Le frontiere della vita
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Le frontiere della vita

Dai fossili al cosmo

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Le frontiere della vita

Dai fossili al cosmo

Informazioni su questo libro

Gli sviluppi delle scienze moderne, dal Cinquecento ad oggi, sono caratterizzati da rapide fasi di radicali trasformazioni delle teorie e delle visioni del mondo. La rivoluzione astronomica e la rivoluzione evoluzionistica hanno innescato una decentrazione della condizione umana nel cosmo, e hanno allargato gli orizzonti delle nostre conoscenze a ordini di grandezza anche molto lontani da quelli dell’esperienza quotidiana. La rivoluzione astronomica ha aperto le porte alla comprensione dello spazio profondo; la rivoluzione evoluzionistica ha aperto le porte alla comprensione del tempo profondo.
Nel libro vengono ripercorse le tappe rilevanti di queste due storie e diventa via via più chiaro come soltanto oggi esse confluiscano e si integrino l’una con l’altra. Si mette così in evidenza che le due decentrazioni copernicana e darwiniana non hanno affatto sminuito l’importanza della vicenda umana nel cosmo: ci hanno aiutato a situarla più realisticamente e approfonditamente quale ramificazione unica e singolare fra le innumerevoli ramificazioni della vita, una ramificazione eccentrica e particolare, ma proprio per questo molto interessante. Perché la vita dovrebbe essere confinata solo sul nostro pianeta? E, in attesa di incontri cosmici prossimi o remoti, che cosa possiamo dire già oggi, sensatamente, della vita nell’universo?

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1. La scoperta della Terra

Circa trent’anni dopo l’impresa di Colombo, la circumnavigazione del globo da parte di Magellano ebbe un impatto altrettanto ampio o, se possibile, ancora più ampio. L’Asia, e in particolare la Cina, fu davvero raggiunta attraverso le rotte d’occidente, mentre nel frattempo le rotte africane e indiane tracciate dal Portogallo avevano aperto nuove strade verso la tradizionale direzione dell’oriente. Alla fine, la scoperta di ricche vene d’argento in Bolivia, alla periferia del nuovo impero spagnolo delle Americhe, consolidò il commercio con la Cina attraverso queste rotte d’occidente, e fu il prodromo di un nuovo “sistema mondo” economico e commerciale, dal quale ormai nessuna civiltà si sarebbe sottratta.
Soprattutto per l’Europa, inizatrice di questo processo rivoluzionario, le conseguenze furono travolgenti, non solo sul piano strettamente economico, ma anche sui piani politico, sociale e, naturalmente, culturale.
La geografia del nostro pianeta non era più quella immaginata e tramandata dagli antichi. Bisognava elaborare una visione inedita, Questa presa di coscienza cambiò per sempre l’atteggiamento degli studiosi rispetto al passato, al presente e al futuro: la novità e l’imprevisto divennero elementi decisivi del sapere umano. Il sapere non poteva più essere rappresentato come replica inalterabile, generazione dopo generazione, delle strade tracciate dalle conoscenze degli antichi.
Anche i cieli furono investiti da questo sguardo. Anche i cieli, forse, potevano produrre novità e imprevisti in grado di scardinare le certezze antiche. Anche la conoscenza dei cieli e dell’universo intero era suscettibile di radicali trasformazioni. Ipotesi rischiose e congetture avventurose furono alimentate non solo da passione ed entusiasmo, ma anche da un senso di urgente necessità. Galileo, quando osservò i “nuovi mondi” che circondavano l’antico pianeta Giove, dai suoi contemporanei fu subito paragonato a Colombo, Vespucci, Magellano [1] .
Qualche decennio prima di Galileo, Niccolò Copernico era stato il primo e il più coraggioso a trarre conseguenze inaspettate dalle scoperte di Cristoforo Colombo e da quelle di Amerigo Vespucci. Questi diede all’Europa la consapevolezza dell’esistenza di un nuovo continente: le terre allora raggiunte non potevano appartenere al continente asiatico. Ma tali scoperte furono anche decisive per accertare il fatto che la Terra possedeva effettivamente una forma sferica e che era assimibilabile – almeno per questo importante aspetto – agli altri pianeti. Così si aprì la via alla mossa geniale di Copernico: la Terra era in realtà uno dei tanti pianeti erranti e, al pari di loro, poteva muoversi nel cosmo.
Nell’età delle esplorazioni geografiche si costruisce e si diffonde dunque l’idea di ‘orbe terracqueo’: l’idea cioè che la Terra sia un corpo di forma sferica in cui le acque si trovano nelle cavità, o depressioni, intercorrenti fra le terreferme continentali. Questa idea non era affatto scontata: in realtà, furono solo le scoperte di Colombo e di Vespucci a renderla plausibile. Nell’antichità classica e nel medioevo, di fatto, essa era del tutto minoritaria, se non proprio assente.
Nelle visioni del cosmo dell’antichità classica e del mondo medievale c’era una netta separazione fra la Terra e i pianeti. Ciò comportava grandi difficoltà sia per la fisica che per l’astronomia e, soprattutto, per la messa in relazione fra questi due ambiti scientifici. La Terra e i pianeti erano considerati del tutto differenti quanto alle sostanze da cui erano rispettivamente composti. La Terra era composta da quattro elementi “pesanti” e alterabili - terra, acqua, aria e fuoco; i pianeti, dal quinto elemento “sottile” e inalterabile, l’etere. Ma non era affatto chiaro in che modo i quattro elementi si mescolassero sulla Terra per dare vita agli oggetti concreti della nostra esperienza. Le soluzioni al proposito si erano moltiplicate, senza approdare a un quadro coerente e condiviso [2] . Nel medioevo, in particolare, era prevalsa una concezione che enfatizzava la presunta tendenza dei quattro elementi a separarsi fra di loro. Secondo una tale concezione, l’elemento terra – e quindi l’ecumene, la terraferma popolata dagli esseri umani – costituiva una piccola sfera appoggiata su una sfera dieci volte più grande, composta dall’elemento acqua. Le due sfere erano poi circondate dalla sfera dell’aria (in genere valutata dieci volte più estesa della sfera dell’acqua), la quale a sua volta era circondata dalla sfera del fuoco (quest’ultima valutata a sua volta dieci volte più vasta della sfera dell’aria).
L’idea di “Terra piatta” era così soltanto un’ipersemplificazione popolare, e di fatto un travisamento, di una visione ben più raffinata delle relazioni fra le varie sfere degli elementi di cui era costituita la sede degli umani. Tuttavia le due visioni, quella del volgo e quella dei dotti, convergevano nella convinzione che non potessero esistere antipodi continentali popolati da esseri umani: navigando attorno al globo, costituito insieme dalla sfera della terra e dalla sfera dell’acqua si sarebbe trovato sempre e solo acqua. Questa visione non escludeva la possibilità di intraprendere un viaggio simile a quello che poi effettuò Colombo, cioè il tentativo di trovare una rotta per l’oriente navigando verso occidente: ma questa rotta veniva interpretata come una sorta di rotta circolare attorno alla piccola sfera dell’elemento terra, posata a sua volta sulla sfera molto più ampia dell’elemento acqua.
I viaggi di esplorazione del Nuovo Mondo, insieme alle mappe che da questi viaggi scaturirono (a partire da quella di Martin Waldseemüller del 1507), portarono rapidamente a una refutazione di una tale visione. Il Nuovo Mondo, cioè una terraferma estesa e popolata, si situava infatti proprio agli antipodi dell’ecumene noto: non già delle sue regioni europee (l’Oceania non era ancora conosciuta), quanto piuttosto delle regioni orientali dell’Asia. Di qui all’idea che la Terra fosse di forma grossolanamente sferica e che l’elemento acqua si inserisse nelle cavità aperte fra i continenti il passo era agevole. E Copernico fu uno dei primi a trarre la debita conclusione [3] . È probabile che Copernico avesse preso coscienza di questa dirompente novità già negli anni della sua formazione, decenni prima della pubblicazione della sua opera astronomica [4] . Questa “scoperta della Terra” fu per lui un forte stimolo per l’osservazione dei cieli con un nuovo sguardo. Sviluppò così una visione dei cieli distante da quella tolemaica, per lui viziata da eccessive complicazioni e da un certo grado di incoerenza.


[1] D. Wootton (2015), p. 38, tr. it. (2016). Anche Keplero, entusiasmato dalle scoperte di Galileo, paragonò l’esplorazione dei cieli di Galileo alla scoperta del nuovo mondo di Colombo. T. De Padova (2009), pp. 79-81.
[2] Esemplare e informativa la trattazione di D. Wootton (2015), pp. 110-32, tr. it. (2016).
[3] M. Vesel (2014), pp. 119-25.
[4] Copernico lesse per tempo il Mundus Novus – il testo pubblicato nel 1503 ove Vespucci asseriva che le terre scoperte da Colombo costituivano una nuova, “quarta parte del mondo” – ed altrettanto per tempo ebbe una conoscenza della mappa di Waldseemüller. Così stimolato, egli poté elaborare il nucleo della sua concezione astronomica abbastanza rapidamente, dato che ne abbiamo testimonianza nel suo Commentariolus , un testo scritto non più tardi del 1514. Cfr. J. Freely (2014), p. 51; D. Wootton (2015), p. 142, tr. it. (2016).

2. Anomalie e rivoluzioni

La tradizione scientifica moderna non parte dal nulla, ma ha radici profonde, in un lungo processo di riformulazione e di traduzione di idee che aveva preso le mosse già nell’antichità classica. L’eredità conoscitiva del mondo greco-romano era già stata arricchita, interpretata, tradotta (talvolta, anche ridotta e incompresa) almeno in tre fasi storiche differenti, per mano di tre civiltà diverse: quella islamica; quella dell’Europa medievale; quella dell’Europa rinascimentale. Le condizioni culturali, politiche e sociali di queste tre fasi storiche erano eterogenee. Ed eterogenei erano dunque i risultati dei processi di traduzione e di riformulazione dei linguaggi e dei problemi [1] . Qui vogliamo solo porre l’accento sull’importanza di ciò che ebbe luogo nel quattrocento e nel cinquecento, sia prima che dopo i viaggi di Colombo e di Magellano. La cultura rinascimentale poté trarre ispirazione non solo dalle sintesi medioevali (sia europee che islamiche), ma anche dai testi originali greci e latini. Questi erano tornati a disposizione grazie agli umanisti e, in seguito, grazie all’affluire nell’Europa occidentale di dotti bizantini, che vi trovarono rifugio dopo la presa turca di Costantinopoli.
La tradizione scientifica moderna affonda le sue radici in reti molto articolate di visioni del mondo, di punti di vista, di interpretazioni, di elaborazioni provvisorie, che hanno trovato poi ulteriori complementi e arricchimenti nella notevole diversità delle personalità, degli interessi, dei presupposti metafisici e tematici, degli obiettivi dei suoi singoli protagonisti. Alle sue origini, la scienza moderna non era peraltro costituita come impresa collettiva standardizzata. E la figura professionale degli scienziati non era istituzionalizzata ed omologata. Così, lo sviluppo della scienza moderna non è fatto solo di indubitabili convergenze fra i diversi percorsi individuali, ma anche e soprattutto di scarti e di divari che sussistono fra di loro. In questa storia, le ricerche e le conoscenze sono progredite non in seguito alla prevalenza unilaterale di uno di questi itinerari, ma grazie alle interrogazioni che vicendevolmente essi si ponevano. Gli scarti e i divari, inconciliabili sul piano locale, hanno contribuito ad ampliare il quadro delle possibilità cognitive e, alla fine, a creare un nuovo mondo.
Uno dei presupposti della cosmologia classica era che i pianeti, per loro inerente natura, si muovessero esclusivamente di moto circolare uniforme. Questo presupposto era sostanzializzato nella visione metafisica, condivisa fra gli altri da Aristotele, di una serie di sfere celesti concentriche, in ognuna delle quali era incastonato un pianeta, e nella quale il moto si trasmetteva dall’esterno verso l’interno. Ma questa visione non riusciva a spiegare le molteplici irregolarità del moto dei pianeti nella volta celeste, se osservati dalla Terra. Per questo la tradizione cosmologica classica era ricorsa a due indebolimenti del requisito dell’esclusività dei moti circolari uniformi, senza per altro abbandonare il privilegio ad essi accordato. Il primo indebolimento consisteva nel considerare i moti dei pianeti attorno alla Terra non già quali singoli moti circolari uniformi, ma quali combinazioni di questo genere di moti. In altre parole, un pianeta tracciava la sua orbita circolare (epiciclo) attorno a un punto matematico, il quale a sua volta si muoveva circolarmente attorno alla Terra. Il secondo indebolimento consisteva nel considerare i moti dei pianeti uniformi non già rispetto alla Terra, bensì rispetto a un punto geometrico – il punto equante – situato nelle sue prossimità più o meno immediate, il che faceva sì che rispetto alla Terra tali moti non fossero più uniformi.
Questi due indebolimenti consentirono a Tolomeo e ai suoi epigoni un ampio spazio di manovra per rendere conto sul piano teorico dei movimenti effettivamente osservati dei pianeti. Il prezzo da pagare consisteva nella costruzione di un edificio sempre più complicato, fatto anche di epicicli di epicicli, l’unica prova della cui esistenza – col senno del poi – era quella di “salvare i fenomeni”. Per molti secoli, tuttavia, questo prezzo da pagare fu considerato ragionevole: le tavole tolemaiche consentivano un buon orientamento ai naviganti e ai viaggiatori. Ma, nel corso di questi secoli, le osservazioni divennero più precise: al tempo di Copernico, il divario fra i fenomeni e la teoria era divenuto più ampio. La riforma astronomica di Copernico fu motivata proprio dall’esigenza di proporre una teoria le cui conseguenze pratiche meglio si accordassero con le osservazioni. L’intento personale dell’astronomo polacco era quello di attuare appunto una riforma entro un quadro concettuale predefinito. Solo alcuni decenni dopo la svolta costituita dall’opera di Copernico iniziò ad essere valutata nella sua portata dirompente. E solo nel ventesimo secolo si parlerà esplicitamente di “rivoluzione copernicana” [2] .


[1] Fra i testi più recenti volti a mostrare la ricchezza delle radici della tradizione scientifica moderna, e ad affrontare l’articolata questione delle discontinuità e, rispettivamente, delle continuità ricordiamo H. F. Cohen (2010). Le sue ricerche sono a supportare l’ipotesi secondo cui i vari ambiti della scienza del cinquecento e del seicento hanno seguito differenti ritmi di sviluppo: in certi ambiti (come l’astronomia) prevarrebbero le discontinuità, e in altri ambiti (come l’ottica) prevarrebbero le continuità. Cfr. H. F. Cohen (2010), pp. xxx-xxxi.
[2] Il riferimento è naturalmente a T. S. Kuhn (1957), che segue a sua volta l’idea di “rivoluzione scientifica” introdotta da Alexandre Koyré e diffusa nel mondo anglosassone da Herbert Butterfield (1950).

3. Un’inarrestabile cascata di innovazioni

Copernico è pienamente interno alla tradizione astronomica antecedente e prevalente, quella tolemaica: il suo fine dichiarato è quello di migliorarla, non di distruggerla. E indubbiamente egli continuava ad aderire ai presupposti di fondo della cosmologia classica, ereditata dal mondo greco-romano, per alcuni versi più conservatrice della visione e della prassi di Tolomeo.
L’interesse suscitato dalla teoria di Copernico fu dapprima moderato, proprio perché veniva considerata interna al paradigma tolemaico, semplicemente volta a rendere più preciso l’accordo tra teoria e osservazione. Era palese che essa fosse in grado di apportare una maggiore semplificazione (un minor numero di ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. LE FRONTIERE DELLA VITA
  3. Indice dei contenuti
  4. INTRODUZIONE
  5. PREMESSA
  6. I. AMPLIARE GLI SPAZI: I MONDI E LE IDEE
  7. 1. La scoperta della Terra
  8. 2. Anomalie e rivoluzioni
  9. 3. Un’inarrestabile cascata di innovazioni
  10. 4. L’immaginazione e la tenacia
  11. 5. Tecnologie. Un nuovo protagonista per le scienze
  12. 6. Un cosmo unificato
  13. 7. L’incomparabile varietà dei cieli
  14. II. DAL MONDO CHIUSO ALLA STORIA DELLA NATURA
  15. 1. Sondare gli abissi del tempo
  16. 2. Le catastrofi e le estinzioni
  17. 3. La nascita della geologia moderna
  18. 4. Viaggio in Italia
  19. 5. Uniformismo
  20. 6. Natura facit saltus?
  21. 7. Il ritorno dell’iguanodonte
  22. 8. Charles Darwin, esploratore del tempo profondo
  23. 9. La grande controversia sull’età della Terra
  24. 10. Tenacia e resilienza di Charles Darwin
  25. III. UN NUOVO SISTEMA SOLARE
  26. 1. I destini individuali dei corpi celesti
  27. 2. Asteroidi: una perenne spada di Damocle?
  28. 3. Una periferia sconfinata
  29. 4. Una galassia molto affollata
  30. IV. AVVENTURE NEL MICROCOSMO DELLA VITA
  31. 1. Charles Darwin, scienziato storico
  32. 2. Evoluzione variazionale: la diversità dei viventi
  33. 3. Dal macrocosmo al microcosmo della vita
  34. 4. I tre polimeri della vita terrestre
  35. 5. I paradossi del genoma
  36. 6. DNA codificante, DNA non codificante
  37. 7. Sequenze ripetitive
  38. 8. Le riscritture del genoma
  39. 9. Una visione emergentista dell’evoluzione
  40. 10. Ma, in definitiva, che cos’è un gene?
  41. 11. Dall’evoluzione al genoma: creatività biologica come risignificazione
  42. 12. Un’ontologia generativa
  43. V. UNA VITA GIOVANE IN UN PIANETA GIOVANE
  44. 1. I tre domini della vita
  45. 2. Estremofili
  46. 3. I nostri antenati più remoti
  47. 4. Una finestra per la vita
  48. 5. Fra il fuoco e il gelo
  49. 6. La rete globale della vita
  50. 7. Multicellularità: il secondo livello della vita
  51. 8. Le rivoluzioni dell’ossigeno
  52. VI. L’INVENZIONE DEGLI ANIMALI
  53. 1. L’esplosione dei piani di organizzazione
  54. 2. Durante il cambriano, prima del cambriano
  55. 3. La grande discontinuità
  56. 4. Un albero genealogico per gli animali
  57. 5. I tempi delle biforcazioni evolutive
  58. 6. Nuovi genomi, nuove ecologie
  59. 7. Le glaciazioni delle glaciazioni
  60. 8. Il conflitto delle spiegazioni
  61. 9. Ancora l’ossigeno
  62. 10. Standardizzazione, dopo la sperimentazione
  63. 11. L’evoluzione dell’evoluzione animale
  64. 12. Un pluralismo evolutivo generalizzato
  65. VII. L’IMPATTO DELLE CATASTROFI. FRA DISTRUZIONI E CREAZIONI
  66. 1. Una Terra dinamica
  67. 2. L’uniformismo rivisitato
  68. 3. Il cambiamento e la stasi
  69. 4. La sorpresa di Gubbio
  70. 5. Cinque, e più di cinque
  71. 6. Asteroidi e vulcani
  72. 7. Dopo Chicxulub
  73. 8. La catastrofe del permiano
  74. 9. Incidenti sistemici
  75. 10. Nuove regole per nuove ecologie
  76. 11. La pura contingenza
  77. 12. Livelli del cambiamento
  78. VIII. GLI UMANI, FIGLI DELL’INVERNO
  79. 1. L’autunno della Terra
  80. 2. Altopiani e catene montuose
  81. 3. Le prime calotte glaciali permanenti
  82. 4. Moti celesti e vicende terrestri
  83. 5. Transizione di fase
  84. 6. La morsa del raffreddamento globale
  85. 7. Il ricambio della fauna africana
  86. 8. Le speciazioni degli ominidi
  87. 9. Nel cuore delle età glaciali
  88. 10. Il tempo del caos climatico
  89. 11. L’età del disgelo
  90. 12. Un lungo periodo di apprendistato
  91. 13. Alle radici delle civiltà agricole
  92. 14. Verso l’antropocene
  93. IX. STORIE DELLE ORIGINI
  94. 1. L’uovo e la gallina
  95. 2. Tappe verso la vita
  96. 3. Una difficile definizione
  97. 4. Acidi nucleici alternativi
  98. 5. Il trilemma delle origini
  99. 6. La natura del codice genetico
  100. 7. Proteine mai nate
  101. 8. Biologia sintetica: una tappa ulteriore dell’evoluzione?
  102. X. ALLA RICERCA DI UN CONTATTO COSMICO
  103. 1. I primi batteri alieni
  104. 2. Marte, un mondo ritrovato
  105. 3. Una navetta cosmica?
  106. 4. I compagni dei giganti
  107. 5. Vite esotiche
  108. 6. Le molte famiglie dei pianeti extrasolari
  109. 7. Dove cercare la vita?
  110. 8. La finestra della vita, nell’evoluzione del cosmo
  111. 9. La Terra: tipica o rara?
  112. 10. Il conflitto delle ipotesi: gli umani fra la solitudine e lo zoo cosmico
  113. 11. Cercare anomalie
  114. 12. Sulle soglie dell’universo
  115. BIBLIOGRAFIA
  116. INDICE DEI NOMI
  117. CULTURA STUDIUM
  118. Ringraziamenti