A capofitto
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A capofitto

  1. 210 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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A capofitto

Informazioni su questo libro

Le strampalate vicende di Gombro, poeta ambizioso e un po' inetto, attorno a cui si affolla una ridda di personaggi e macchiette fumettistiche. Sono questi i protagonisti che animano un romanzo grottesco e pirotecnico, capace di capovolgere tutto, di rendere risibile il sacro e doloroso il comico. Un libro irriverente e coltissimo, scritto con il ritmo degli schiamazzi nei sobborghi di Spaccanapoli.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2015
Print ISBN
9788804490869
eBook ISBN
9788852058028

A capofitto

A capofitto è stato scritto nell’estate del 1989, cercando un’impossibile convivenza tra Quevedo e Gombrowicz, Céline e Campanile, Jacques le fataliste e l’Anthologie de l’humour noir, i Mistici e i cartoni animati. Pubblicato nel 1996 presso una piccola casa editrice, per questa nuova edizione è stato completamente rivisto.
G. M.
La sera, ci fanno morire dal ridere;
l’indomani, ci sotterrano.
PETRUS BOREL
Quando bussai alla porta era tardi per fuggire. Guardai di nuovo la targhetta col nome. La porta si aprì.
«Ss-salve, lei è?»
«Buonasera, entro subito in argomento! Dopo mi può anche cacciare a calci e rifiutarsi di vedermi per sempre, ma dopo!»
«Ma perché dice così? Non capisco! Io, nel mio fascio di nervi, nella ss-sottile macchina che ss-sono… Avvengono processi delicati… Io, mi ss-sento quasi male, la mia ss-sensibilità mi…»
«Perdoni, Poeta… Posso chiamarla così? Lo so che non si usa più, ma io, capirà, il rispetto… Poeta, sono emozionato! Vederla qui, davanti a me, in carne e ossa!»
«Ma non…»
«Poeta, non dica di no! Parlare con lei, non più per telefono ma dal vero, mi paralizza… E come è somigliante! Uguale! Anzi di più, più interiore!»
«Ma no, no… Però, forse io…»
«Poeta, mi ascolti, ho un’idea!»
Un’idea vera? Era uno choc! Ci rimaneva.
«Un’idea? I-de-a? Mhhh… Trisillabo ss-strano.»
«È l’idea! L’ispirazione!»
«Sì? Dica, allora. Anzi, di’ pure… Diamoci del tu, sei tanto giovane.»
«Eh, non tanto!»
«Ma sì, ma sì.»
Va bene, come voleva. L’idea innanzi tutto! Giovane? Vecchio? A piacere.
«Ecco, l’idea è semplicissima… Faremo un grande poema collettivo… Tutti, tutti i poeti viventi chiamati a collaborare… Solleveremo la divina poesia dall’oblio in cui giace…»
«Ss-sì, ma…»
«Il tema sarà quello archetipo, l’origine, il grund urgrund che più non si può… La madre, l’abisso, l’inizio degli inizi! L’orfismo pre-pre-orfico! La scaturigine! Il sacro!»
«Ma, ma…»
«La poesia e la fogna! Due problemi mai disgiunti! Ricorda?»
«Sì, io ritengo che…»
«È il tema! Come Jahvé, è ciò che è… La grande, l’immensa, l’ineliminabile, l’insondabile M!…»
«La, la, la?… L-l-la…!»
«Sì! È lei l’acme della società. Più che un simbolo! Che abbiamo a vedere coi simboli? Basta pene d’amore! Basta rifriggersi il cuore! Solo sterco! A noi!»
«È vero, è vero! A noi la fogna! Aspetta, telefono, chiamo i miei amici.»
«Dopo! Non ho finito! Poeta…»
«Ma… Entusiasmerà Denario, e Limparo.»
«Aspetta, il tema è questo, ma come svilupparlo?»
«È vero, come… Come si fa? La ss-sensibilità… Io…»
«Un’enciclopedia? Una summa? Una divina scala? O un vasto e infinito poema oltrereale?»
«Oltrereale?»
«Sì! Si tira a sorte fra i… Che ne so? Duecento? Trecento? Quattromila? Quarantamila? Quanti saranno i poeti? Il primo comincerà per esempio con dieci versi… Rimati? Terzine? Ottave? Sonetti? Non so! Che ne so? Comincia, e quando è esaurito si passa a un altro che continua da dove l’altro ha finito! E così via…»
«È un’idea pa-pa-pa… Paradossale, però, però…»
«È buona! Stammi a sentire, Poe’… Scusi, scusami. Si può fare a puntate, su un grande settimanale alla moda, su un quotidiano. O abbinarlo a una lotteria, ai milioni, ai miliardi, ai triliardi!»
«Ss-sì… Ci sarà da guadagnare, forse.»
«Forse? Forse? Ma qui c’è pane e liquame per anni! Per secoli! Lo lasceremo in eredità ai figli, ai nipoti, ai pronipoti, per i secoli dei secoli! E chi sa, forse oso troppo? Ma no, bisogna osare! Forse durerà millenni…»
A questo punto si fece silenzio. Il poeta taceva. Io ero emozionato! Anche lui, almeno mi sembrò. Ce l’avevo fatta?
«Ma… Poema come? Chi deciderà? Che genere? Dobbiamo lasciare che emergano le simmetrie, l’alto sentire dell’uomo, il, il…»
«Ma l’ho già detto, l’ho detto: tutto! Eroicomico? Sì! Pastorale? Sì! Bellico? Sì! Bucolico? Sì! Non c’è limite all’universo, la fogna è infinita, e noi perché dovremmo limitarci?»
«Questo è vero! Basta con le ss-strettoie! Anche con me i critici, te li raccomando! Ss-sempre lì a dire è così, non è più se ss-stesso, lui riesce bene lì, capisci? Non vogliono la mia libertà, io… È amaro! Ah la poesia, ss-sì, telefono al grande Poeta per chiedere, lui potrà…»
Imparavo ancora, sempre! Anche il mio Poeta aveva al di sopra un poeta più grande? Ah, come era tutto così istruttivo!
Telefonò, telefonò tutta la notte. Li svegliò dal sonno, li estrasse da veglie orgasmiche, da borbottii catatonici, da estasi segaiole, da fuori-di-sé rimati e sillabati. Gli risposero con emistichi, distici, acrostici, caudati, con rime al mezzo e rare e visive e tronche. Con mugolii, con ira, con studio, con soavità, con meraviglia, con noia… Spernacchiando! Ruttando! Svillaneggiando! Ma non uno rifiutò, tutti furono presi dall’idea, la mia idea… Sentii ripetere il mio nome decine di volte, a malincuore, ma il Poeta lo ripeteva! Ah, che musica per me! Era già la gloria, o almeno un assaggio. Si parlava di me, proprio di me, a tutti i poeti d’Italia… E perché no? Ma certo! Come non ci avevo pensato? Era la luce che si faceva strada… C’era il poema plurilingue, la poesia di babele, la fogna mondiale!
«Poeta! Signore!»
«Eh? Eh?»
«Non si addormenti!»
Era quasi l’alba. Il Poeta stava crollando dal sonno. Lo abbrancai.
«Sveglia! Sveglia!»
«Io, ss-sì, ss-sì…»
«Dobbiamo andare oltre!»
«Oltre?»
Mi guardò come si guarda un pazzo. Mi parve che indietreggiasse. Aveva paura?
«Oltre! Coinvolgere tutti i poeti del mondo, di tutte le lingue, di tutte le fogne! Poeti di tutto il mondo, unitevi! Non avete da perdere che le vostre miserie, e una montagna di sterco da conquistare! Sveglia, Poeta!»
Ma ormai era sveglio, sveglissimo! Mi fissava non so se affascinato o ipnotizzato.
«Tutte le lingue! Oppure che ne so, ecco! Un’idea migliore! Noi su tutti! Sì, gli italiani alla testa del mondo!»
Ah, si entusiasmava! L’avevo in pugno.
«L’über-poesia, ss-sì… L’über-sonetto, ss-sì, io…»
«Bravo, Poeta! Così ogni paese tradurrà in contemporanea, a partire dal secondo giorno, il nostro poema…»
«Ogni… Paese?»
«Sì! Dall’italiano in russo, dal russo in arabo, dall’arabo in cinese, in turco, in ebraico moderno e antico! In sanscrito! In cuneiforme! In geroglifico! Ideografico! Bustrofedico! Ah…»
«Ma è grandioso…»
Ora capiva, finalmente capiva!
«È sublime! E alla fine del ciclo di lingue, l’ultima in cui l’inizio del poema sarà stato tradotto…»
«Ss-sì? Cosa?»
«… L’ultima la tradurremo di nuovo in italiano, e così per l’eternità!»
Restò come fulminato. Ebbi quasi paura. E se moriva adesso? No, questo no!
«Poeta! Poeta! Si sente… Ti senti bene?»
«Lascia che ti abbracci, lascia che io… Che ss-sfoghi la piena dei miei sentimenti! Vieni ss-sul mio petto!»
E mentre mi abbracciava lasciò andare un fragoroso peto.
«Figliolo!»
E via un altro peto!
«Discepolo!»
E un altro! Ma che aveva?
«Vieni, ti ammetto nella mia amicizia!»
«Oh, Poeta! Grazie!»
Scorreggiai di colpo, senza pensarci! Ero contagiato! Ebbro di felicità!
«Sarà un’alba nuova! Andiamo, vieni nel mio bagno!»
Nel suo bagno personale? Ero paralizzato dalla gioia. Avevo sentito bene? O era tutto un sogno?
«Presto, non ce la faccio, ss-sto schiattando…»
Andammo. Si mollò giù sulla tazza, mi indicò un vaso di ferro smaltato, fece un gesto magnanimo.
«Fai pure, non avere vergogna.»
Vergogna? Ero al settimo cielo! Mi abbassai i pantaloni e mi sedetti sul càntaro. Avevo le lacrime agli occhi. Un vapore cominciò a infittirsi nella stanza, forse un presagio di eternità, di paradiso.
Sì! Mi liberavo ebbro, il Poeta non era da meno, giallo, viola, paonazzo. Era la comunione! La sacra fraternità! La luce del neon si affiochì. Stava sorgendo l’alba, filtrava dai vetri, dalle tendine rosa. Noi scaricavamo felici, cercando l’unisono, il ritmo. Il ritmo originario! L’eterna sbrodola! Ah! Che non finisse mai! E l’alba, e la luce, e il santissimo escremento! Che rombi! Che schiocchi! Che scoppi! Ormai piangevo a dirotto, ma lacrime di gioia, di orgoglio, di riconoscenza. La luce trionfava, sentivo la pancia gorgogliare… E i soffi! Gli stronfi! Che? L’eternità… È la fogna unita al sole…
Uscii dalla casa del Poeta che barcollavo nella luce. Era giorno pieno, e già cominciavo a dubitare, a non credere. Mi toccavo. Ero io? Avevo parlato col Poeta, la mia idea l’aveva entusiasmato, afferrato alla gola! Mi davo delle manate sulle cosce, mi sarei baciato! Mi era venuta l’ispirazione, il lampo, la trovata! Era quello che ci voleva. Il resto poi veniva, dopo.
Mi dovetti sedere su una panchina, mi tremavano le gambe, ero stanco. Me ne accorgevo a un tratto. Dovevo tornare alla pensione, avevo sonno. La mia pensione, la Molly Black… Un nome raffinato, esotico! Mi aveva attirato subito, economica, alla portata. Ottava? Nona? Che categoria? Non si capiva, le scale scricchiolavano, ancora di legno, una rarità. Economica, però! Molti negri… Etiopi? Marocchini? Eritrei? Distinguevo poco… Pericolosi, sì! E le negre? Vibranti, grosse, lucide…
Salii, gli scricchiolii erano terribili, entrai nella mia camera, chiusi a chiave, non si sa mai. I negri! Le negre! Aprii il finestrino, un quadrato microscopico che dava su un muro, non ci passava neanche la testa. Luce ne entrava niente, la lampadina non funzionava, di giorno il portiere staccava l’impianto. Appena un semibuio per non andare a sbattere sui muri, che poi ci si cozzava lo stesso, il letto occupava tutto lo spazio, la porta si apriva solo a metà, sbatteva sulla branda. Mi accontentavo, per forza, tanto la gloria non era lontana, e i soldi. Basta con le pensioni economiche impestate di negri, di scarafaggi, di buio. Mi buttai sul materasso. Sì, avrei telefonato al Poeta in serata per le novità, mi avrebbe invitato a cena, ne stavo facendo di strada! A vista d’occhio! Mi rigirai, mi sentivo sicuro per niente, la porta era leggerissima, quelli la sfondavano come carta velina! Arrapati, enormi! Che non si accontentavano dei confratelli, che volevano carne bianca, fresca…
Mica si dorme bene con le preoccupazioni, no, per niente. Coi mulatti liberi per tutta la pensione, e le negre… Si mormorava di certe cose… Si dorme poco a pensarci, e male! Il materasso era ruvido, faceva caldo, lo scricchiolio della scala si ficcava dentro la testa.
Mi svegliai nell’oscurità più piena. Un’aria densa, nera. La prima cosa che mi venne in mente fu di telefonare al Poeta, poi avrei cercato con lui qualcosa da fare. C’era il grande Poema! La mia trovata! Mi buttai giù dal letto, ero vestito, la camicia poteva andare, mi rimisi le scarpe e uscii. Non era ancora l’ora delle lampade, e l’albergo era inchiostrato di buio. Qua e là si vedevano variazioni di buio nel buio, nero su nero, e improvvise bocche, uno scintillare di denti. Mi affrettai a scivolare per le scale, oscillavano paurosamente, il portiere dormiva sbavandosi, uscii in strada.
Erano accesi i lampioni. Entrai in una cabina semidivelta, il telefono non funzionava, ne visitai un’altra. Qui un filo sbrindellato, là un telefono spezzato, su uno ci avevano sputato, al buio non me n’ero accorto. Decisi di entrare in un bar, mi tappai un orecchio e feci il numero. Era il Poeta! In persona!
«Maestro, buonasera, mi perdoni se entro subito in argomento! Il Poema? Ha definito? Gli a...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. A capofitto
  4. Copyright