PIERO MANNI
APPUNTI PER UNA STORIA DELLA MASTURBAZIONE
La storia della masturbazione è la storia della percezione culturale di tale comportamento sessuale attraverso i secoli e i millenni, una percezione che si è andata modificando anche radicalmente da una iniziale accettazione scevra da valutazioni morali, che semplicemente accoglieva le pulsioni naturali dell’uomo, ed anche considerandola favorevolmente sotto il profilo salutistico, dell’equilibrio psicofisico; ad una severa condanna etica, come peccato contro natura, sostenuta dalle religioni storiche in primis dall’ebraismo; alla convinzione che la masturbazione provocasse grave malessere fisico e malattie mortali; alla odierna indifferenza etica che la considera scelta personale nell’ambito dei gusti sessuali o in situazioni di isolamento, come unico sfogo possibile delle pulsioni sessuali.
Perfino l’etimologia della parola risente delle diverse ed opposte concezioni, e la radice stessa del vocabolo è stata distorta per enfatizzare la sua associazione con la profanazione del proprio corpo. Molti autori hanno sostenuto che il temine sia la combinazione di manus e di stuprare. In verità gli antichi Romani non erano ostili a questa pratica ed è poco plausibile, data l’accezione negativa, che questa sia l’etimologia esatta del termine. Più probabile che esso derivi dalla combinazione di manus e di turbare, agitare, scuotere: il che si limita alla descrizione di ciò che avviene nell’atto masturbatorio (Cfr. M. Cortelazzo, P. Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana, Zanichelli 1983, vol. 3).
Si fa menzione della masturbazione in testi dipinti nelle piramidi databili al III millennio a.C. Nella mitologia egiziana si fa frequentemente riferimento al fatto che le divinità maschili egiziane si masturbassero; si racconta che il dio Atum-Ra abbia generato le Enneadi, un gruppo di divinità, per mezzo della masturbazione. Gli Egizi credevano che le piene del Nilo, fondamentali nella loro società, fossero dovute alla frequenza e all’abbondanza delle eiaculazioni di Atum-Ra, e il rituale religioso prevedeva che i faraoni si masturbassero dentro l’acqua come gesto di gratitudine al dio.
Nella Mesopotamia la masturbazione era praticata e ben accetta: agli uomini che soffrivano di impotenza si consigliava di stimolare il proprio pene, o di farsi stimolare, con olii ed essenze al fine di ottenere l’erezione: una sorta di viagra ante litteram.
Nonostante gli antichi Ebrei fossero influenzati dalla tradizione egiziana e mesopotamica, fu proprio con il giudaismo che i concetti di impurità e di colpa si associarono alla masturbazione. C’è un passo della Genesi dove tale associazione è contestualizzata nella storia ebraica:
Poi Giuda prese per Er, suo primogenito, una moglie di nome Tamar. Ma Er, primogenito di Giuda, era malvagio agli occhi dell’Eterno, e l’Eterno lo fece morire. Allora Giuda disse all’altro suo figlio Onan: “Va’ dalla moglie di tuo fratello, sposala e suscita una discendenza a tuo fratello”. Ma Onan, sapendo che quella discendenza non sarebbe stata sua, quando si univa alla moglie del fratello, disperdeva il suo seme per terra, per non dare discendenza al fratello.
Ciò che egli faceva dispiacque agli occhi dell’Eterno, che fece morire anche lui. (Genesi, 38:6-10)
L’usanza del levirato, ossia del matrimonio del cognato o di un parente prossimo con una vedova, era praticata dagli Ebrei come da molti altri popoli, ed è sopravvissuta fino ad epoche recenti nelle civiltà contadine e pastorali; si voleva così evitare la parcellizzazione del patrimonio di famiglia e garantire il sostentamento alla vedova e ai figlioli del defunto.
La dispersione del seme per terra è stata interpretata dagli esegeti in due maniere: per alcuni, Onan si masturbava, venendo meno ai doveri coniugali, per altri Onan praticava il coitus interruptus, comunque venendo meno alla prescrizione di procreare una discendenza.
Nel cristianesimo, religione che esaltava la castità monastica, l’ostilità nei confronti della masturbazione divenne comunque molto radicata, di conseguenza tutti i riferimenti della Sacra Scrittura furono interpretati nei termini più negativi. L’episodio di Onan fu letto dai primi esegeti della Bibbia come una prova che Dio guardava con orrore alla masturbazione tanto da condannare alla morte chi la praticava.
I Padri della Chiesa andarono ben oltre la condanna della masturbazione; il loro ideale religioso e morale era la castità monastica, e dunque condannavano ogni attività sessuale, tollerata solo in funzione della procreazione, e comunque da praticare con moderazione: Raimondo di Peñafort (1175 circa-1275), un domenicano spagnolo severissimo moralista, metteva in guardia gli uomini sposati contro la tentazione di toccarsi il pene, perché eccitandosi avrebbero potuto sentire maggiormente il desiderio di copulare spesso con la propria moglie, al di là delle necessità di procreare.
I moderni esegeti sono concordi con l’affermare che la punizione ad Onan fu data non tanto per l’atto compiuto ma per aver trasgredito al comandamento del Signore. Sfortunatamente, dal momento che non sempre le Scritture sono chiare nel loro significato ultimo, il peccato di Onan divenne equivalente alla masturbazione ed onanismo un suo sinonimo.
I teologi della Riforma non modificarono sostanzialmente il loro atteggiamento nei confronti della masturbazione, né d’altro canto riservarono grande attenzione alla discussione in merito. I protestanti criticarono fortemente i cattolici perché avevano creato certe istituzioni, come i monasteri e i conventi, che screditavano il matrimonio e inevitabilmente favorivano la masturbazione. Il matrimonio per i Riformatori non era una scelta di ripiego per coloro che non erano in grado di porsi il fine superiore della castità, ma era il coronamento dell’amore umano e divino. Il piacere sessuale nel matrimonio, purché non fosse eccessivo, ossia lussurioso, e perseguito come fine a se stesso, non era in sé peccaminoso, o meglio la peccaminosità era cancellata dalla divina sanzione dell’obbiettivo della procreazione. Sulla scia di Lutero e di Calvino, la masturbazione rimaneva quella che era stata per i rabbini: un atto la cui peccaminosità consisteva nel rifiuto della procreazione, nello sperpero del seme.
C’è un sonetto di Shakespeare che mostra il radicamento di tale concezione:
Leggiadria sperperatrice, perché spendi
su te stessa l’eredità della tua bellezza?
Il legato della Natura nulla dona, ma solo presta,
e, generosa, presta a chi ha munificenza.
Perché allora, bell’avaro, fai cattivo uso
del ricco dono che fu dato a te per dare?
Usuraio senza profitto, perché vai usando
così gran somma di somme, eppure non ne vivi?
Trafficando solo con te stesso,
di te stesso defraudi il dolce te stesso.
(Traduzione di Alessandro Serpieri)
Perché “lo spreco” del seme fosse così temuto non è chiaro. È possibile che tale perdita fosse considerata come un fallimento dei doveri del maschio di procreare e di popolare il mondo. Questa risposta semplicistica, però, è contraddetta dal fatto che era permesso alle donne l’uso di misure contraccettive; una pratica comune per evitare la gravidanza era l’inserimento nella vagina di una sostanza spugnosa, il mokh.
L’attitudine permissiva o comunque ambivalente delle antiche civiltà mediorientali fu stravolta con le conquiste intorno al VI e V secolo a.C. dei Persiani i quali portarono con sé la dualistica religione dello zoroastrismo. Il profeta Zoroastro sottolineava come un corpo sano fosse essenziale per il mantenimento della vita nella presente e nelle future generazioni e che per ottenere un tale corpo fosse essenziale dominare i desideri della carne. Il sesso era necessario per la procreazione ma tutti gli aspetti dell’attività sessuale che si discostassero da tale finalità vennero condannati e proibiti, inclusa la masturbazione.
In pratica la masturbazione fu vista come una delle attività più empie dal momento che non mirava alla procreazione e tale punto di vista venne accettato e fatto proprio dalle successive religioni occidentali.
Mentre la masturbazione maschile veniva disapprovata o, in alcune rare eccezioni, tollerata, quella femminile, benché ovviamente non fosse apertamente incoraggiata, era comunque ignorata.
L’ambivalenza e l’indifferenza rispetto alla masturbazione femminile nelle fonti antiche è meno valida quando si parla di cultura greco-romana. Le donne, nel pensiero di autori e medici classici, avevano bisogno di masturbarsi per potersi mantenere sane. Uno dei personaggi riportati in un dialogo di Platone descrive una credenza popolare, in qualche misura legittimata dal famoso medico Ippocrate: l’utero è
una creatura interna desiderosa di contenere un bambino. [Quando] rimane arido per troppo tempo dopo la pubertà, diviene dolorante e si ammala gravemente, e vagando nel corpo e tagliando la via che porta l’aria, impedisce la respirazione e porta colei che soffre ad un’estrema angoscia.
(Platone, Timeo, 91c)
Mentre la maggior parte dei medici del periodo classico rifiutavano l’idea di un “utero desideroso”, il bisogno femminile per l’orgasmo rimaneva una convinzione diffusa. Anche Galeno (II sec. d.C.) riteneva che l’utero provasse un desiderio biologico di fecondità e se non ci fosse stata la possibilità di un rapporto sessuale, la donna ne avrebbe sofferto. Egli pensava anche che le femmine producessero una secrezione uterina simile al seme maschile, e che la ritenzione di tale secreto potesse portare all’avvelenamento del sangue e quindi alla pazzia. Galeno consigliava apertamente la masturbazione come cura.
Sappiamo che le donne greche si masturbavano con falli artificiali anche mutualmente. Uno dei termini greci per indicare una donna lesbica era tribade che deriva appunto dal verbo tribo, con significato di maneggiare.
Anche gli uomini praticavano la masturbazione, spesso in rapporti omoerotici, ed è noto che ci fosse poca o nessuna condanna per questi atti. Diogene (III sec. d.C.) per esempio si masturbava e lo dichiarava apertamente. Dopo essere stato visto mentre praticava tale comportamento sessuale, Diogene stesso sembra che abbia affermato: “Raggiungerei la pace perfetta se potessi soddisfare nello stesso modo con una frizione il mio stomaco quando si lamenta per la fame” (Diogene Laerzio, VI, 2, 46). Parla di masturbazione anche Aristofane nelle Vespe (422 a.C.). Nella cultura classica, e soprattutto a Roma, molti sono gli autori che hanno fatto nelle loro opere riferimento esplicito alla masturbazione. A questo proposito possono essere citati due esempi: Marziale (40-104 d.C.) con i suoi epigrammi satirici e Catullo (84-54 a.C.) nei suoi poemi su Gellio. I documenti del periodo classico che trattano della masturbazione sono moltissimi e, nella maggior parte dei casi, non esprimono giudizi negativi su essa.
Il principale padre della Chiesa che scrisse riguardo ai comportamenti sessuali leciti ed illeciti fu Sant’Agostino (354-430 d.C.). Questi, prima di divenire cristiano, era un manicheo, le cui basi erano il dualismo dello zoroastrismo, così come elementi presi dal cristianesimo e dallo gnosticismo. Particolarmente forte nel manicheismo era l’associazione del sesso con la debolezza del corpo; tale filosofia deplorava il corpo materiale ed esaltava l’aspetto spirituale dell’esistenza. Agostino, convertitosi in giovane età al manicheismo, fece grandi sforzi per assoggettarsi al comandamento del celibato, prerequisito del perfetto manicheo. Sfortunatamente, il noto filosofo era ossessionato dai suoi impulsi sessuali e, fra le altre cose, ebbe un’amante ed un figlio. In conclusione, incapace di sopportare la richiesta del celibato imposta dal manicheismo, Agostino entrò in una crisi che lo portò alla conversione al cristianesimo, dopo la quale egli si sentì liberato dai propri desideri carnali ed iniziò a vivere una vita casta. Nonostante la conversione, il religioso mantenne alcuni dei precetti manichei riguardo i mali legati al sesso, benché non potesse condannare la sessualità su tutti i piani. Per Agostino il sesso era ...