Non è possibile ficcare a forza la conoscenza dentro un cervello. Bisogna fare in modo di attirarcela.
Prima di costruire un’idea nella mente di qualcuno, avete bisogno del suo permesso. Le persone di solito sono piuttosto diffidenti quando si tratta di aprire la mente (ovvero la cosa più preziosa che hanno) a dei perfetti sconosciuti. Dovrete trovare il modo di vincere quella diffidenza. E il migliore è mostrare apertamente il vostro lato umano.
Ascoltare una conferenza è un’esperienza completamente diversa dalla lettura di un articolo. Non si tratta solo di parole. Tutt’altro. Si tratta di una persona che comunica attraverso le parole. Perché la comunicazione funzioni, è necessario che si instauri una sintonia a livello umano. Per quanto il vostro discorso sia brillante, le vostre argomentazioni cristalline e la vostra logica impeccabile, se non riuscite a creare un legame con il pubblico non otterrete l’effetto sperato. Anche se il contenuto del vostro discorso sarà, almeno a un certo livello, compreso, esso tuttavia non si attiverà, e verrà semplicemente immagazzinato nell’archivio mentale delle informazioni destinate a essere presto dimenticate.
Le persone non sono computer. Sono creature sociali con svariate e originali peculiarità. Hanno sviluppato armi potenti per difendersi dalle pericolose informazioni che inquinano la visione del mondo da cui dipende la loro vita. Queste armi hanno nomi specifici: scetticismo, diffidenza, avversione, noia, incomprensione.
E bisogna riconoscere che questo armamentario ha un valore inestimabile. Se la vostra mente credesse a qualsiasi cosa, la vostra vita crollerebbe nel giro di pochissimo tempo. «Il caffè è cancerogeno!», «Gli stranieri sono disgustosi!», «Comprate questi imperdibili coltelli da cucina!», «So io come farti divertire, piccola...». Vagliamo attentamente ogni cosa che sentiamo o vediamo, prima di correre il rischio di metterla in pratica.
Per questo quando tenete un discorso il vostro primo compito è trovare un modo per disinnescare questi strumenti di difesa e creare un legame emotivo con le persone che vi ascoltano, in modo che accettino – o non vedano l’ora – di darvi libero accesso alle loro menti per qualche minuto.
Se non amate le metafore militari, torniamo all’idea del discorso come viaggio, un viaggio in cui voi accompagnate il pubblico. Anche se avete immaginato un percorso brillante verso una destinazione meravigliosa, prima di partire con qualcuno è necessario che gli facciate capire quanto il viaggio sia allettante. Il primo obiettivo di un discorso è entrare in sintonia con il pubblico e conquistarlo. Sì: siete una guida che vale la pena seguire. Se saltate questo passaggio, l’intera impresa può arenarsi prima ancora di cominciare.
Noi diciamo sempre ai nostri oratori che il pubblico del TED è caloroso e accogliente. Ma anche di fronte a un pubblico ben disposto c’è una differenza enorme tra l’impatto di chi entra in sintonia con il pubblico e quello di chi suscita involontariamente una reazione di scetticismo, noia o antipatia.
Per fortuna, esistono molti modi per creare sin dall’inizio un legame decisivo con il pubblico. Eccovi cinque consigli:
Guardate le persone negli occhi, fin dal primo momento
Gli esseri umani sono bravissimi a giudicare istantaneamente gli altri membri della specie. Amico o nemico. Simpatico o antipatico. Intelligente o sciocco. Sicuro di sé o timoroso. Le basi su cui fondiamo questi giudizi generici sono spesso incredibilmente deboli: l’abbigliamento, il portamento, la postura, l’espressione del viso, il linguaggio del corpo, la concentrazione.
I grandi oratori riescono a creare fin da subito un legame con il pubblico. Può essere sufficiente presentarsi sul palco con passo sicuro, guardarsi intorno con un sorriso e cercare un contatto visivo con due o tre persone. Date un’occhiata ai momenti iniziali della TED Talk di Kelly McGonigal sui lati positivi dello stress. «Voglio confessare una cosa» [Fa una pausa, si guarda intorno, abbassa le mani, accenna un sorriso] «Ma prima voglio che voi confessiate una cosa a me» [Fa un passo in avanti] «Vi chiedo di alzare la mano» [Si guarda attentamente intorno, soffermandosi su alcuni visi] «se nell’ultimo anno vi siete sentiti anche solo leggermente stressati. Allora?» [Un sorriso enigmatico, che dopo pochi istanti si trasforma in un bel sorriso ampio]. Il pubblico è già entrato, istantaneamente, in sintonia con lei.
Ora, non tutti sono per natura sciolti, rilassati e avvenenti come Kelly. Ma tutti possono guardare negli occhi le persone sedute in platea e sorridere un po’. Fa una differenza enorme. L’artista indiano Raghava KK ha una straordinaria capacità di guardare negli occhi, e altrettanto la militante democratica argentina Pia Mancini. Dopo pochi secondi che parlano vi hanno già ammaliati.
La ragione per cui succede tutto questo è che gli esseri umani hanno sviluppato una raffinata capacità di capire le persone guardandole negli occhi. Siamo in grado di notare inconsciamente i più piccoli movimenti dei muscoli oculari di un interlocutore, e usarli per giudicare non solo il suo stato d’animo, ma anche per decidere se fidarci o meno. (E mentre noi valutiamo l’interlocutore, lui ovviamente sta facendo altrettanto con noi.)
Gli scienziati hanno dimostrato che il semplice guardarsi negli occhi innesca la risposta dei neuroni specchio, che consiste nell’adottare, letteralmente, lo stato emotivo dell’altra persona. Se io sono raggiante, voi dentro sorriderete. Un piccolo sorriso interiore che tuttavia è importantissimo. Se sono nervoso, vi comunicherò un po’ di ansia. Quando ci guardiamo, le nostre menti si sintonizzano.
La portata di questa sintonia è determinata in parte dalla fiducia che abbiamo l’uno nell’altro. E qual è il modo migliore per far sì che la persona che abbiamo di fronte si fidi di noi? Esatto: un sorriso. Un sorriso naturale e umano. (Le persone riconoscono sempre un sorriso falso, e si sentono immediatamente manipolate. Ron Gutman ha tenuto un discorso sul potere segreto dei sorrisi: vi assicuro che ripagherà ampiamente i sette minuti e mezzo che gli dedicherete.)
Guardare le persone negli occhi e di tanto in tanto rivolgere loro un sorriso caloroso è una tecnologia straordinaria che può influenzare la ricezione di un discorso da parte del pubblico. (È un peccato, d’altronde, che questo effetto possa talvolta essere ostacolato da un’altra tecnologia: l’illuminazione del palco. A volte le luci sono posizionate in modo tale che l’oratore viene accecato da potenti riflettori che gli impediscono completamente di vedere il pubblico. Affrontate per tempo la questione con gli organizzatori dell’evento. Se siete già sul palco e vi sentite distanti dagli spettatori, potete tranquillamente chiedere che vengano abbassate le luci che puntano su di voi e alzate quelle in sala.)
Al TED, il consiglio principale che diamo agli oratori prima di entrare in scena è di guardare negli occhi le persone sedute in platea. Siate accoglienti. Siate autentici. Siate voi stessi. In questo modo si apriranno le porte della fiducia e della simpatia e il pubblico potrà condividere la vostra passione.
Quando salite sul palco, concentratevi su una cosa sola: l’entusiasmo di condividere la vostra passione con le persone sedute a pochi metri da voi. Non abbiate fretta di pronunciare la vostra apertura a effetto. Rilassatevi, scegliete un paio di persone tra il pubblico, guardatele negli occhi, accennate con il capo e sorridete. A quel punto siete pronti per decollare.
Mostrate la vostra vulnerabilità
Uno dei modi migliori per far abbassare le difese del pubblico è mostrare fin da subito la propria vulnerabilità. È un gesto che equivale a quello di un temibile cowboy che entra in un saloon con il cappotto aperto per mostrare di essere disarmato. Immediatamente tutti si rilassano.
Al TEDx-Houston Brené Brown ha tenuto un bellissimo discorso sulla vulnerabilità, iniziando nel modo più appropriato:
Un paio di anni fa un’organizzatrice di eventi mi chiamò perché sapeva che stavo per partecipare a una conferenza. Mi disse: «Ho serie difficoltà a spiegare chi sei sul volantino dell’evento». Io chiesi: «Be’, perché lo trovi così difficile?», e lei rispose: «Sai, ti ho sentita parlare, e ho paura che se dico che sei una ricercatrice non verrà a sentirti nessuno, perché tutti penseranno che parlerai di cose noiose e astruse».
E a questo punto vi sta già simpatica.
Analogamente, se vi sentite nervosi, potete giocare la carta del nervosismo a vostro vantaggio. Il pubblico lo percepisce subito e, anziché disprezzarvi come temete, farà esattamente il contrario: cominceranno a fare il tifo per voi. Noi diciamo spesso agli oratori che sembrano in preda all’ansia di non farsi problemi, se necessario, ad ammettere di essere nervosi. Se vi sentite soffocare, fate una pausa... prendete una bottiglietta d’acqua, bevetene un sorso e spiegate tranquillamente come vi sentite: «Scusatemi un secondo... come vedete sono un po’ agitato. Le trasmissioni riprenderanno appena possibile». È molto probabile che vi faranno un bell’applauso di incoraggiamento e vi renderete conto che tutta quella gente è pronta a fare il tifo per voi.
La vulnerabilità può essere una componente importante in ogni momento della conferenza. Uno degli episodi più impressionanti che abbiamo vissuto sul palco del TED fu quando Sherwin Nuland, neurochirurgo e scrittore di successo, aveva appena terminato una monumentale ricognizione storica sull’elettroshock, la terapia per gravi disturbi mentali che consiste nel far passare della corrente elettrica direttamente nel cervello del paziente. Aveva fornito le informazioni sempre in modo divertente e comprensibile, facendo apparire tutto molto avvincente, anche se vagamente inquietante. Ma a un certo punto si bloccò. «Perché vi sto raccontando questa storia?» Poi disse di voler condividere con il pubblico qualcosa di cui non aveva mai parlato né scritto prima di allora. Calò un silenzio totale.
«Il motivo... è che io stesso, quasi trent’anni fa, sono stato salvato da due lunghi cicli di elettroshock» Nuland proseguì confessando la storia segreta della sua depressione invalidante, una malattia diventata così grave che i medici stavano pensando di asportargli una parte del cervello. Invece, come ultimo tentativo, provarono a sottoporlo all’elettroshock. E a un certo punto, dopo venti sedute, lui guarì.
Rendendosi così profondamente vulnerabile agli occhi del pubblico, riuscì a concludere la sua conferenza in maniera straordinariamente potente:
Ho sempre avuto la sensazione di essere in un certo senso un impostore, dato che i miei lettori non sapevano quello che ho appena confessato a voi. Quindi una delle ragioni per cui sono venuto qui, oggi, a parlarvi di questo argomento è che volevo – onestamente, egoisticamente – liberarmi di questo peso e dire chiaro e forte che non è una mente immacolata ad aver scritto tutti quei libri. Ma, ancor più importante, è il fatto che una fetta consistente di questo pubblico non ha ancora trent’anni, e ho l’impressione che quasi tutti siate sul punto di intraprendere una carriera magnifica ed emozionante. Sappiate che può capitarvi qualsiasi cosa. Le cose cambiano. Gli incidenti capitano. Magari verrà a tormentarvi un fantasma della vostra infanzia. Potete finire fuori strada... ma se io sono riuscito a trovare il modo di rimettermi in carreggiata, credetemi: chiunque può riprendersi da qualsiasi avversità della vita. Ai meno giovani, che hanno già dovuto affrontare momenti difficili, in cui magari hanno perso tutto, come è successo a me, e hanno dovuto ricominciare da zero, alcune di queste cose suoneranno familiari. Riprendersi è possibile. È possibile redimersi. Ed è possibile risorgere.
È una conferenza che tutti dovrebbero vedere. Sherwin Nuland è scomparso nel 2014, ma la sua vulnerabilità, e l’ispirazione che accendeva negli altri non sono morte con lui.
Mostrare vulnerabilità è uno degli strumenti più potenti a disposizione di un oratore. Ma, come ogni strumento, dev’essere maneggiato con cura. Brené Brown ha visto molti oratori fraintendere il suo consiglio.
Dire qualcosa di personale in modo stereotipato o forzato lascia nel pubblico la sensazione di essere manipolato, e spesso lo rende ostile al messaggio che si vuol far passare. Vulnerabilità non significa nemmeno esagerare nel comunicare qualcosa di personale. C’è una formula semplice da seguire: una vulnerabilità che non sappia darsi dei limiti non è vulnerabilità. Può essere qualsiasi cosa, dal tentativo di imporre una prossimità immediata alla semplice richiesta di attenzione, ma non è vulnerabilità e non serve a creare un legame. Il modo migliore per chiarire questo punto è, secondo me, riflettere attentamente sulle proprie intenzioni. Condividere pubblicamente dei segreti è utile ai fini del discorso o è solo un modo per elaborare i propri problemi? Nel primo caso è un gesto importante, nel secondo mette a repentaglio la fiducia delle persone nei nostri confronti.
Brown raccomanda caldamente di non parlare in pubblico di aspetti della propria vita non ancora elaborati.
Dobbiamo essere padroni delle nostre storie, se vogliamo che gli altri prendano la nostra confidenza come un dono. Una storia può essere condivisa solo quando la guarigione e la crescita di chi la racconta non dipendono dalla reazione del pubblico.
La vulnerabilità autentica è uno strumento potente. Una condivisione eccessiva no. Nel dubbio, provate il discorso con un amico fidato.
Fateli ridere (ma non scompisciare)
Farsi ascoltare attentamente può essere difficile, e un po’ di umorismo è un ottimo modo per portare il pubblico dalla vostra parte. Se la tesi di Sophie Scott è corretta, dal punto di vista evoluti...