
- 312 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Strani delitti all'Hotel dei Filosofi
Informazioni su questo libro
Ventiquattro tra i più grandi pensatori di tutti i tempi, da Eraclito a Hegel, da Agostino a Rousseau; e con essi un giovane cuoco, un domestico spagnolo e una cameriera dagli occhi dolci: sono gli ospiti dell'Hotel dei Filosofi. Vivono in una strana dimensione extratemporale e trascorrono le giornate conversando, leggendo, passeggiando nel parco o sorseggiando una bibita al bar. Discutono, soprattutto. E a volte litigano.
Ma una notte uno di loro viene assassinato.
Inizia così una appassionante indagine cui ciascuno contribuisce secondo il proprio metodo di ricerca, e seguendo gli elementi del giallo classico: gli indizi, l'arma del delitto, gli alibi e, soprattutto, i possibili moventi…
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Informazioni
SECONDA GIORNATA
(O ANCHE: DELLA NATURA)
Un nuovo giorno
La mattina seguente, molto prima del solito orario di sveglia, ci ritrovammo tutti di nuovo attorno a Hegel, nella sala lettura del secondo piano. Non saprei dire se fu il filosofo tedesco a convocarci o se fummo noi tutti a cercarlo, spinti dal bisogno di certezze. Egli sedeva raccolto dietro un tavolino scuro, mentre noi ci sparpagliammo a caso sui divani di pelle. Attorno a me vedevo occhi segnati da una notte insonne, capelli arruffati, vesti scomposte. C’era un’aria pesante, perciò aprii le due grandi finestre: subito un dolce profumo d’estate invase la sala. All’esterno, nasceva un nuovo giorno, prorompente di vita e il contrasto tra la natura rigogliosa di fuori e i volti pallidi dei sapienti di dentro era impressionante. Il vento strapazzava le punte dei pini sui fianchi dei monti, mischiando pollini e spore nei campi. Entrò una farfalla colorata, volteggiò brevemente, poi scappò via, o per paura del nostro consesso o per invitarci a seguirla. E io, fossi stato un semplice cuoco, sarei uscito senz’altro a fare una corsa nei prati o lungo il ruscello. Ma ero il cuoco dei filosofi e il momento era grave. Non potevo mancare al discorso di Hegel, anche a costo di continuare a respirare l’aria viziata dell’Hotel, rimasto chiuso in se stesso forse un po’ troppo a lungo.
«Questa non è una mattina radiosa» esordì il maestro tedesco congiungendo le dita «ma triste. Un male oscuro, radicale, è penetrato nel nostro mondo e già esibisce davanti alla Ragione due corpi come trofei delle sue vittorie. Un tarlo ha cominciato a lavorare e non si fermerà. Due morti non sono abbastanza…»
Juan Maria, che si era affacciato alla sala lettura con in mano un vassoio pieno di tazze, udite quelle parole esclamò:
«Non c’è due senza tre!»
Era il suo modo grossolano di intendere la dialettica hegeliana. Ma in fondo c’era qualcosa di vero e suonava come un avvertimento sinistro. Hegel proseguì:
«Stiamo osservando “il trapasso che lo spirito del popolo prepara a se stesso… la corruzione prorompe dall’interno, le cupidigie si scatenano, le entità singole cercano la propria soddisfazione…”1 È un lato oscuro, forse il nostro lato oscuro. È il nemico, l’avversario, l’antitesi. Non dobbiamo illuderci. Non si torna indietro. Dovremo attraversare con coraggio il deserto che ci si apre dinanzi, il mondo opaco in cui ci siamo improvvisamente perduti. Oggi, adesso, è l’ora del non essere! Amici, non disperiamo! “Non quella vita che si spaventa dinanzi alla morte e si conserva intatta dalla distruzione, bensì quella che sopporta la morte e si mantiene in essa, è la vita dello spirito”2. Orsù, dunque. Primo, addentriamoci con senso d’eroica avventura in questa terra desolata; secondo, se l’avremo percorsa sino in fondo il nostro Spirito si fortificherà; terzo: allora lo Spirito potrà rinascere e sarà l’epifania splendente della sua chiara razionalità!»
Hegel sembrava insolitamente nervoso, persino a disagio. Caricò una presa di tabacco nella pipa e l’accese. Per un attimo sulla sua faccia livida palpitò il colore della brace. Il fumo azzurro uscì rapido dalle finestre, come se avesse l’idea che il cielo fosse il suo luogo naturale.
«Kant è morto, chi proseguirà la sua opera?» sbottò Agostino.
«Ho un’idea. Molto concreta» rispose Hegel.
«Dilla dunque» fece Cartesio.
«Ti riguarda» replicò Hegel. «Propongo che tu sia il continuatore dell’opera di Kant».
Cartesio in cuor suo se l’aspettava e non ne fu sorpreso.
«Le voilà» disse facendo un gesto da moschettiere, un po’ buffo un po’ spavaldo.
«Tuttavia» riprese Hegel «non sarai solo».
«Che vuoi dire?» disse Cartesio adombrandosi lievemente.
«Ti affiancherà nelle indagini Hume. Ho pensato che voi due divisi farete meglio di quanto fece Kant, che era in un certo senso la vostra sintesi. A Cartesio l’onere di ricercare con i raffinati mezzi della ragione. A Hume con i sicuri criteri dell’esperienza. Facciamo dunque lavorare separatamente ragione ed esperienza. Vedremo quale dei due centrerà il bersaglio, o perlomeno si avvicinerà alla soluzione».
Cartesio storse il naso. Anche intorno a lui ci fu del malumore: infatti sembrava trasparire scetticismo dalle parole di Hegel, soprattutto perché disse “perlomeno si avvicinerà alla soluzione”.
«As you know, mi toccherebbe il turno di bibliotecario a partire dalla mezzanotte d’oggi» disse docilmente Hume, «dunque, che dovrò farne?»
«Propongo che egli sia dispensato e che l’incarico di Melisso sia prorogato» suggerì Agostino, molto soddisfatto.
«D’accordo» dissero in molti. E Melisso, chiamato in causa, proclamò fieramente:
«E per parte mia obbedirò, pur non essendo certo contento della soluzione».
Si poteva comprendere. Fare il bibliotecario all’Hotel era come iniziare una dieta lavorando in una pasticceria. Il bibliotecario non riusciva mai a ritagliarsi del tempo per le sue letture, a causa del continuo lavorio per soddisfare le richieste dei filosofi. Hume, in ogni caso, pur essendo da tutti apprezzato per il suo buonumore, non era gradito come bibliotecario, poiché si diceva che avesse inserito di nascosto negli scaffali dei sotterranei alcune pubblicazioni discutibili. Correva voce che fosse un vizio nato durante il suo impiego presso la biblioteca di Edimburgo e che Kant, accreditato di una troppo sospetta astinenza sessuale, ne fosse complice. Alcuni malignavano sulle lunghe ore che Kant e Hume trascorrevano insieme, scambiandosi buste piene di libri e, forse, di strane riviste. Agostino in particolare, senza accusarlo direttamente, alimentava subdolamente l’idea che ci fosse qualcosa di moralmente riprovevole in Hume. Rousseau soffiava sul fuoco, ma per ragioni di antipatia personale verso il filosofo inglese, che risalivano ad una vecchia lite: non si poteva certo dire, infatti, che in quanto a morale egli fosse uno stinco di santo, dato che, ad esempio, aveva sparso figli in tutta Europa.
«Questa è una buona notizia» disse sottovoce Agostino, «meglio che sfoghi i suoi istinti nelle indagini piuttosto che nella biblioteca».
Ma Hobbes, che gli era vicino, si alzò inaspettatamente a difesa del compagno di lingua e inveì contro Agostino:
«Ora la devi smettere di dividerci in buoni e cattivi. Noi non siamo scolaretti e tu non sei il nostro maestro!»
«Taci» gli rispose Agostino, «pusillanime! Non sei degno del sapere».
«Tu sei il becchino del sapere. A causa tua dieci secoli della storia d’Europa sono rimasti nell’oscurantismo scientifico!»
«E tu sei il becchino della libertà…» ribatté Agostino.
«Manicheo traditore!» ringhiò Hobbes.
«Mentecatto! Corvo!» lo sferzò Agostino.
«Assemblea, Assemblea!» urlò allora Hobbes. «Non è più possibile continuare in questo modo… Esigo la convocazione immediata dell’Assemblea!»
Si trattava di una questione annosa. Alcuni sostenevano che in caso di gravi liti o comportamenti scorretti l’ultima parola spettasse all’Assemblea dei filosofi riuniti, ma non c’era mai stato accordo sui criteri di votazione e così l’Assemblea era rimasta lettera morta.
«Assemblea!» riprese esaltato Rousseau, «subito Assemblea!»
Il nervosismo montava. Eraclito si era levato in piedi su un tavolo, insudiciandolo con le sue scarpe sporche di terra, e incitava Agostino a menare le mani. Bruno si era schierato con Hume e agitava in aria i pugni. Hobbes se l’era presa prima con Cartesio e poi con Aristotele, chiamandolo “ministro della stoltezza”3. Abelardo con due agili balzi si era portato vicino ad Agostino per spalleggiarlo.
«Noi siamo già in assemblea, siamo già in assemblea!» urlava inascoltato Zenone.
«Votiamo subito!» disse Rousseau, appellandosi a Hegel.
«Ma cosa?» ribatté Hegel.
«Assemblea!» gridavano molti.
La confusione era completa. Hobbes era isterico. Cartesio si era rifugiato sotto il tavolo. Tutti strepitavano contro tutti senza più ascoltarsi e quella babele urlante era forse il segno più evidente di quanto scosse fossero le menti degli ospiti dell’Hotel.
Non c’era più nulla da fare per me lì dentro. Presi Juan Maria sottobraccio e mi avviai verso le cucine.
«Fanno così perché non sanno che pesci pigliare» dissi.
«Come i capponi di don Abbondio» rispose.
«E questa chi te l’ha detta?» dissi sorpreso.
«Anche io leggo, cosa credi, chico!»
Scendendo verso le cucine, scorsi Hume che entrava furtivo nella stanza di Kant. Forse iniziava il suo lavoro investigativo, ma, in quel clima di generale sospetto, volli controllare. In punta di piedi, scivolai per il corridoio e uscii sulla terrazza, dalla quale, di nascosto, potevo vedere all’interno. La stanza era rimasta così come l’avevamo trovata la sera prima: libri e fogli sparsi in terra, disordine ovunque, la sedia rovesciata. Lo scozzese si guardava intorno, senza muoversi. Ruotava il capo lentamente, come un periscopio. Si chinò a raccogliere qualcosa, forse un piccolo pezzo di porcellana rimasto in terra, e lo annusò. Col piede spostò qualcuno dei libri a terra, poi drizzò la sedia e vi salì sopra per vedere cosa ci fosse sopra l’armadio a doppio corpo, impolverandosi le mani. Quindi ridiscese e fissò lo scrittoio del maestro tedesco. Era una ribaltina del seicento marchigiano, molto graziosa, con un prezioso intarsio in legno più chiaro sui fianchi. Un panno verde ricopriva il piano di lavoro. Sulla piccola alzata c’erano due sportellini e su ciascuno due targhette in ottone con incise le scritte “Fenomeni” sul primo e “Noumeni” sul secondo. Gli sportelli erano incernierati insieme con un meccanismo che impediva di aprirli contemporaneamente: così o guardavi dentro i “Fenomeni” o dentro i “Noumeni”. Hume vi si avvicinò, aprì cautamente il primo e vi trovò un fascio di lapis perfettamente appuntiti e un mucchietto di riccioli di legno, residuo della tempera. Lo richiuse, aprì l’altro e vi trovò una chiave. Tenendola stretta nella mano cercò a lungo nella stanza una toppa in cui provarla, ma non la trovò: sembrava non esserci nessuna se...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Colophon
- PRIMA GIORNATA. (O ANCHE: DELL’ESSERE)
- SECONDA GIORNATA. (O ANCHE: DELLA NATURA)
- TERZA GIORNATA. (O ANCHE: DELL’UOMO)
- EPILOGO