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Il manager di buona vita
Informazioni su questo libro
La crisi globale ha messo in luce il fallimento dell'approccio manageriale dominante, sia nel settore for profit che nei servizi sociali. Alberto Camuri, manager che ha vissuto una lunga carriera in ruoli di rilievo in aziende multinazionali, propone con forza di ricalibrare il modello dirigenziale centrato unicamente sulle performances, consapevole che un approccio esclusivamente prestazionale, che trascuri e non valorizzi gli aspetti relazionali, può anche dare risultati, ma solamente nel breve termine. È necessario armonizzare l'attenzione alle persone e alle prestazioni, agli stakeholders tutti, nel breve e nel lungo termine! Un passaggio quindi necessario non solo al benessere dei singoli, ma anche allo sviluppo dell'economia.
Il «manager di buona vita» descritto nel volume è capace di alternare con la necessaria umiltà la sua attenzione e le sue risorse, sapendo ascoltare e facilitare i rapporti, mantenendo un comportamento orientato a un approccio genuinamente relazionale, esercitando il potere come responsabilità; guardando, ascoltando (e aiutando a guardare e ascoltare) per contestualizzare e per dare risposte alle domande di senso per sé e per gli altri.
Il libro, forte di una solida base teorica e arricchito dalle significative testimonianze di altri «manager di buona vita», dimostra la possibilità non solo di pensare, ma anche di poter praticare a tanti livelli, sotto la guida di dirigenti e funzionari intelligenti, un'economia «umanistica», in cui la moderazione e il senso morale restino i valori portanti.
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Informazioni
Argomento
DidatticaCategoria
Didattica generaleCapitolo 1
La grande crisi: opportunità di ripensamento
Siamo nel gorgo
Siamo ormai, e da tempo, nel gorgo della crisi economica, una crisi storica, mai sperimentata prima nella sua dimensione e complessità, che ha colpito in qualche modo tutti noi senza escludere nessuna organizzazione, istituzione e mettendo in discussione le regole del gioco del sistema, ormai caratterizzato da profondo disagio e forti tensioni. Una crisi globale ed epocale che ha messo a nudo le contraddizioni e i limiti del sistema neoliberista spinto, generando situazioni che non si erano mai verificate prima, come il crollo di compagnie storiche, consolidate e di istituzioni finanziarie di grandi dimensioni, creando disoccupazione crescente, povertà in aumento, instabilità sociale, nonché ponendo interrogativi su tutte le regole del gioco: del gioco politico, del gioco economico-finanziario, delle relazioni fra le istituzioni, della struttura del sistema sociale, del modo di condurre gli affari, degli approcci e modelli manageriali, delle relazioni tra aziende e dipendenti a ogni livello.
I dati del disagio
È doveroso soffermarci a guardare alcuni dati impressionanti che non avremmo mai voluto vedere nella loro tragica dimensione: mi riferisco ad alcuni indicatori, tra i più significativi, di fenomeni che caratterizzano il disagio economico-sociale in Italia (tabella 1.1). Non possiamo dimenticare che questi dati, che spesso vengono riportati sui quotidiani, che sentiamo enunciare asetticamente nei telegiornali e fanno parte di talk show, oltre che freddi numeri e crude statistiche rappresentano uomini e donne senza lavoro, posti di lavoro che svaniscono, famiglie in difficoltà, sogni infranti e non realizzati, giovani smarriti, preoccupazioni emergenti. Tutto ciò è la conseguenza anche, ma non solo, di un sistema e di una modalità di gestione delle imprese, delle organizzazioni pubbliche e private, orientate al brevissimo termine, focalizzate sulla sola performance e orientate alla massimizzazione del profitto o di KPIs (Key Performance Indicators), per il soddisfacimento di pochi, degli shareholders e poco, o per nulla, attente alle ricadute sociali e scarsamente sensibili a una progettualità di medio-lungo termine. Possiamo dire, se siamo intellettualmente onesti: un disastro annunciato!
Tabella 1.1
Il disagio economico-sociale in Italia: alcuni indicatori
| Indicatore | % | Fonte | Ultimo dato disponibile |
| Disoccupazione | 13,4% | ISTAT | nov 2014 |
| Disoccupazione giovanile | 43,9% | ISTAT | nov 2014 |
| Domande di disoccupazione, di mobilità (oltre 2,13 milioni di domande di disoccupazione nei primi 11 mesi del 2014) | +8,3% | INPS | gen-nov 2014 vs. gen-nov 2013 |
| Fallimenti (in sei anni 75.175 imprese chiuse) | +14% +10% | CRIBIS D&B | 2013 vs 2012 2014 vs 2013 |
| Povertà assoluta (persone in) | 9,9% | ISTAT | 2013 |
| Povertà relativa (persone in) | 16,6% | ISTAT | 2013 |
| Povertà assoluta (famiglie in) | 7,9% | ISTAT | 2013 |
| Povertà relativa (famiglie in) | 12,6% | ISTAT | 2013 |
| Consumo antidepressivi (in costante aumento negli ultimi anni) | +3,2% | Ass. Contribuenti Italiani | 2013 vs 2012 |
E che tristezza leggere in questi giorni che ben 3,6 milioni di italiani non cercano più lavoro (il 14,2% della forza lavoro, fonte Eurostat), molti dei quali totalmente sfiduciati nella possibilità di trovarlo; 3,6 milioni di persone sul viale della rinuncia!
La globalizzazione, con il crollo delle barriere spazio-temporali, l’accelerazione della tecnologia con la conseguente velocizzazione dei fenomeni di obsolescenza, la diffusione del sapere, la sempre più spinta apertura dei mercati, lo spostamento degli investimenti dove la manodopera costa meno hanno purtroppo stimolato una cultura modellata sul profitto facile, sul breve termine, poco attenta al benessere generale, al crescente divario fra le classi sociali, ma direzionata a esasperare i propri comportamenti e modelli di business, delegando ipocritamente al mercato la responsabilità e la magica capacità di sistemare i danni che a mano a mano venivano prodotti… e siamo dove siamo!
Certamente siamo finiti in un gorgo e ci troviamo in una situazione insostenibile: la sola visione di performance numerica e la focalizzazione esasperata su ciò ci portano nel baratro. Siamo nella crisi da parecchio tempo, ma facciamo fatica a uscirne. Infatti, invece di fermarci e pensare a come cambiare rotta, a decidere percorsi alternativi, si è piuttosto privilegiata l’iterazione di processi e approcci tradizionali, si è continuato con un focus sulla performance di breve termine, anzi, si è acuita questa focalizzazione (rafforzata dall’alibi della sopravvivenza) al grido dei tagli dei costi e delle spending reviews. Vediamo con crescente preoccupazione l’adozione, anche nel Pubblico, di modelli manageriali, importati dal mondo Privato, che invero hanno contribuito al crescente disagio economico-sociale in cui siamo precipitati.
Qualche tempo fa sono rimasto colpito, rattristato ma non sorpreso, nel leggere un interessante dato, tuttora valido, che emergeva dal rapporto «Opportunità nelle Avversità» della società di consulenza Ernst & Young: in base a un’analisi di un campione di 350 aziende globali, risultava che due imprese su tre avevano deciso di ridurre il personale per fronteggiare il difficile momento. Ma non solo le aziende in difficoltà, anche quelle profittevoli avevano scelto la strada della riduzione degli organici. In definitiva, le aziende, e non solo le grandi aziende, cercavano di sopravvivere alla crisi (o usare la crisi come alibi) con i metodi tradizionali: snellendo le proprie strutture e tagliando costi, soprattutto quelli del personale e dei fornitori, quindi creando un’ulteriore spinta verso il basso, sempre di più nel gorgo. È evidente come la medicina del taglio dei costi — che, per onestà intellettuale, è talvolta necessaria — non possa esser sufficiente e non sia la sola ricetta per uscire dal gorgo; anzi, spesso è l’unica cosa che si sa fare, a volte è una modalità per rimandare il vero momento in cui affrontare il problema.
Dal gorgo si esce?
È il momento di fermarci a riflettere, a ripensare criticamente ai modelli di business e manageriali utilizzati sino a oggi, per porci domande di senso che, forse, negli ultimi tempi ci siamo dimenticati di farci, stimolando un dibattito importante sui correttivi da apportare e sulla necessità di recuperare un’etica dei comportamenti che si era perduta in tutti i campi ma, in particolare, nel modo di condurre gli affari e nella gestione delle organizzazioni.
L’incertezza (la diffusa percezione di una condizione di maggiore vulnerabilità) che si è venuta a creare si è evoluta lentamente in una certezza: nulla sarà come prima, quindi si devono ripensare e ridefinire le regole del gioco nel mondo del business e del lavoro, ricercando nuovi equilibri. È un imperativo non più rimandabile!
Sempre di più si parla di ben-essere e non è forse questo un altro segnale di malessere diffuso? Chi di noi non si sente coinvolto da questa continua ricerca di un possibile equilibrio e di un ben-essere? Forse, bisogna ripartire da una prospettiva diversa: non continuare a considerare l’utilità del lavoro nel mero riscontro economico a fronte di un fare, di un produrre un bene o un servizio, ma riconoscere nell’attività lavorativa l’occasione per esistere, per realizzare un’esistenza ricca e gratificante.
Il cambiamento, dunque, necessario non solo al benessere dei singoli, ma anche alla rivitalizzazione delle organizzazioni e allo sviluppo dell’economia, si attua mettendo in discussione una cultura del lavoro che lo riduce, lo banalizza al mero scambio tra produzione di beni materiali e immateriali, a fronte di una prestazione monetaria, sviluppando e promuovendo invece una cultura del lavoro che propone il lavoro come occasione di esistere, luogo nel quale realizzare con pienezza la nostra vita grazie alle relazioni, a obiettivi che danno senso alle nostre vite e al nostro quotidiano agire e che generano energia, passione, entusiasmo.
Non si tratta di buonismo ma di buon senso, e lo affermo con grande convinzione: lungo la mia vita professionale ho potuto apprezzare concretamente, basandomi su dati oggettivi, quanto importante sia porre attenzione e investire in ben-essere all’interno delle organizzazioni. Le ricadute sono tante ed evidenti e, certamente, sono il risultato non di slogan ma di un lavoro manageriale faticoso, coerente, rig...
Indice dei contenuti
- L’autore
- Ringraziamenti
- Introduzione
- Presentazione
- Capitolo 1. La grande crisi: opportunità di ripensamento
- Capitolo 2. Da dove veniamo
- Capitolo 3. Dove siamo
- Capitolo 4. Il management relazionale
- Capitolo 5. Le testimonianze
- Conclusioni
- Bibliografia