La vita accade
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La vita accade

Una storia che fa luce sulle emozioni maschili

  1. 204 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La vita accade

Una storia che fa luce sulle emozioni maschili

Informazioni su questo libro

Questa è una storia che parla di uomini. «Uomini che non sanno dare parola alle proprie emozioni e quindi le trasformano in silenzi, oppure in azioni disfunzionali.» Paolo sta per diventare padre. Sua moglie Chiara lo sveglia in piena notte per dirgli che è giunto il momento. Quando salgono in macchina e partono alla volta dell'ospedale, Paolo sa che quel viaggio gli cambierà la vita. E mentre viene travolto da un turbine di emozioni e ricordi, non può fare a meno di ripercorrere la sua storia, abitata da figure maschili che gli hanno lasciato ferite profonde, alcune ancora aperte. Un passato dove sofferenza e disagio hanno agito senza tregua, trasformando in sopravvivenza ciò che avrebbe dovuto essere esistenza.

Ripensa quindi al padre biologico Bruno, al padre «di fatto» Oreste e al padre affidatario Giancarlo, a come le loro emozioni, represse e mal gestite, siano diventate delle pericolose micce, capaci di scatenare incendi devastanti. La fatica di questi padri nel gestire la propria sfera emotiva ha plasmato la crescita di Paolo, che trascina la sua vita in un ininterrotto «qui e ora» in cui il lavoro diventa un alibi per fingere di vivere, rimanendo un eterno migrante alla ricerca di un approdo. Ma se da una parte sente di aver ereditato le loro difficoltà, dall'altra coltiva anche la speranza dell'uomo che può diventare grazie all'incontro con Chiara e al potere trasformante della nascita del figlio Tommaso. Ecco allora che a fronte di relazioni pericolose e tossiche, che distruggono, nascono anche relazioni costruttive e accudenti, che salvano.

Con una prosa attenta e profonda, che coniuga la conoscenza dello psicoterapeuta con l'abilità del narratore, Alberto Pellai mette in scena il mondo interiore degli uomini, trasformando la loro solitudine e il loro silenzio in una vicenda universale. E racconta, in queste pagine cariche di sentimento, la storia di un uomo che li rappresenta tutti, che mostra come solo facendo pace con il proprio passato si può diventare persone risolte, compagni e padri migliori.

Domande frequenti

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Informazioni

OTTO ANNI PRIMA

Chi ti ha fatto da seme?

A volte ritrovi qualcuno che aveva depositato un seme dentro di te senza che tu te ne accorgessi. Cammini tra le bancarelle di un mercatino o tra i corridoi di un ipermercato.
Ed ecco che girando lentamente il volto all’improvviso incroci quello sguardo. Resti lì, incerto. È passato così tanto tempo che ti sembra di sbagliare. Non può essere lui, non può essere lei. Poi, guardi meglio. È proprio lui. È proprio lei. E allora, prendi consapevolezza che quel seme è diventato un albero. Che ha radici profonde dentro di te. I rami di quell’albero sono ora le tue braccia, le mani con cui hai dato carezze, sollevato valigie, magari preso a sberle qualcuno a cui più tardi avresti voluto chiedere scusa. Perché quelle sberle ti sono fuggite di mano. A volte, però, è troppo tardi. Non si può chiedere scusa. Non più.
Siamo il frutto di migliaia di semi, fatti cadere nel terreno da mani che li hanno tenuti a volte in modo frettoloso e indifferente, a volte, invece, serrando le dita con tutta la forza possibile, per posarli poi nella terra in un momento preciso, assoluto. Meditato e voluto.
Siamo il terreno dove l’aratro della vita è passato dissodando, mescolando, frantumando zolle e preparandole alla lenta stagione della crescita prima e del raccolto poi.
Veniamo da semi gettati. E poi cresciuti e divenuti responsabili del raccolto che da essi deriva.
Noi siamo il raccolto, che proviene da un seme.
Noi siamo l’albero cresciuto da un seme.
Chi ti ha fatto da seme?

Dove siamo

Chiara è sveglia. Ascolta il respiro pesante di suo marito Paolo, che le dorme accanto. Il buio della stanza è illuminato solo dal display digitale della radio, che segna le 2.25.
Mette le mani in mezzo alle gambe. È tutto bagnato, lì sotto.
La sua vita sta per cambiare. La loro vita sta per cambiare. Per sempre.
Dovrebbe svegliare Paolo. In tutta fretta. Ma decide di lasciarlo dormire ancora cinque minuti. Nel frattempo pensa.
Si può rivedere una vita intera in cinque minuti?
Sì. Si può.
Anni prima era rimasta colpita da una frase che una voce fuori campo pronunciava in un film. Mentre affoghi, e sai che per te non c’è più scampo o salvezza, il tempo sembra andare più lento. I tuoi ultimi secondi sono come un film che proietta sullo schermo tutta la tua vita. Evento dopo evento.
A Chiara sta succedendo proprio questo. Le si ripresenta tutto. Lì nella memoria. Ma lei non sta morendo. L’esatto contrario: Chiara sta per dare alla luce un bambino.
Vorrebbe piangere. Vorrebbe ridere. Vorrebbe gridare. Vorrebbe correre. Invece non fa nulla. Sta ferma e rimane in silenzio.
Ora il display luminoso segna le 2.30.
È giunto il momento di svegliare Paolo.
Lo scuote lentamente. Lui mugola qualcosa.
Allora picchia dolcemente sulla sua spalla. «Paolo, sono tutta fradicia. Ho bagnato il letto. Devo aver rotto le acque.»
Paolo salta in piedi, come un soldato richiamato dal comando del suo generale. In trenta secondi è vestito. Prende nella stanza a fianco la valigia per l’ospedale. Era lì, pronta da tre settimane.
«È arrivato il momento» dice a Chiara. Il cuore è in subbuglio. Batte talmente veloce e così forte che vorrebbe rischiacciarlo dentro al petto.
La stanza gira leggermente, mentre lui fissa i suoi piedi, che fa aderire al suolo premendo forte con tutto il peso del corpo. Sentirsi ancorato al terreno gli fornisce una sensazione di stabilità.
È il solo modo che conosce per provare a fermare tutto. Il salto con cui è sceso dal letto dopo l’annuncio di Chiara e la velocità con cui si è vestito lo mettono di fronte a un tempo vuoto che gli sembra lunghissimo.
Ci pensa Chiara a riempirlo. Lei, infatti, si alza e si muove molto più lentamente.
Toglie le lenzuola dal letto, le piega in qualche modo per metterle in lavatrice.
«Come puoi pensare alle lenzuola, quando sta per nascere nostro figlio?» le domanda lui. La voce sembra innervosita.
Lei, con calma, prosegue nel suo proposito di sistemare il loro grande letto prima di uscire per andare all’ospedale. «Non ho ancora nessuna contrazione. Si sono solo rotte le acque. Possiamo fare con calma. Meglio cambiare adesso le lenzuola e preparare il letto, per quando tornerai a casa.»
Paolo l’aiuta, anche se il cuore non smette di battere a quel ritmo accelerato che gli fa pulsare persino le tempie.
Lei toglie la traversa impermeabile con cui aveva riparato il materasso, sapendo che l’evento di quella notte sarebbe stato possibile. Lui rimane colpito dalla sua capacità di tenere tutto sotto controllo. «Come fai?» le chiede.
«A fare cosa?» risponde lei.
Lui non rilancia una nuova domanda, ma sistema le lenzuola sotto il materasso. Si muove veloce, a scatti.
«Andiamo, adesso» e Chiara lo segue. Prende il cappotto. Paolo gira la chiave nella serratura. Lo fa lentamente. Guarda le sue dita che stringono la chiave. Ne segue il movimento, come ipnotizzato. Sta chiudendo la porta su una parte della sua vita che non ci sarà più. Quando farà girare di nuovo quella chiave in quella serratura, la sua vita sarà cambiata. Per sempre. Lui sarà per sempre il papà di Tommaso.
Non fa in tempo a pensare il nome di suo figlio che un brivido lo attraversa.
«Ho paura» realizza Paolo. Poi annulla subito queste due parole. Le cancella dalla mente. Vorrebbe non averle mai pensate. Stringe la chiave nel palmo della mano con più forza.
Sale in auto. «Come va?» chiede a Chiara.
Mette in moto ed esce dal cancello della loro abitazione.

Domande

Volevi essere e sei solo stato capace di diventare.
Diventare il riflesso dell’immagine che ti restituisce lo specchio.
«Sono davvero io, quell’immagine? Mi corrisponde?»
Ti guardi lì dentro e ti interroghi.
Sollevi il dito verso il cristallo. Dentro ci sei tu. Ti tocchi, ma stai solo sfiorando una superficie liscia.
Dentro ci sei tu, ma non sei tu veramente.
Ripassi il contorno del tuo corpo. Segui il profilo, centimetro dopo centimetro.
Dove hai avuto inizio?
Dove sarà la tua fine?
Sei dentro a un viaggio. Tra quell’inizio in cui c’eri e non sapevi. E quella fine in cui non ci sarai più, ma che arriverà.
In ciò che volevi essere e sei stato capace di diventare c’è la distanza tra tutte le domande che ti sei posto e le risposte che sei riuscito a trovare.
Domande infinite. Risposte limitate.
Siamo soprattutto domande senza risposte.
E quelle poche risposte che troviamo ci fanno diventare ciò che siamo.

Lacrime

Il suono dell’autoradio che invade l’abitacolo è quasi insopportabile. Non è musica, è rumore. «Ti spiace se spengo?» Chiara non fa in tempo a dirlo che Paolo ha già premuto il pulsante e ora in auto è tornato il silenzio. A Paolo sembra di udire, scandito e chiaro, il battito del suo cuore. La città è immersa nelle luci del Natale. Luminarie di tutte le forme la fanno sembrare un luna park. Le pozzanghere riflettono spiragli luminosi, nuvole di vapore al neon si alzano dalla strada. Sembra tutto finto. Invece non c’è niente di più vero. Chiara appoggia una mano sulla coscia di Paolo. La lascia lì, ferma, come se l’avesse dimenticata. A quel contatto, Paolo sente un’urgenza assoluta di piangere. Le lacrime spingono per uscire. Ma trattiene tutto. Nessuno l’ha mai visto piangere. Nessuno.
Lui sa quando è stata l’ultima volta che ha pianto.
Aveva otto anni.
Sua mamma Lucia era appena uscita dal bagno, avvolta in una nuvola di profumo. Indossava l’abito rosso, quello scamiciato che la modellava come se fosse stato cucito intorno al suo corpo. Era bellissima. I capelli leggermente gonfi le cadevano sulle spalle. Con leggerezza. Lei era euforica.
Paolo sapeva già tutto. Dove andava. Cosa sarebbe successo al suo ritorno. Sapeva che non avrebbe potuto cambiare il corso degli eventi. E quindi ci si sarebbe trovato in mezzo, come al solito. Mentre lei usciva dalla porta, splendente come il sole, Paolo vedeva già entrare in casa il peggiore dei temporali.
Quanti pomeriggi aveva trascorso da solo, facendo i compiti. Mentre lei fuggiva in un altrove che avrebbe dovuto essergli sconosciuto. Gli piaceva vederla così felice, quando usciva. Era stregato dalla sua bellezza. Un’onda di luce che avvolgeva tutto. Ma sapeva che l’avrebbe pagata cara, quell’uscita. Anzi, che l’avrebbero pagata cara.
Dal secondo in cui lei si lasciava la porta alle spalle, lui cominciava a essere assalito da una nausea fortissima. Stava lì, su quaderni e libri di scuola, fingendo di studiare. Invece aspettava solo che il tempo corresse veloce. La mente non riusciva a fermarsi. Su nulla. Nessuna pagina di libro o compito da svolgere poteva bloccare il vortice di immagini che si impossessava di lui. E la nausea, nel corso del pomeriggio, si trasformava in terrore. Più si avvicinava l’ora del ritorno a casa di suo padre, più lui doveva andare in bagno a fare pipì. Apriva il frigorifero, prendeva qualcosa da bere, poi se lo dimenticava sul tavolo. Andava alla finestra di continuo, sperando di veder apparire lei, prima di suo padre. Succedeva a volte che lei riuscisse a farla franca, e vederla tornare gli dava un sollievo istantaneo. Come se qualcuno gli avesse tolto una pietra dal cuore. Quando mamma rientrava da queste sue uscite profumate, la vedeva precipitarsi in bagno. Si cambiava in tutta fretta, si spettinava. Si avvolgeva i capelli in un asciugamano, come a far credere che se li fosse appena lavati. Indossava un grembiule e poi cominciava a fare le pulizie. Tirava lo straccio sul pavimento in modo quasi forsennato, spinta da una furia indomabile. Lui tornava a casa e non diceva nulla. Anzi, sembrava apprezzare quella visione: una donna vestita da serva che gli puliva la casa. Questa scena, per Paolo, era come un dono di Natale.
Però, altre volte, succedeva che suo padre rientrasse prima. Non la trovava in casa e allora cominciava a sbraitare. Urlava parole terribili. Non l’aveva mai sentito bestemmiare, ma pronunciava frasi così volgari, offese così vivide verso sua madre, da farlo sentire pieno di vergogna al suo posto. A catechismo gli avevano insegnato che chi dice brutte parole va dritto filato all’inferno. Senza possibilità di salvezza. In quei momenti, in cui la rabbia di suo padre esplodeva nei peggiori insulti, Paolo se lo immaginava immerso nel fuoco, bruciato, arso vivo, in preda a sofferenze inimmaginabili. Quella visione placava, in parte, la sua angoscia. Che tornava ad assalirlo, rinnovata e ancora più incontenibile, quando la madre rientrava. Suo padre era alla finestra. La aspettava. Lei non faceva in tempo ad aprire la porta che già le era saltato addosso. La prendeva per i capelli e la trascinava su per le scale. Poi chiudeva la porta della loro camera. La picchiava e probabilmente le usava forme di violenza che Paolo allora non sapeva neppure immaginare.
Paolo rimaneva al piano di sotto, tremando come una foglia. Una volta si era addirittura fatto la pipì addosso. Di quel pomeriggio ricorda solo che gli era venuto il terrore che suo padre picchiasse anche lui per via di quell’incidente. E allora, facendo meno rumore possibile, era sceso nella lavanderia, dove sua mamma teneva i panni sporchi in attesa di metterli in lavatrice. Aveva trovato le sue mutandine usate il giorno prima. Si era tolto quelle bagnate e si era rimesso quelle sporche. Aveva fatto la stessa cosa anche con i pantaloni. Si era vestito con indumenti sporchi per non avere addosso nulla di bagnato. Poi era tornato in cucina a fingere di studiare.
Suo padre, al termine di queste crisi violente, scendeva lasciando sua madre in camera. Sbatteva la porta, quando usciva da lì, e le urlava: «Puttana! Le donne come te vanno trattate come meritano. Da puttane». Tirava fuori dalle tasche una moneta, riapriva la porta e la gettava sul pavimento. Paolo sentiva quel tintinnio e sapeva che era il rumore che segnava la fine della bufera. A quel punto suo padre scendeva in cucina e cominciava a preparare la cena. Sua madre, in quelle sere, non si presentava a tavola. Paolo andava a letto da solo. Si addormentava dopo ore. Avrebbe voluto sentire la sua voce, essere certo che fosse viva. Veniva svegliato da lei il giorno dopo. Spesso indossava un paio di occhiali scuri e un foulard intorno alla testa. Lo baciava sul volto e con voce tranquilla diceva: «Tesoro, è ora di andare a scuola». Paolo le chiedeva sempre: «Perché hai quegli occhiali, mamma?», e lei rispondeva: «La luce stamattina mi fa lacrimare. Devo proteggere gli occhi». Poi lui si alzava, faceva colazione e andava a scuola. In quel periodo commetteva un sacco di errori di distrazione. Prendeva brutti voti nei dettati, nelle prove di ortografia.
Il pomeriggio in cui Paolo aveva pianto per l’ultima volta, sua madre era uscita, immersa nella sua nuvola di profumo. Come sempre, lui aveva trascorso le ore seguenti spostandosi tra il bagno, il frigo e la finestra. Purtroppo, suo padre era rientrato prima di lei.
Aveva cominciato a urlare parolacce. Terribili come al solito. Poi lo aveva guardato. Non lo faceva mai. Quel pomeriggio, aveva deciso di includere anche Paolo nel suo delirio. «Dov’è andata tua madre? Dimmelo subito! Dov’è quella troia di tua madre?»
Lui aveva cominciato a piangere. Il padre allora gli si era avvicinato e lo aveva colpito con un ceffone in pieno viso. «Bastardo che non sei altro. Figlio di una cagna. Piagnucolone bastardo. Ti metti pure a piangere, adesso. Per la tua mammina del cazzo. Una troia che va a farsi scopare da quel coglione con cui ti ha fatto. Uno stronzo che quando ha saputo che tu c’eri, se n’è scappato a gambe levate. E lei che cosa ha fatto? Dopo un po’ è andata a cercarlo di nuovo. Come una cagna in calore si è messa accucciata ai suoi piedi. A farsi tenere per il guinzaglio.»
Paolo non sapeva nulla della sua storia. Nessuno gli aveva mai detto che era figlio di un altro padre. Le frasi di Oreste gli erano arrivate come un pugno nello stomaco. Aveva smesso di piangere immediatamente. Dopo la botta che quelle parole gli avevano procurato, aveva sentito che tutto dentro di lui si era congelato in modo istantaneo. Quella era stata l’ultima volta in cui qualcuno l’aveva visto piangere.
Adesso, sull’auto che si muove verso l’ospedale, Paolo vorrebbe piangere. Come aveva fatto quel pomeriggio, dopo il ceffone di Oreste. Ma il ricordo di quella rivelazione è lì, a congelare tutto. Non ce la fa. Chiara intanto muove lentamente la mano sulla sua gamba. Resta in contatto con lui, accorgendosi di averlo perso negli ultimi istanti. Lui era altrove. Lei invece è lì, al suo fianco.
Chiara ora tace. Paolo deglutisce a fatica. Una lacrima scende dall’occhio sinistro. Dal lato del viso che Chiara, seduta alla sua destra, non può vedere. Si sente salvo. Si percepirebbe tutto sbagliato se lei scoprisse quella lacrima. Che in tutta fretta cancella, passandosi una mano sul volto. Con la finta noncuranza di chi non vuole dare peso alle cose che invece ne hanno moltissimo.

Speranza

La speranza è il diritto che ogni giorno rivendichiamo perché non vogliamo rinunciare ad avere un futuro.
Vorremmo essere padroni di quel futuro, che invece a volte sta scritto in una stella cadente che magari non riusciamo a vedere, perché purtroppo abbiamo lo sguardo rivolto altrove. Ciononostante non smettiamo mai di alzare gli occhi, scrutare il cielo, cercare la nostra stella cadente.
Così non smettiamo di cesellare quella speranza, cercando di scegliere la vita che ci aspetta.
Però lei, la vita, si fa trovare come vuole, quando vuole.
A volte è vestita come una gran dama, pronta per il ballo dove ogni Cenerentola troverà il suo principe senza bisogno, a mezzanotte, di perdere la scarpetta.
A volte invece è sporca, trascurata, puzzolente. Indossa abiti rammendati, raccolti in un sacco che qualcuno ha portato a un’organizzazione di beneficenza. Uno scialle sfrangiato che copre una camicia di flanella a quadri su una gonna di panno nero, macchiata.
È dentro a quelle macchie che tocchi con mano quanto illusoria può essere la speranza su cui avevi cucito la tua immagine del futuro, la tua identità, il tuo voler essere, che così si schianta al suolo. E riesce soltanto a diventare un «dover essere». Dover essere quel poco che la vita ti permette di riuscire a essere. Nonostante la sua puzza, le sue macchie, la sua trascuratezza.
C’è chi si mette addosso quegli avanzi di vita e se li porta appesi sulle spalle in una sacca di iuta che, a ogni passo, sobbalza sulla schiena. Cammina senza nemmeno sapere dove sta andando.
C’è chi, invece, torna indietro, al luogo in cui gli hanno fornito quegli stracci e comincia a chiedere se per caso è possibile cambiarli. «N...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. La vita accade
  4. La ferita dei non amati
  5. Cocci e frantumi
  6. OTTO ANNI PRIMA
  7. OTTO ANNI DOPO
  8. Ringraziamenti
  9. Copyright