto, controlla e ogni tanto sorride o, addirittura, ride, di sicuro per non piangere. Voglio dirti delle cose che ne sento la necessità adesso.
Anzitutto mi scuso che, quando ci siamo visti per mio padre, ho fatto così la dura, anche con te. In questo periodo ho riflettuto molto e ho capito che su mio padre devo ancora pensarci tanto, perché lui ha fatto delle robe schifose ma non è stato, come persona, tutto da buttare. Forse, quando ci siamo parlati al telefono l’ultima volta, lui voleva dirmi, a modo suo, di scappare mille miglia da Francis e cercava, così, di proteggermi. L’avevo pensato già prima che moriva, ma non...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Il libro
  3. Frontespizio
  4. Colophon
  5. La casa vuota
  6. La famiglia
  7. Copioni
  8. Vita in provincia
  9. Francis
  10. Nonni
  11. Parole d’uomini
  12. Old times
  13. Tiberio
  14. Ponte rio morto
  15. 360, anzi meno
  16. Parole dentro
  17. Scacco matto
  18. Ricominciare
  19. Anime dissolute
  20. Farla pagare
  21. Marcella
  22. Abbracci
  23. Vite soffiate
  24. Fine corsa
  25. Rincorse notturne
  26. Domenica d’agosto
  27. Ricatti e ricordi
  28. Urla dal sottosuolo
  29. Ultime lettere