PARTE SECONDA
Anche il mio studio, con le sue pareti un po’ storte, la sua vecchia tappezzeria color oro… è una bella stanza, sarei perduto se mi venisse tolta. Ma la cosa più bella che ha è l’apertura che conduce su un balconcino. Da lì non vedo soltanto il lago di Lugano fino a San Mamete, con le insenature, le montagne e i paesi… ma vedo anche dall’alto, ed è la cosa che preferisco, un vecchio tranquillo giardino incantato dove alberi vecchi e venerabili si cullano al vento e alla pioggia…
Hermann Hesse, Il canto degli alberi
1. Il balcone vitruviano?
Il disegno eseguito con punta metallica, penna e inchiostro con tocchi di acquarello su carta bianca, realizzato da Leonardo da Vinci intorno al 1490, è universalmente noto come l’“Uomo Vitruviano”.
Si tratta di una rappresentazione in forma geometrica delle dimensioni ideali del corpo umano che Leonardo inscrive in un cerchio e in un quadrato sovrapposti e che, negli intendimenti di Vitruvio, dovevano servire per stabilire le giuste proporzioni per una efficace progettazione architettonica.
Il disegno prende quindi il nome dal suo ispiratore, Marco Vitruvio Pollione, architetto romano che elabora il De Architectura tra il 30 e il 15 a.C., un trattato di dieci volumi che lo consegnerà alla storia.
In quel testo Vitruvio decretò l’importanza delle misure umane nelle costruzioni: se non si valutano armonia, ordine e proporzione nessun tempio, scrive l’autore, può essere considerato esempio di buona composizione.
Il binomio uomo-costruzioni è quindi l’obiettivo da perseguire: misure e proporzioni del suo corpo vengono precisamente indicate e successivamente trasposte per l’edilizia, così da ricavarne una sorta di canone utilizzabile nella progettazione architettonica.
La soluzione di Leonardo, che non fu il primo a dedicarsi a tale ricerca e raffigurazione, appare come la più raffinata nel riprendere l’impostazione di Vitruvio.
In verità la perizia, l’esperienza e lo spirito creativo vinciano lo allontanano un po’ da quella rigida prescrizione: egli infatti non segue alla lettera le indicazioni dell’architetto romano ma, com’era nella sua metodica lavorativa, preferisce prendere la strada dell’osservazione empirica e dell’applicazione pratica rispetto al preciso concetto ideale contenuto nel testo.
Quindi il suo “Uomo” è un modello che pur riferendosi alla tradizione egli rivede e aggiorna1.
Prendendo spunto proprio da questo dotto richiamo alla storia, all’arte e all’architettura ci siamo chiesti se possa esistere una sorta di misura, di proporzione, di dimensione ideali riferibili ai balconi.
Sì, l’abbiamo certamente presa alla lontana chiamando in causa personaggi che meritoriamente hanno segnato la storia; tuttavia, posta così, la domanda rischia di essere provocatoria, retorica o fine a se stessa; al contrario, si parva licet, il nostro intento non ha nulla di definitivo né vuol essere così presuntuoso da proporre chissà quale nuova prescrizione o tale da costituire una qualche ipotesi di architettura: ce ne guardiamo bene. Semmai è sostenuto da una certa dose d’ironia o d’ingenuità.
Rimane un fatto: questo tentativo di “prendere le misure” conserva almeno il pregio d’un esperimento su genuinità e condivisione espresse dalle persone. Cioè ogni spunto e considerazione al riguardo derivano da un risultato statistico: l’approccio nel determinare una superficie ideale riferibile a terrazzino, loggia o balcone è confermato dal desiderio che accomuna le risposte e le attese riportateci da chi sta cercando casa.
2. Le città visibili: sul balcone in architettura
Guidati dalla curiosità di capire qualcosa in più sulla necessità d’un balcone, siamo passati dalla raccolta di opinioni e tracce statistiche generate dal pubblico in cerca di casa alla letteratura tecnica sull’argomento, ulteriore spunto per chiarire misure, dimensioni e fruibilità.
P. Portoghesi, ad esempio, ci intrattiene con grande bravura su architrave, ordine e sbalzo2, elementi che, al di là di epoche e civiltà, sono eternamente presenti nell’attività costruttiva dell’uomo.
Il termine sbalzo ci ha inizialmente indotto a immaginare che avesse qualcosa a che fare con la nostra indagine: invece, percorrendo le regole e le idee che nei secoli hanno caratterizzato la produzione architettonica che ha spesso tratto suggestioni dalle forme naturali, l’autore non accenna purtroppo a balconi, terrazzini, logge come dotazioni dell’abitare.
Anche J. Panero e M. Zelnik nel loro manuale delle misure utili alla progettazione3 non confortano sul tema.
Nel loro caso, gli interni presi come riferimenti standard per la progettazione ci parlano di soggiorno, pranzo, cucina senza però prevedere dimensioni o ingombri che riguardino l’allestimento degli spazi esterni adiacenti di logge, terrazzini o balconi. Eppure ce li aspettavamo riprodotti o richiamati proprio perché a servizio di questi locali e proprio perché la zona giorno è, dell’appartamento, quella più utilmente deputata ad accoglierli.
Niente di male, per carità, tuttavia aspiravamo ad un loro accenno: rappresentando elementi di architettura e facendo parte del costruito similmente ad altri ambienti dell’alloggio, un richiamo all’argomento poteva aiutare.
È interessante citare un altro lavoro che raccoglie gli appunti per una “progettazione attenta alle esigenze fisiche e psichiche dell’abitare” redatto da Cini Boeri4. Negli intenti dell’autrice occorre cercare “nella distribuzione dello spazio accorgimenti che permettano una vita individuale privata così come il godimento di quella in comune, determinando quali zone debbano essere tra loro dipendenti, quali no e come si possano eliminare spazi assolutamente morti a vantaggio di altri indispensabili a una vita civile”.
Fa piacere notare con quanta sensibilità C. Boeri colga esigenze e desideri delle persone rispetto alla casa e come riesca ad immaginare anche spazi per le ore di riposo e ambienti che ci gratifichino al di là delle loro funzioni specifiche.
Nonostante i propositi, oltre metà del volume è occupato da planimetrie, foto o disegni che, nemmeno in questo caso, prevedono di argomentare gli spazi esterni rappresentati dal balcone.
La casa quindi va abitata e vissuta “dentro”: i molteplici schemi progettuali suggeriti dal testo ne esaltano la razionalità, la distribuzione, la flessibilità delle funzioni proponendo soluzioni articolate, creative e certamente all’avanguardia per i tempi. Ma, probabilmente, sono ancora gli anni della concretezza, degli impegni lavorativi fuori e dentro casa, del non abbiamo tempo da perdere stando sul balcone: nel libro l’architettura di C. Boeri pare ereditarne ogni pragmatica indicazione.
Un accenno breve al tema, invece, lo abbiamo reperito in E. Neufert5 quando evidenzia che “il balcone, soprattutto come ampliamento della superficie abitabile e dello spazio vitale, costituisce oggi un elemento indispensabile dell’alloggio”.
Negli otto piccoli disegni che punteggiano le sue pagine, l’autore si preoccupa di fornire utili indicazioni tecnico-edilizie (altezza del parapetto, tipo di balaustra, uso dei materiali, ecc.) senza soffermarsi sulla reale utilità dello spazio esterno.
Nella progettazione del balcone, ci dice ancora, occorre tener conto del “buon orientamento rispetto al sole e al panorama; della buona posizione rispetto alle case ed agli alloggi vicini; dei rapporti di spazio con gli ambienti adiacenti destinati a soggiorno, a lavoro o a camere da letto; del giusto dimensionamento, del riparo dall’introspezione, dai rumori e dagli agenti atmosferici”.
Le interessanti seppur sintetiche prescrizioni accennano ma non risolvono: nulla, purtroppo, che dia un’idea delle misure ottimali, della superficie, della godibilità o sull’opportunità di prevederlo all’interno di un percorso progettuale con il preciso scopo di renderlo fruibile per le persone e le loro giornate trascorse in casa.
Proseguendo il nostro excursus letterario ci siamo inoltrati nel più ampio argomento dell’architettura, ben amministrato dalla dialettica di L. Benevolo6.
Ci siamo soprattutto soffermati sulla parte dedicata al secondo dopoguerra, in Italia, in cui l’autore chiarisce le modalità con le quali si è misurata la progettazione di quegli anni.
La panoramica è intrigante, densa e spiegata con richiami e confronti europei. Il nostro Paese esce dal conflitto mondiale con distruzioni materiali non gravissime (circa il 5% delle abitazioni demolite) e, in un primo tempo, il “fervore e l’attivismo degli architetti sono rivolti soprattutto alla tecnica delle costruzioni ma, siccome non si costruisce quasi nulla, si fanno maggiormente studi e proposte teoriche che non lasciano molta traccia nel costruito”7.
Rimane un fatto: la dissertazione si dipana con eccellenti scrittura e spiegazioni su fatti di architettura generale, sull’urbanistica, su idee nascenti e aspirazioni progettuali, su nomi, scuole e correnti, su sistemi di precetti formali e impianti edilizi che, quando ci parlano di case (per esempio l’Ente Ina-Casa), non entrano però mai nell’ambito residenziale concreto, fatto di ambienti, layout e funzionalità, né della conseguente composizione architettonica degli edifici che accoglie questi spazi.
Quindi lo sperato approfondimento su balconi, terrazzini e logge è risultato infruttuoso.
Molto intrigante si è dimostrata la lettura del volume Fondamenti di composizione architettonica8: sono pagine che dedicano una particolare attenzione ai “principi filosofici del progetto, alle radici concettuali che la composizione architettonica deve trovare nella costruzione dell’insediamento e nella formazione dello spazio urbano”, pagine che richiamano le tecniche fondamentali per un buon progetto architettonico ispirato ai principi teorico-antropologici della disciplina.
Ebbene, i due capitoli dedicati a “parete e bucature” e “porte e finestre” (cioè quelli che, per affinità, ci sembravano più vicini agli intendimenti della nostra indagine) non si esprimono sulla necessità di balconi, né sul loro uso o sulla progettazione.
Le aperture, si legge nel testo, sono “variabili dipendenti dal tipo, dal volume, dall’impianto distributivo di una casa e dovranno puntualmente essere sottoposte ad un decisivo controllo geometrico”.
Infatti, continua, oltre a possedere una propria necessaria e indiscutibile funzionalità d’uso, sarà “la geometria a decidere dei loro modi e ricordando come essa vada applicata alla pianta generale dell’edificio, ma anche alla pianta di ogni singola stanza, così come ad ognuna delle sue pareti interne e, contemporaneamente, alle facciate dell’intero manufatto. E in questo gioco della geometria, difficile perché rigoroso, ogni elemento dovrà trovare il suo posto, la sua esatta collocazione”.
Tutto interessante ma, purtroppo, non ancora sufficiente ai nostri scopi: ci pare che sia mancata una chiave di lettura tecnico-interpretativa che si esprimesse per esempio su utilità, misure, superfici.
Un altro richiamo all’architettura e al ruolo del balcone ci viene dalla mostra “Case Milanesi 1923-1973” e dal volume omonimo9: un’occasione per ammirare i progetti residenziali più rappresentativi ...