PARTE I
Prima di avere figli ero una mamma fantastica. Conoscevo benissimo i motivi che portavano le persone ad avere problemi con i figli.
Vivere con dei bambini in carne e ossa può essere mortificante. Ogni mattina mi dicevo: “Oggi sarà diverso”, e ogni mattina era una variante del giorno precedente: «Le hai dato più di quello che hai dato a me!»... «Questa è la tazza rosa. Io voglio quella azzurra»... «I cereali sembrano vomito»... «Mi ha dato un pugno!»... «Non l’ho mai sfiorato!»... «Non voglio andare in camera mia. Non sei mica il mio capo».
Infine, giunta allo stremo, anche se era l’ultima cosa che avrei mai pensato di fare, mi iscrissi a un gruppo di sostegno per genitori. Il gruppo si riuniva in un consultorio familiare ed era guidato da un giovane psicologo, il dottor Haim Ginott.
L’incontro fu stimolante. L’argomento era I sentimenti dei bambini e le due ore passarono in fretta. Tornai a casa con la testa piena di pensieri nuovi e un quaderno pieno di idee da elaborare:
- esiste una connessione diretta tra il modo in cui i bambini provano sentimenti e quello in cui si comportano;
- quando i bambini «sentono» nel modo giusto, si comportano nel modo giusto;
- come possiamo aiutarli a sentire nel modo giusto? Accettando le loro emozioni!
Problema
In genere i genitori non accettano i sentimenti dei figli. Per esempio:
«Non è vero che ti senti proprio così.»
«Dici così soltanto perché sei stanco.»
«Non c’è motivo di essere così arrabbiato.»
Continuare a negare i sentimenti può confondere e far infuriare i bambini. Inoltre insegna loro a non riconoscere i sentimenti che provano e a essere incapaci di gestirli in maniera positiva.
Dopo quell’incontro, ricordo di aver pensato: “Forse gli altri genitori lo fanno. Io no”. Poi cominciai ad ascoltare quello che dicevo. Ecco alcuni esempi di conversazioni che si sono svolte in casa mia. In un solo giorno.
BAMBINO Mamma, sono stanco.
IO Non puoi essere stanco. Hai appena fatto il sonnellino.
BAMBINO (a voce più alta) Ma io sono stanco.
IO Non sei stanco. Sei solo un po’ assonnato. Dai, vestiamoci.
BAMBINO (frignando) No, sono stanco!
BAMBINO Mamma, fa caldo qui.
IO Fa freddo. Tieni su il maglione.
BAMBINO No, ho caldo.
IO Ho detto: tieni su il maglione!
BAMBINO No, ho caldo.
BAMBINO Quel programma alla tele era una barba.
IO No, anzi, era molto interessante.
BAMBINO Era stupido.
IO Era educativo.
BAMBINO Faceva schifo.
IO Non si dice schifo!
Riuscite a capire che cosa stava accadendo? Tutte le nostre conversazioni si trasformavano in discussioni, e inoltre continuavo a ripetere ai miei figli di non fidarsi delle loro percezioni, ma di contare, invece, sulle mie.
Dopo essermi resa conto di quel che stavo facendo, decisi di cambiare. Ma non sapevo bene come affrontare la cosa. Ciò che alla fine mi aiutò di più fu mettermi nei panni dei miei figli. Mi chiesi: «E se io fossi un bambino stanco, accaldato o annoiato? E se io volessi che gli adulti più importanti della mia vita sapessero quello che provo?».
Nelle settimane seguenti cercai di entrare in connessione con quello che pensavo che i miei figli potessero provare, e quando lo facevo, la parole sembravano sgorgare in modo naturale. Non stavo semplicemente usando una tecnica, ero del tutto sincera quando affermavo: «Allora, ti senti ancora stanco, anche se hai fatto un sonnellino». Oppure: «Io ho freddo, ma per te qui fa caldo». Oppure: «Vedo che quello spettacolo non ti ha interessato molto». Dopotutto, siamo persone diverse, in grado di provare una serie di sensazioni del tutto differenti. Nessuno di noi aveva torto o ragione. Entrambi provavamo quel che provavamo.
Per un po’ questa nuova capacità mi fu di grande aiuto. I litigi tra i bambini e me si ridussero notevolmente. Poi un giorno mia figlia annunciò: «Io odio la nonna», e stava parlando di mia madre. Non esitai un istante. «Hai detto una cosa orribile» sbottai. «Sai bene che non è così. Non voglio mai più sentirti dire una cosa del genere.»
Quel piccolo scambio di opinioni mi insegnò qualcos’altro su me stessa. Potevo essere molto tollerante riguardo alla maggior parte delle emozioni dei bambini, ma bastava che uno di loro dicesse qualcosa che mi faceva arrabbiare o mi rendeva ansiosa, ed ecco che tornavo alle vecchie abitudini.
Da allora ho imparato che la mia reazione non era affatto insolita. Di seguito troverete esempi di altre affermazioni dei bambini che spesso conducono a un’automatica negazione da parte dei genitori. Leggete le affermazioni e annotate che cosa, secondo voi, un genitore potrebbe dire se volesse negare i sentimenti del figlio.
BAMBINO Non mi piace il fratellino
GENITORE (negando il sentimento)
BAMBINO La mia festa di compleanno è stata una barba (dopo che voi vi siete «sbattuti» per renderla una giornata magnifica)
GENITORE (negando il sentimento)
BAMBINO Non voglio più mettere questo stupido apparecchio. Mi fa male. E non me ne frega niente di quello che dice l’ortodonzista!
GENITORE (negando il sentimento)
BAMBINO Io odio l’allenatore nuovo! Mi ha buttato fuori dalla squadra solo perché ero in ritardo di un minuto!
GENITORE (negando il sentimento)
Vi siete ritrovati a scrivere frasi come:
«Non è così. Io so che in realtà tu gli vuoi bene.»
«Ma di che cosa stai parlando? È stata una gran festa: gelati, torta di compleanno, palloncini. Be’, basta feste per te!»
«Non è possibile che l’apparecchio ti faccia così male. Con tutti i soldi che abbiamo investito per la tua bocca, tu quel coso lo porti, che ti piaccia o no!»
«Non hai nessun diritto di arrabbiarti con l’allenatore. È colpa tua. Dovevi arrivare in orario.»
Questo genere di frasi viene facile a molti di noi. Ma che cosa provano i bambini quando le sentono? Per avere un’idea di che cosa si prova quando qualcuno nega i vostri sentimenti, eseguite l’esercizio seguente.
Immaginate di essere al lavoro. Il vostro capo vi chiede di svolgere un determinato compito. Lo vuole completato per la fine della giornata. Dovreste occuparvene immediatamente, ma a causa di una serie di emergenze che si verificano ve lo dimenticate completamente. La giornata è così frenetica che avete a malapena il tempo di pranzare.
Mentre insieme ai vostri colleghi vi state preparando per tornare a casa, il capo arriva e vi chiede quel lavoro che dovevate completare. Subito provate a spiegargli che quel giorno siete stati insolitamente occupati.
Lui vi interrompe. Urlando, arrabbiato, dice: « Non mi importa niente delle sue scuse! Perché diamine crede che io la paghi, per starsene seduta dalla mattina alla sera a guardare il soffitto?». Voi aprite bocca per replicare, ma lui ribatte: «Risparmi il fiato» e si avvia all’ascensore.
I colleghi fingono di non aver sentito. Voi terminate di raccogliere le vostre cose e uscite dall’ufficio. Tornando a casa incontrate un amico. Siete ancora così arrabbiata che vi ritrovate a raccontagli quello che è appena successo.
Il vostro amico cerca di «aiutarvi» in otto diversi modi. Leggendo ciascuna risposta provate a sintonizzarvi sulla vostra reazione «di pancia», e scrivetela (non ci sono reazioni giuste o sbagliate. Qualsiasi cosa sentiate è quella giusta...