1. Il problema dell’antisemita: individuare l’ebreo.
Possiamo cosí enunciare la critica antisemita alla società moderna: col liberalismo scompaiono i ghetti, ma anche i segni d’identificazione esteriore; per l’antisemita la disgrazia del liberalismo consiste nell’indistinzione, nell’annullamento della visibilità delle specificità e delle differenze1. Ora, se nella società borghese moderna è divenuto difficile distinguere le appartenenze sociali, ancor piú difficile, se non impossibile, è divenuta la distinzione fra l’ebreo e il non ebreo. E non essendo piú individuabile, l’ebreo ha iniziato il suo assalto a una società in cui tutto è ormai confuso, omologato e appiattito.
Da qui, il preoccupato giudizio dell’antisemita sulla modernità: essa è la fase storica in cui le differenze precipitano a favore dell’indifferenziato e dell’omologazione. Le differenze religiose, etniche, razziali non sono piú individuabili; anzi, la società liberale è incline a negarle. Soprattutto in questo la società moderna scandisce il trionfo dell’ebraismo: omologando ed eguagliando gli individui, rendendoli indistinti, essa ha offerto l’occasione all’ebreo di mimetizzarsi, di agire indisturbato, avviandosi con sicurezza lungo i sentieri che lo conducono al dominio sulla società2. Nella società liberale, insomma, l’ebreo si è mascherato, assumendo atteggiamenti cristiani. «Nella società (cité) cristiana – ricorda con nostalgia La-Tour-du-Pin, un teorico avant la lettre del corporativismo fascista – gli ebrei non erano perseguitati in ragione della loro specificità (de ce qui leur est propre). […] Ma si diffidava della loro perfidia; e quelli di essi che prendevano una maschera per penetrare nella società cristiana e corromperla incorrevano a giusta ragione nella punizione dei traditori»3. Nel romanzo antisemita di Jubert, il reverendo Lesca ha occasione di osservare che al contrario di nazioni come la Spagna, la Polonia e la Russia, dove «malgrado diversi travestimenti, l’israelita resta israelita», in Francia la Rivoluzione del 1789 ha peccato di «sovrana imprudenza», permettendo «tutti gli abusi favorevoli alle ambizioni del giudaismo»4.
È Drumont a cogliere come nella società medievale l’ebreo fosse facilmente individuabile attraverso un pezzo di stoffa gialla quale «misura di preservazione». Nella società tradizionale i cristiani si riconoscevano l’un l’altro perché tutti si incontravano in chiesa durante le preghiere5. La pratica religiosa agiva da inequivocabile segno d’identificazione. La religione aveva costituito il momento fondamentale dell’identificazione comunitaria e razziale: alla chiesa cristiana, luogo di raccolta e di reciproca identificazione dei fedeli battezzati, aveva appunto corrisposto il pezzo di stoffa gialla quale strumento visivo che permetteva l’identificazione, e dunque l’isolamento, dell’ebreo. Nella società moderna e liberale, invece, tutto è appiattito, indistinto, indiscriminato, perché non sono piú accettati i criteri precedenti d’identificazione6.
La società feudale era durata diversi secoli perché essa, «sorretta da un certo istinto di razza, aveva eliminato il microbo ebraico»7. Viceversa, la società borghese moderna, a distanza di appena un secolo dal 1789 – da quel 14 luglio, «giorno profano fra tutti»8 – è già in fase di irreversibile decomposizione perché ha permesso che l’ebreo si aggirasse indisturbato, essendo state abolite le precedenti difese di immunità sociale. Mentre la società tradizionale era quel sistema che riusciva a identificare e isolare l’ebreo, la modernità, avendo appiattito le differenze e omologato gli individui, ha necessariamente determinato una diluizione sociale dell’ebreo: questi, non piú sottoposto a vincoli giuridici e all’obbligo di rendere visibile la propria ebraicità, è sfuggito a qualsiasi controllo e può agire ormai liberamente, mimetizzato in un mondo reso drammaticamente uniforme e omologato; può cosí scorrazzare dappertutto, infettando gli organi di un corpo sociale ormai del tutto privo di autodifese.
Bisogna, al contrario, mettere sempre in condizione l’ariano di individuare il microbo-ebreo, ristabilendo quel principio di vigilanza, e dunque di differenziazione, che nella società moderna è invece velocemente saltato. Insomma, è necessario procedere a una ridifferenziazione delle razze, a cominciare da quella fra gli ariani e gli ebrei, perché ci si può proteggere dal microbo solo se il corpo sociale lo riconosce come soggetto pericoloso.
Cosí non meraviglia che nella France juive Drumont avanzi una proposta che un cinquantennio dopo sarà realizzata nell’Europa nazista dell’Ordine Nuovo, ma che comunque risulta finalizzata, appunto, alla necessità di isolare tempestivamente il soggetto portatore dell’infezione sociale. Visibilizzato, e semmai sottoposto a una giurisdizione particolare, l’ebreo non potrà piú nuocere: «se voi obbligaste gli Ebrei a portare un cerchio giallo, voi rendereste un servizio a molti di coloro facili a sbagliarsi»9.
Ciò che Drumont propone è la riorganizzazione della visibilità pubblica dell’ebreo, quale primo passo per la sua discriminazione. L’errore mortale della moderna società liberale per Drumont come per gli altri teorici dell’antisemitismo10 è consistito nella convinzione che l’ebreo fosse un individuo come tutti gli altri, e che potesse convivere tranquillamente, confondendosi nel corpo sociale. In realtà, l’ebreo è un soggetto da differenziare perché è appunto diverso dagli altri individui. È la sua differenza biologica e culturale a rendere impossibile la fusione della razza semitica con quella ariana: una differenza che pone l’ebreo al di fuori di quel pactum unionis che ha dato vita alla società umana11.
L’ebreo invisibile, quello che ha inteso rinnegare la propria ebraicità recandosi al fonte battesimale, ovvero si è camuffato, accedendo alla Bildung12, dev’essere nuovamente riportato alla luce: «l’invisibile [deve essere] visibile agli occhi di tutti»13. Nella società moderna, l’ebreo non solo non è piú individuabile all’interno della massa; ma, proprio perché si è integrato, è riuscito di conseguenza a infiltrarsi ai livelli alti delle gerarchie economico-sociali e politiche. L’ebreo invisibile, quello che ha mimetizzato il proprio ebraismo, è ormai dappertutto e si annida anche negli angoli fino ad allora incontaminati del corpo sociale. Addirittura, l’ebreo, denuncia sempre con raccapriccio il cattolico Drumont, si dedica anche al commercio degli oggetti sacri, ossia esercita un mestiere dal quale dipendono gli ordini religiosi della cattolicità14.
È necessario un procedimento sicuro per svelare l’ebraicità degli ebrei mascherati. E allora, solo quando il bacillo sarà stato isolato, sarà infatti possibile mettere in opera la necessaria terapia per debellare la malattia che affligge la società15. Siamo al nocciolo duro dell’antisemitismo novecentesco: per l’antisemita, l’ebreo piú pericoloso non è quello la cui ebraicità è ben visibile nel suo abbigliamento o nel rispetto delle consuetudini religiose, non foss’altro perché quell’ebreo visibile rivendica la propria differenza. È la riemersione delle differenze che, ad avviso dell’antisemita, permette alla società di salvaguardare la propria salute.
Come identificare, allora, l’ebreo, per garantirsi dai suoi progetti malefici? L’appartenenza religiosa non è piú un metodo sicuro, non foss’altro perché parecchi ebrei hanno subito un processo di laicizzazione, allontanandosi dalla pratica religiosa; e non lo è neanche l’abbigliamento, avendo certo rinunciato i Rothschild ecc. a vestire come gli ebrei ortodossi, per non dire di quell’Arthur Meyer investito dalla critica di Drumont perché «l’arbitro di tutte le eleganze, l’organizzatore di tutte le feste»16. Anche l’individuazione di tratti somatici specifici – su cui tanto, come si vedrà meglio piú avanti, insiste l’immaginario antisemita – non sempre risulta attendibile: «le particolarità che distinguono l’Ebreo – registra Lombroso nel suo saggio sull’antisemitismo – tendono ad attenuarsi con l’assimilazione degli Ebrei alla popolazione»17. E non è sufficiente definire la «psicologia dell’ebreo» solo perché si è «intravisto un naso da ebreo nei boulevards»18. Addirittura fallace per individuare l’ebreo è giudicato anche il metodo della circoncisione:
[…] quotidianamente a Parigi si incrociano per le strade – è l’avvertimento di Marthin-Chagny – migliaia di ebrei che hanno il naso come i non ebrei; sarebbe impossibile, anche all’occhio piú attento, rintracciarvi i lineamenti specificamente ebrei. Si trovano anche numerosi nasi piatti, quasi senza rilievo, caratteristici di alcune tribú i cui tratti del naso sembrano vicini a quelli cinesi e giapponesi. In Francia si pensa anche che gli ebrei debbano essere assolutamente circoncisi. […] Solo quelli che osservano la legge mosaica, ossia una minoranza, lo sono19.
L’ebreo rimane tale anche quando assume comportamenti e stili di vita estranei alla propria razza o alla religione di provenienza; anzi, l’ebreo consegue l’esaltazione dell’ebraicità proprio nel momento in cui la nega: «è certo che gli ebrei si astengono accuratamente dal mostrare in pubblico i loro sentimenti, le loro abitudini talmudiche; ma voi credete che, anche al di sotto del loro piú elevato livello di civilizzazione europea (sous les dehors de la civilisation eu...