Tenebrae
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Tenebrae

  1. 240 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Invitato dalla cugina Ocellina nella sua villa di campagna, Publio Aurelio Stazio vi arriva giusto in tempo per constatare la strana morte della padrona di casa, che lascia ben sette figlie avute da quattro padri diversi e una situazione patrimoniale a dir poco intricata. Per far luce su quella morte, Stazio si trova a scavare tra i segreti della vita della cugina, nonché di quelle delle sue ragazze... E, come se non bastasse, deve anche difendere la propria reputazione di libertino impenitente, fulgido rappresentante della miglior virilità romana.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2016
Print ISBN
9788804662686

PUBLIO AURELIO E LA FINESTRA SUL CORTILE

(Parte prima)

Roma, anno 800 ab Urbe condita (anno 47 dopo Cristo, primavera)

Chi, regnante Claudio, avesse risalito il Vicus Patricius fino a raggiungere la cima del Viminale, si sarebbe trovato davanti a una domus di ampiezza considerevole, quali poche ne sopravvivevano nell’Urbe, dove il prezzo dei terreni edificabili era salito alle stelle.
Nel raggio di un miglio tutti sapevano che si trattava della residenza degli Aurelii Stazii, patrizi di censo consolare il cui capostipite risaliva ai tempi di Anco Marzio, precedendo nell’antichità della stirpe persino la famiglia imperiale. In quella casa, avrebbero raccontato i vicini, vivevano servi lustri e pasciuti, ancelle riccamente abbigliate e dispensieri eccezionalmente prodighi; inoltre – questo il particolare più interessante – l’attuale proprietario era un eccentrico senatore, troppo distratto per accorgersi dei clandestini che quotidianamente si aggiungevano alla folla di clientes per ricevere la tradizionale sportula colma di cibo e vettovaglie.
Fu davanti a quella casa che in un giorno di primavera dell’ottocentesimo anno dalla fondazione di Roma si arrestò una lettiga ricca di adorni sontuosi e ne discese una dama vestita con un gusto poco consono al tradizionale riserbo delle matrone di vecchio stampo.
Né il sonnolento portiere Fabello né il vigile intendente Paride furono abbastanza lesti da fermare l’agitatissima signora mentre si fiondava come un torrente in piena nelle fauces, arrancando su calcei di altezza tale da uguagliare le torri d’assedio con cui si espugnavano le rocche nemiche. Nell’atrio l’inevitabile accadde: mentre il primo tacco vertiginoso mancava per un soffio la vasca marmorea dell’impluvium, il secondo la centrò in pieno, impregnandosi miseramente di acqua piovana.
La frettolosa ospite non interruppe la corsa. Quando, attraversato il peristilio, giunse infine davanti alla biblioteca, alle sue spalle galoppavano già decine di schiavi, nessuno dei quali in grado di precluderle il passaggio.
La porta cedette, spalancandosi come le stalle di Augia il giorno in cui Ercole aveva deviato il corso del fiume Alfeo per nettarle dalle deiezioni di migliaia di armenti.
Il senatore Publio Aurelio Stazio, per nulla risentito dell’irruzione, accolse la matrona tra gli scaffali zeppi di rotoli, occultando prontamente sotto una rara edizione di Epicuro il codicillus vergato in elegante grafia femminile che aveva appena ricevuto. Circa la sua relazione con la moglie di Lentulo – capo della fazione conservatrice del Senato e suo acerrimo avversario politico – Pomponia nutriva già dei sospetti, e fornirgliene la prova su un piatto d’oro, perché la propalasse in tutti i salotti di Roma, sarebbe stato francamente eccessivo.
Ma la signora, stavolta, aveva altro a cui pensare.
«L’ha ammazzata sotto i miei occhi!» gridò. «È caduta afflosciandosi al suolo come un sacco d’orzo. Il braccio le è scivolato giù e lui ha chiuso la finestra!»
«Pomponia cara, sarà meglio che cominci dall’inizio. Intanto siedi e asciugati» disse Aurelio in tono pacato, facendo accomodare l’amica sul lettuccio elucubratorio mentre ordinava ai servi un tonico ritemprante.
Sospirando, la matrona si tolse il calceo zuppo e ne versò l’acqua dentro il becco del volatile che campeggiava sul mosaico pavimentale, quasi intendesse abbeverarlo. Poi raccolse in grembo la tunica decorata con un prezioso fregio sul ratto delle Sabine, estrasse un linteum delle dimensioni di un telo da bagno e si soffiò rumorosamente il naso.
Il senatore si apprestò a seguire con pazienza quello che sarebbe stato senza dubbio un discorso lungo e complesso; il dono dell’esposizione stringata, infatti, non faceva parte delle peculiarità della brava signora, che pure, nelle sue vesti di pettegola più informata dell’Urbe, era sempre al corrente di molti episodi succosi, tutti rigorosamente di un genere che i protagonisti avrebbero preferito non divulgare.
Neppure l’impeto con cui Pomponia si era catapultata nel suo studio lo preoccupava troppo, essendo ormai avvezzo alle continue emergenze dell’amica, che potevano andare dall’indebita sottrazione di un’ancella a una tresca nel talamo imperiale, dal lancio di un nuovo modello di sopravveste allo scandalo di un appalto milionario. Ma quel giorno, a dire il vero, la cara signora sembrava più sconvolta del solito...
«Dunque ero lì, appostata alla finestra di un cenacolo al primo piano di un’insula di Trastevere, quando...» attaccò ansimando la dama.
«Andiamo per ordine» la invitò il senatore. «Anzitutto, che ci facevi laggiù?»
Pomponia disponeva sul Quirinale di una lussuosa residenza, che il marito – il ricco cavaliere Tito Servilio, uomo pacifico e oltremodo tollerante – le consentiva di riarredare due volte all’anno secondo i dettami dell’ultima moda. Perché mai avrebbe dovuto trovarsi a notte fonda in un caseggiato del quartiere più umile di Roma?
«Ero lì per via di Aquillia Nemnogena, la moglie dell’edile in carica. Una spudorata maldicente, una serpe dalla lingua intrisa di veleno. Sai che cosa ha avuto il coraggio di dire, presente la mia amica Domitilla?» sibilò la signora, tirando in ballo l’unica rivale in grado di contenderle il titolo di pettegola più informata della Capitale. «Sosteneva che mio marito farebbe bene a preoccuparsi di dove vado e che cosa faccio. Ha insinuato questo di me, la subdola! Di me che in quasi trentacinque anni di matrimonio non ho tradito una sola volta il mio Servilio, anche se, modestia a parte, avrei avuto fior di occasioni, a cominciare dal console Sisenna... tu conosci la storia di Sisenna, vero?»
«Certo, cara» mentì Publio Aurelio facendo un gesto vago, nella speranza che l’amica rinunciasse a enumerare tutti i suoi corteggiatori delusi.
«Pensa che quella dissoluta di Aquillia se la fa da almeno due lustri col giovane Flamine di Marte: l’ha sedotto quando era ancora un moccioso col latte sulle labbra; a Roma lo sanno tutti, salvo ovviamente i rispettivi coniugi. Dimmi, dovevo forse soggiacere alla malignità di una perfida tagliapanni senza restituirle pan per focaccia?» prese fiato la matrona, che per controllare il livello di attenzione del pubblico esigeva sempre una risposta alle sue domande retoriche.
Il senatore negò, scuotendo vigorosamente la testa.
«Io però non mi abbasso alla calunnia, non indulgo al mero sentito dire» sostenne lei, certa del suo buon diritto.
«Così hai preso qualche contatto...» proseguì Aurelio, conoscendo quanto estesa e capillare fosse la rete informativa di Pomponia, composta da ancelle, domestici, portieri, schiavi, cubicularii, arcarii, guardarobiere ed estetiste che ne sapevano di più sui loro padroni di qualunque agente dello spionaggio imperiale.
«Il luogo dei loro incontri segreti mi è stato rivelato dalla cosmetica della suocera del cognato della nipote di Domitilla, la cui sorella vive a Trastevere: era lì che i fedifraghi si davano periodicamente appuntamento, in un caseggiato popolare dove nessuno li conosceva. Ora, è noto come i costruttori usino addossare l’una all’altra le insulae per usufruire appieno del terreno edificabile, tanto che le finestre di molti cenacoli si trovano soltanto a poche braccia di distanza da quelle dell’edificio di fronte. Così, approfittando di un viaggio in Lucania di Servilio – sai bene quanto il povero caro sia sempre scioccamente in ansia per me, neanche fossi l’ultima delle incoscienti – ho persuaso con una lauta mancia l’inquilino che occupava il cenacolo prospiciente il covo d’amore a cedermi la sua postazione e mi sono istallata alla finestra per spiare le mosse dei due adulteri.»
«Vuoi dire che hai trascorso una notte in un fetido cubicolo?» scolorò Aurelio: Trastevere era tutt’altro che sicuro dopo il calar del sole, tanto che persino i vigiles nocturni si avventuravano soltanto in coppia nei suoi oscuri meandri.
«Non una» rettificò Pomponia «bensì cinque. Dopo anni e anni di relazione ininterrotta, i due drudi non si vedono più tanto spesso, forse perché lei comincia a essere in là con gli anni, malgrado si sforzi fino al ridicolo di sembrare una ragazzina impubere. Sapessi quanto spende in parrucche e posticci per coprire quei quattro peli che le rimangono in testa, roba che neanche la moglie del pretore Campano, calva com’è... tu ricordi Campano, vero?»
«Non divagare» la richiamò all’ordine il senatore. «Stavamo parlando dell’imprudenza con cui circolavi in un quartiere malfamato senza nemmeno uno schiavo di scorta!»
«Tu stesso mi hai insegnato che per condurre con profitto un’inchiesta è necessario affrontare qualche piccolo inconveniente» alzò le spalle la matrona, mettendo l’amico davanti alle sue non lievi responsabilità. «Me ne stavo dunque appostata nel buio sul davanzale, invisibile a chiunque, pregustando la fine della mia lunga caccia: ero sicura che quel giorno i due sarebbero stati liberi di abboccarsi, perché il marito di lei era impegnato alla basilica Emilia e la Flaminica si trovava in visita da sua madre a Tivoli... donna piuttosto incolore, la Flaminica, l’avrai certamente incontrata a qualche cerimonia ufficiale assieme al padre, quel Gaio Nennio Rogato che fu eletto alla censura nell’anno...»
«Vieni al punto, Pomponia!» la redarguì brusco il patrizio, preoccupato di un delitto che vedeva come protagonisti il massimo sacerdote del Dio Marte e la moglie dell’edile in carica.
«Come posso spiegarmi, quando mi interrompi in continuazione?» protestò la matrona accalorata. «Appena si è fatto buio il Flamine è entrato nella stanza e si è messo ad aspettare l’amante. Purtroppo, però, si è subito premurato di chiudere le imposte, ostruendomi la visuale!»
«Allora come fai a sapere che l’ha ammazzata?» chiese il senatore, a cui cominciava a sfuggire il senso del discorso.
«Che c’entra lui?» replicò Pomponia.
«Ma non hai detto che...»
«Se mi lasciassi finire, una buona volta!» proruppe la signora con un moto di stizza. «C’era un’altra finestra, accanto alla prima, che avevo sempre visto chiusa. Ieri però, verso l’ora prima, all’improvviso un braccio femminile ha cercato di spalancarla. È stato allora che ho scorto dietro alla tenda l’assassino mentre vibrava il colpo!»
«Chi era?» domandò Aurelio, attentissimo.
Pomponia alzò le spalle. «Oh, non ne ho la più pallida idea. Non ho visto in faccia né lui né la sua vittima.»
«Allora sei certamente incorsa in un equivoco!» esclamò il patrizio con un sospiro di sollievo. «Da lontano e attraverso il filtro della cortina, sarebbe stato facile scambiare per un’aggressione un gesto che aveva tutt’altro scopo.»
«Non ho affatto le traveggole» protestò la matrona. «C’era una lucerna accesa, nel cenacolo, che mostrava nettamente la forma dell’ombra al di là della stoffa. Sono sicura che quando l’energumeno ha alzato le braccia, brandiva una sbarra, un bastone o comunque un oggetto contundente, col quale ha colpito la donna, che è stramazzata a terra con un tonfo sordo. Poi il braccio è stato risucchiato all’indietro e immediatamente dopo l’imposta si è richiusa.»
«Di fatto, Pomponia, non sei nemmeno certa che si trattasse davvero di una donna...» osservò il senatore, cui l’esperienza della sbrigliata fantasia dell’amica suggeriva una certa cautela.
«Per chi mi prendi?» ribatté irritata la brava signora. «Credi non sappia riconoscere una chioma acconciata “alla Cesonia”?»
«Alla Cesonia...?»
«Era una foggia usata dalle popolane, prima che ne lanciasse la moda la quarta moglie di Caligola, di estrazione assai umile. Ma il Palatino detta legge, così le signore più sofisticate provvidero ad adeguarsi e per un paio di mesi non si videro che capelli legati in quel volgarissimo nodo. Per fortuna, in seguito alla congiura in cui Cesonia venne trucidata assieme al marito e alla figlia, la pettinatura cadde in disuso.»
«Un delitto scorto per un breve istante nelle tenebre, di cui non si conoscono né la vittima né il carnefice... è ben poco su cui basarsi» esitò il senatore, timoroso sia di titillare la fertile fantasia dell’amica, sia di offenderne la suscettibilità.
«Ritieni che stia farneticando, vero?» si inalberò infatti Pomponia, ruscellando lacrime rigate di bistro.
In quel momento Paride, amministratore e capo della servitù, si affacciò sulla soglia, seguito da due ancelle che reggevano un infuso fumante.
«Ecco una tisana di camomilla e biancospino, domina» mormorò premuroso. «Non c’è nulla di meglio per calmare i nervi scossi e allontanare i cattivi pensieri.»
Una mano villana scostò l’intendente proprio quando stava per servire la pozione, facendogli versare gran parte del liquido. Paride non aveva bisogno di voltarsi per sapere di chi si trattava: soltanto quello screanzato del segretario Castore si sarebbe comportato in maniera tanto rozza davanti al padrone e alla sua ospite, deplorò, aspettando che l’insolente alessandrino venisse severamente punito.
«Lasciamo le erbe amare ai gatti col mal di pancia, kyria. Ti ho preparato del vino cotto, molto forte e ben speziato, l’ideale per chi ha subito un trauma. Non è cosa da tutti assistere a un omicidio ed è del tutto ovvio che la tua delicata sensibilità ne sia rimasta scossa» disse il segretario con un sorriso ipocrita, mentre Aurelio sobbolliva in silenzio: non soltanto Castore aveva origliato, ma offriva sponda alle paure e alle ubbie di Pomponia trattandola con melata condiscendenza, senza dubbio con l’intento di ricavarne qualche sostanzioso vantaggio.
«Tu sì che mi capisci, Castore, mica come certa gente che mi prende per matta! Non voglio far nomi, ma indubbiamente da un amico di lunga data mi aspett...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Tenebrae
  4. Personaggi
  5. Publio Aurelio e la finestra sul cortile (Parte prima)
  6. Publio Aurelio e la finestra sul cortile (Parte seconda)
  7. Publio Aurelio e la finestra sul cortile (Parte terza)
  8. Publio Aurelio e la finestra sul cortile (Parte quarta)
  9. GLOSSARI
  10. Copyright