Che cosa si può chiedere a uno psicologo, a uno psichiatra, a uno psicoterapeuta? Perché ci rechiamo da loro? Per eliminare i sintomi del disagio, per liberarci dalle nostre paure, dalle ossessioni, dalla depressione, dall’insonnia? A prima vista sembra proprio di sì, una cosa ovvia.
I miei pazienti perciò rimangono perplessi quando dico loro che invece l’ansia, le fobie, le notti insonni e la tristezza infinita vengono da un luogo sconosciuto, da un essere sconosciuto, e come tali vanno rispettate e osservate, accudite.
Non sappiamo da dove vengono i disturbi, che si formano incessantemente come provenienti da una sorgente inaccessibile e sono più forti dell’Io, che conosce solo il mondo delle cause, della superficie, di quella “realtà” dove nessuna delle 52 porte della Cabbala si apre.
La psicologia non è fatta per “capire”, la sua autenticità vive nel regno delle Immagini. A uno psicoterapeuta serve vedere “più in là”, oltre la “spiegazione”.
Krishnamurti amava solo ciò che ci sorprende, perché arriva con la stessa natura del sogno: appartiene a un’altra dimensione del tempo ed è fondamentalmente incomprensibile alle leggi della ragione.
In questo senso i nostri disagi sono onde del mare della nostra autenticità: un attacco di panico ha molte più cose da insegnarci delle spiegazioni che ne diamo.
Krishnamurti aveva capito che le spiegazioni e le interpretazioni non guariscono. Le interpretazioni, no: la resa e le immagini, sì…
Percepire cosa capita dentro di noi adesso e arrendersi ogni giorno di più è il perno del mio “fare psicoterapia”. Nello stesso tempo cerco le immagini nascoste del disturbo, quei “sogni” che sono contenuti nei sintomi del disagio.
Come si calma e gioisce Amelia, quando immagina di essere una ballerina di charleston del 1920! Vede la pista da ballo, il proprio vestito, l’uomo che le sta accanto. Un attimo prima, mentre parlava del suo attacco di panico, era in preda alla tachicardia, cominciava a sudare, non riusciva assolutamente ad allontanare l’angoscia.
La ballerina di charleston non era più preda del panico… Quando Amelia chiudeva gli occhi e si abbandonava a quella immagine, svanivano la sofferenza e i pensieri di morte, che avevano invaso il suo mondo interno. Ormai non prendeva l’aereo per paura che cadesse, non viaggiava più da sola e telefonava spesso durante la giornata per sapere se i suoi cari stavano bene, in preda all’angoscia che potessero morire improvvisamente. Nell’arco di una giornata veniva ripetutamente presa dall’orribile fantasia di venire sepolta viva.
Ma la ballerina di charleston, quella danzatrice di un altro tempo, non temeva nulla. A occhi chiusi il panico si era trasformato in un’Immagine, in un’icona antica che la proteggeva, la curava, come una dea. I ragionamenti, gli psicofarmaci, le spiegazioni non l’avevano portata da nessuna parte. L’immagine della ballerina di charleston invece la curava meglio di qualsiasi cosa.
Forse la psicoterapia è nata per questo: per restituire al mondo moderno gli dèi e le loro Immagini, non più in balia delle religioni e dei loro diktat. Gli dèi avevano bisogno di nuovi sacerdoti, di uomini che cercavano l’infinito tra le cose, tra i sintomi dei loro pazienti. Non di scienziati che si intestardivano a capire, a spiegare, che riempivano di psicofarmaci, di test, il mondo del disagio.
Nel mio lavoro detesto le interpretazioni, la ricerca delle cause dei disagi nella storia di vita del paziente, cerco sempre e solo l’infinito, le Immagini fuori dal tempo, che sono la cura. Si può star certi che se in una persona l’immaginario si spegne, prima o poi compaiono gravi disturbi. Il regno della fantasia non può essere soppresso, senza che arrivino brutte sorprese…
I disagi appartengono a uno stato di coscienza simile al sogno e gli psicoterapeuti devono imparare a ragionare come i sogni… Nel regno dei sogni, delle ombre, vivono gli dèi, che sono le Immagini antiche che ci abitano. Se i disturbi si trasformano in Immagini, ogni prodigio terapeutico può accadere. I disturbi sono la nostalgia di una patria perduta, di un sapere innato che si è allontanato, di una originalità che è stata dimenticata. Le Immagini non vivono nel tempo, non hanno cause, sono della stessa natura del sogno. Noi siamo nel profondo, più di tutto e prima di tutto, un’Immagine unica. E le Immagini sono luci che si affacciano dalle tenebre, sono “voci” perdute che si trasformano in sintomi. L’adesione eccessiva al mondo reale ci priva della patria, delle figure rassicuranti.
Lascio ai medici del corpo di cercare le cause dei disturbi organici, i virus, i batteri… E trovo che l’odierna psicologia scientifica, che naviga lontano dal mondo delle Immagini, che cerca di trovare spiegazioni per tutto o riempie di psicofarmaci i pazienti, abbia fallito il suo compito.
L’anima naturale è autentica
Ma che cos’è una psicologia autentica?
Qualche giorno fa parlavo con una collega, che mi spiegava l’attacco di panico di un suo paziente con la morte improvvisa del padre, peraltro ancora giovane. Ed ecco che la crisi di panico veniva attribuita a un addio, un abbandono, un lutto…
Chi vuole conoscere le leggi dell’anima deve stare lontano da questi ragionamenti, dalla ricerca delle cause, dalle spiegazioni. Una psicologia autentica non cerca il perché dei disagi che vengono a visitarci. Si affida piuttosto alle forze primordiali che ci creano e dimorano in noi. Anzi, siamo noi i loro ospiti. Queste forze primordiali, che per i Greci coincidono con gli dèi, sono la vera essenza concreta di quella che chiamiamo “psicologia del profondo”.
Siamo prima di tutto e più di tutto esseri cosmici, che danzano con le stagioni, con il divenire della natura, che del nostro piccolo Io non sa proprio che farsene. Questa illusione che è l’Io, quando diventa preda di un potere straripante, non vede più il suo lato cosmico e si perde. Come accade ai nostri giorni, dove tutti sanno chi sono e come sono, e si sforzano di essere migliori, più forti, più realizzati. Dimentichiamo che siamo la dimora degli dèi, cioè di saperi innati che sono la nostra unica ragione di vita, di felicità, di autorealizzazione. A volte questi saperi si manifestano sotto forma di disagi, di tristezza, di paura, di ansia. Ma il nostro modello di perfezione non ne vuole sapere e non vede l’ora di sbarazzarsene.
Il mio approccio psicoterapeutico è esattamente il contrario. Percepire la presenza dei disagi, fare loro posto nella coscienza, lasciarli sconfinare nell’Io è fondamentale, se vogliamo godere dei loro doni.
A questo proposito le parole della poesia L’albergo di Rūmī sono esemplari:
Questo essere umano è un albergo… Ogni mattina un nuovo arrivato. Gioia, depressione, meschinità, momentanee consapevolezze giungono come ospiti inattesi. Accoglili e intrattienili tutti!
È l’inno allo sguardo interiore, alla cura di ogni stato d’animo, anche quello più sgradito.
Fosse anche una folla di dispiaceri, che con violenza ti svuota la casa di tutti i suoi mobili, eppure, onora ogni tuo ospite. Forse sta cercando spazio per nuovi piaceri. Pensieri neri, vergogna, malizia, accoglili sulla porta con un sorriso, e invitali a entrare. Sii grato di qualunque visitatore, perché ognuno è stato mandato come una guida dall’aldilà.
Ha ragione Rūmī: pensieri neri, vergogna, malizia sono necessari al nostro sviluppo. Fare loro posto è l’unico modo di far crescere la nostra unicità, smettendo di conformarci a ideali esteriori di “perfezione”.
Siamo piante che devono fiorire, non target da raggiungere o modelli da imitare. C’è una dittatura della superficie, dell’esterno, che ci fa dimenticare l’essenza, la vocazione di ciascuno di noi. Se perdiamo le nostre caratteristiche naturali, vale a dire i gesti della danza cosmica in noi, ci ammaliamo. E alcol, droghe, depressione, ansia e psicofarmaci la fanno da padroni.
Abbiamo perso il sentiero e l’orientamento. Più ci allontaniamo dagli dèi e più ci segreghiamo dentro le mura dell’Io, in preda a una crescente insicurezza.
Le emozioni, i sentimenti non sono “nostri”: sono i volti degli dèi che si affacciano. Come dice Rūmī: fare posto nella coscienza ai disagi, ai pensieri peggiori, alle immagini più disturbate, significa entrare nel regno dell’anima.
“Io sono la tristezza che viene a trovarmi. Non mi interessa chi l’ha causata.”
Se vogliamo essere originali, dobbiamo diventare sempre più impersonali, cioè ritrovare non solo la nostra unicità, ma il “pensiero delle origini” che ci abita oggi come allora.
Mentre passiamo il tempo a discutere su dove andare, su cosa cercare, su quale obiettivo perseguire, la creazione non si è spostata di un millimetro né dentro né fuori di noi. Le stesse leggi del seme, del fiore, dell’albero, del frutto sono quelle dell’anima, di quella forza invisibile, ma materiale, che costruisce da sempre il nostro volto, il nostro corpo, la nostra coscienza. Così quando mi arrabbio è la forza di Marte che si manifesta, che si appalesa nella mia mente, mentre certe intuizioni sono di Hermes. Quando mi innamoro è Afrodite che si affaccia.
Faccio mie le parole di Walter Friedrich Otto:
Nel mondo proprio dell’uomo greco le forze che dominano la vita umana e che noi conosciamo come disposizioni dell’animo, inclinazioni, entusiasmi, sono figure dell’essere, di natura divina, che, come tali, non hanno solo da fare con l’uomo, ma, infinite ed eterne, dominano la terra e il cosmo: Afrodite (l’incanto d’amore), Eros (la forza dell’amore e della procreazione); Aidòs (il delicato pudore), Eris (la discordia), ecc. … I moti dell’anima non sono che l’afferramento da parte di queste forze eterne, che, sotto figura divina, sono ovunque operose.1
Una psicologia autentica è disinteressata alla storia, alle cause, alle ragioni, ai progetti dell’Io. “Ragionare” come l’anima significa togliere ogni giorno dal proprio sguardo il pensiero comune per affidarsi all’Originale, dove abitano le forze primordiali.
“Qualcosa dentro di me sta producendo l’essere che sono”: queste sono le parole da non scordare mai. E lo sta producendo con le sue regole sconosciute: i disagi spesso sono i mattoni di questa costruzione misteriosa che siamo.
La malattia di quest’epoca, così cerebrale, è la perdita dello sguardo delle origini, dove siamo una sola cosa con il cosmo. Ciascuno di noi è il frutto visibile di un ...