La Piccola Chiesa nella Grande Russia
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La Piccola Chiesa nella Grande Russia

La mia vita, la mia missione

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La Piccola Chiesa nella Grande Russia

La mia vita, la mia missione

Informazioni su questo libro

Mons. Paolo Pezzi è dal 2007 l'arcivescovo cattolico di Mosca. Una diocesi vastissima e composita che comprende al suo interno anche un caleidoscopio di nazionalità, fra cui la comunità armena, quella coreana, quella vietnamita, e via dicendo. Dentro il perimetro della Russia, tutto è di più: più chilometri da percorrere, più lingue, più incroci di culture e vissuti. Più bellezza da condividere ma anche, a volte, più timore nel testimoniare ciò che si crede. Perché quando si è minoranza si è più fragili. Quando si è minoranza l'identità viene sollecitata ogni giorno e ogni giorno sei chiamato a verificarne la consistenza, che è Cristo stesso. Mediante questo libro mons. Pezzi, si racconta a Riccardo Maccioni, per la prima volta dal principio. Intrecciando in queste pagine al vissuto personale, umano e missionario, fatti e valutazioni sull'attualità e il futuro della Chiesa, della Russia e con esse, necessariamente, del mondo intero.

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Informazioni

Editore
Ares
Anno
2022
eBook ISBN
9788892981959

1

La vita e i giorni

La logica di Dio

Io ho visto la Verità, ho visto e so che gli uomini possono essere belli e felici senza perdere la capacità di vivere in Terra.
Fëdor Dostoevskij
Raccontarsi non è mai facile. Bisogna mettere in fila i giorni e gli anni, scegliere cos’è stato importante e cosa no, capire il senso di gesti e iniziative magari nati con obiettivi del tutto diversi. Vale per la vita di ciascuno, a maggior ragione quando la si prova a leggere secondo la logica di Dio.
Perché, come sottolineano tutti i maestri di spiritualità, è il Signore ad andare a cercare l’uomo, in ogni tempo, con l’unico desiderio di renderlo felice. Però senza forzature, in assoluta libertà, disponibile persino a sentirsi dire di no, accettando di restare fuori dalla porta per tornare a bussare una, dieci, cento volte, nella speranza che l’uscio prima o poi si apra.
Non è solo questione di banale disponibilità, ma di coraggio, di abbandono, di fiducia in un domani incerto quando l’oggi pare promettere la prospettiva di un lavoro sicuro, magari di un amore su cui puntare per creare una famiglia. E chissà quante esistenze infelici sono tali perché è mancato il sì iniziale, la forza di uscire da sé stessi, di modificare il senso del proprio cammino dentro una condizione, quella di mendicanti di infinito, che riguarda tutti. Dall’altra parte è bello, bellissimo sentire storie sorridenti, vissute nell’apertura agli altri, gioiose dei piccoli gesti quotidiani, contagiose di semplicità e armonia.
La ricetta per realizzarsi davvero, in fondo, si radica su un unico ingrediente fondamentale: l’affidamento alla volontà di Dio, l’accettazione del disegno del Padre su di noi, che significa anche impegnarsi a liberare il cuore dalla zavorra dell’autosufficienza, dalla tirannia dell’orgoglio. Ecco allora il segreto di famiglie unite dall’amore reciproco, ecco cosa c’è dietro a sacerdoti, religiosi e religiose, consacrati contenti di esserlo. Preti che poi spesso diventano parroci, guide di comunità via via più grandi, fino a essere nominati vescovi.
«La mia famiglia è credente, sono stato battezzato dieci giorni dopo la nascita. Come molti bambini di Russi, il mio paese, nel Ravennate, ho ricevuto la Prima Comunione e la Cresima, che allora si ricevevano nello stesso giorno, all’età di 8 anni.
Poi ho continuato a frequentare, con qualche momento di crisi, nell’età adolescenziale. Un momento importante è stato quando il parroco mi invitò a partecipare al gruppo giovanile. Dissi di sì e ricominciai ad avere un’attività anche molto intensa in parrocchia. Questo è avvenuto tra i 15 e i 18 anni, periodi molto belli, contraddistinti da una grande voglia di fare. Ci caratterizzava il desiderio di impiegare la maggior parte del tempo per gli altri, per il loro bene. Ricordo la passione per l’attività caritativa, per il teatro, per le Novene, ma anche per il Rosario, che animavamo nel mese di maggio.
Direi che, come ragazzi, ci guidava una grande passione, una grande voglia di comunicare quello che di bello ci era capitato fra le mani».
Una fiamma, quella della condivisione, da alimentare ogni giorno, perché altrimenti rischia di spegnersi. Nel nostro caso non solo non si è affievolita, se possibile è cresciuta fino alla scelta del sacerdozio. Chiamata peraltro arrivata, o meglio “avvertita” in tempi e modi curiosi, originali. Ma quando non lo sono?
«A ١٩ anni, sono partito per il servizio militare. Allora in Italia c’era la leva obbligatoria e per me è stata un’autentica rivoluzione dal punto di vista spirituale. Rin­grazio ancora oggi per quella stagione, perché ho avuto l’occasione di incontrare altri commilitoni che appartenevano al movimento di CL. Il loro modo di vivere la fede, che non li faceva rinunciare a essere attivi, presenti ma senza ansia, senza fanatismo, mi colpì molto. Soprattutto nell’ultimo periodo di leva, che svolsi a Treviso, un commilitone, Franco con cui ancora sono in contatto, mi fece capire e in qualche modo mi mostrò la bellezza, il gusto, direi la pertinenza della fede alla vita. Mi colpì molto che per lui il periodo del servizio militare non era una parentesi da archiviare il più in fretta possibile, ma un’occasione per vivere la propria fede in Cristo. Ne restai così toccato che al ritorno a casa cercai la comunità di CL più vicina a Russi.
In realtà sapevo anche prima che c’era ma non l’avevo mai frequentata se non in modo sporadico durante le superiori, quando il gruppo di Comunione e Liberazione che era nel mio istituto tecnico, mi invitò a partecipare a qualche momento di preghiera. Ci andai, ma la cosa non mi colpì particolarmente. Quando tornai dal servizio militare invece iniziai a partecipare alla vita delle comunità. Nel frattempo trovai un lavoro. In quegli anni di disoccupazione relativamente alta, non era facile. Parlo del 1980».
Punto fondamentale di riferimento, ovviamente la famiglia.
«Eravamo mio padre e mia madre, che ora sono saliti al Cielo, io, un fratello e una sorella più grandi, rispettivamente di 5 e 4 anni».
Dopo la scuola dell’obbligo, le superiori, la maturità e quindi la partenza per il servizio militare.
«Sì, ho frequentato un istituto tecnico industriale, elettrotecnica. Durante il periodo di leva, su suggerimento del mio viceparroco, studiai da privatista per la specializzazione in telecomunicazioni così che, una volta congedato, conseguii anche un secondo diploma di scuola superiore tecnica, che mi permise di trovare lavoro nell’allora società dei telefoni, la Sip, oggi Tim. Per diversi mesi, dopo il ritorno a casa nel febbraio 1981, feci un po’ di tutto. Il posto stabile, alla Sip, arrivò nel gennaio del 1982.
Lavorando a Ravenna, cominciai anche a stringere rapporti con giovani lavoratori del movimento di CL. Capitava sempre più spesso che al termine della giornata mi fermassi con loro, anche perché insieme ad altri ragazzi, che avevano trovato difficoltà a inserirsi nel mondo del lavoro, decidemmo di dare vita a un “centro di solidarietà” (così lo chiamammo) cioè un luogo dove giovani lavoratori e disoccupati potevano ritrovarsi. Alcuni di noi li aiutavano a mettersi in contatto con aziende che cercavano operai o altri specialisti e allo stesso tempo si offriva una formazione spirituale. Ma questo senza nessuna forzatura, rispettando la volontà di ciascuno. Ricordo che facevamo incontri sul Vangelo ma anche sull’attualità, per esempio sui film, sulle novità musicali. Eravamo tutti giovani, sui venti-venticinque anni».
In questi gruppi, naturalmente, un ruolo importante lo gioca il prete di riferimento.
«In quegli anni io feci la conoscenza di due sacerdoti che seguivano la comunità di CL a Ravenna, senza tuttavia stare con noi in senso stretto. Direi che la vita del Centro di solidarietà era veramente una grazia laica, in modo pieno».
Il che non significa naturalmente che i sacerdoti di cui si diceva prima non avessero un ruolo, anzi.
«Alcuni di noi ne frequentavano anche altri, secondo le attività che svolgevano. Io ricordo molto bene un giorno del luglio 1982. Si stava giocando Italia-Argentina ai Mondiali spagnoli, quelli che poi vincemmo. La partita era alle 19. Dopo il lavoro passai dal luogo in cui si trovava la comunità di Comunione e Liberazione per un saluto e magari per trovare qualcuno con cui seguire la diretta. In un angolo, seduti al tavolo vidi due sacerdoti che parlavano tra di loro e pensai che anche a me sarebbe piaciuto essere un prete così, cioè che vivesse in comunione e non da solo. Ma fu solo un momento, poi li salutai e andai a vedermi Italia-Argentina.
Tuttavia, quel pensiero non mi abbandonava, tornava in modo abbastanza insistente. Allora, siamo sempre nel 1982, decisi di parlarne con uno di quei sacerdoti, il quale mi disse che poteva essere un segno di vocazione, ma di non avere fretta e di iniziare un percorso di verifica che avrebbe potuto mettere più in evidenza la mia chiamata e anche la forma concreta che avrebbe dovuto prendere. Questo cammino è durato 3 anni, fino al settembre del 1985. Io intanto continuavo a lavorare e a impegnarmi nel centro di solidarietà».
La vocazione, o meglio la scoperta della propria chiamata, può procedere per tappe, poco alla volta. Si tratta di assecondarne i tempi.
«Iniziai ad avere degli incontri regolari con quei due sacerdoti, uno in particolare, che vedevo più o meno una volta al mese. Attraverso la riflessione (oggi si direbbe il discernimento) ho pian piano trovato la conferma della mia vocazione al sacerdozio. Tuttavia, come un pungolo mi accompagnava il pensiero che, normalmente, il sacerdote diocesano vive da solo, condizione che sentivo come un “di meno”, senza peraltro riuscire a tracciare bene i confini di questo disagio».
E arriviamo al settembre del 1984.
«Sì, quando Giovanni Paolo II chiamò a Roma tutto il movimento di CL. Durante quell’incontro il Papa toccò soprattutto due argomenti che ricordo bene: la forte centratura in Cristo e il tema della missione, concludendo il suo discorso con queste parole: “Andate in tutto il mondo a portare la verità, la bellezza e la pace che si incontrano in Cristo Redentore”. Tornando a casa, riparlai poi con quel sacerdote e lui mi suggerì che forse questo era un segnale da tenere presente: la mia vocazione poteva essere non solo al sacerdozio, ma anche alla missione. In ogni caso non bisognava prendere decisioni affrettate, occ...

Indice dei contenuti

  1. Quasi un’introduzione
  2. 1
  3. La vita e i giorni
  4. 2
  5. I luoghi e i tempi del cammino
  6. 3
  7. Stile di Chiesa
  8. 4
  9. Progettare il futuro
  10. 5
  11. Fine o inizio?