
- 434 pagine
- Italian
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eBook - ePub
La vita che hai sognato
Informazioni su questo libro
Athene Forster è una ragazza bellissima, piena di fascino, ma soprattutto ribelle, che abbandona l'aristocratico marito per fuggire con un altro uomo. Trentacinque anni dopo Suzanna Peacock, sua figlia, vive un momento di profonda crisi e trova rifugio nel suo piccolo negozio, il Peacock Emporium. Qui scoprirà non solo una via di fuga dal suo tormentato matrimonio, ma anche il senso dell'amicizia, il potere della passione e il coraggio di confrontarsi con il passato e immaginare un futuro.
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Informazioni
PARTE SECONDA
1
2001
Quando andavano alle feste, lungo il tragitto litigavano sempre. Suzanna non sapeva esattamente il perché, ma ogni volta c’era una ragione: perché erano in ritardo, perché lui aspettava l’ultimo secondo per controllare di aver chiuso la porta di servizio, perché lei era perennemente incapace di trovare qualcosa di decente da indossare. Forse perché non tolleravano l’idea di dover essere gentili l’uno verso l’altra per l’intera serata. O forse, pensava a volte, era solo un modo per fare intendere a suo marito che, una volta a casa, non ci sarebbe stata alcuna intimità fra loro. Stasera, invece, non avevano discusso. Una magra conquista, visto che erano andati dai Brooke separatamente: Suzanna in auto, con il navigatore impostato secondo le accurate indicazioni della sua ospite, e Neil prima in treno e poi in taxi. Aveva fatto tardi sul lavoro e Suzanna, già seduta al tavolo della cena, lo aveva accolto con un sorriso forzato e un «Pensavamo che non arrivassi più», pronunciato a denti stretti.
«Ah, vi presento l’altra metà dei Peacock. Neil, giusto?» Così dicendo, la loro ospite lo aveva fatto accomodare gentilmente al suo posto. Perle, una camicetta di seta costosa ma antiquata, gonna in stile Jaeger: vedendo il suo abbigliamento, Suzanna aveva già capito che cosa aspettarsi dalla serata. I suoi modi cittadini avrebbero suscitato più condiscendenza che ammirazione. Probabilmente, lei e Neil erano stati invitati solo per via dei suoi genitori.
«Sono stato trattenuto a una riunione» spiegò Neil in tono di scusa. Più tardi, in corridoio, quando lei lo rimproverò, le disse a bassa voce: «Perché farne una tragedia? Non importava a nessuno».
«Importa a me» ribatté lei. Poi si sforzò di sorridere quando la sua ospite uscì dal soggiorno e, evitando discretamente di fissarli, chiese se qualcuno desiderava ancora qualcosa da bere.
Fu una serata interminabile, in cui Neil non fece che mascherare il suo imbarazzo con una scherzosità piuttosto fuori luogo. Tutti gli altri ospiti sembravano conoscersi da tempo e la conversazione scivolava spesso su persone estranee, “personaggi” del luogo, con continui accenni a eventi passati: la sagra estiva annullata a causa del maltempo due anni prima, il torneo di tennis in cui i finalisti si presero a testate, la maestra di scuola fuggita a Worcester con il marito della povera Patricia Ainsley. Qualcuno aveva sentito dire che aveva avuto un bambino. Qualcun altro che Patricia Ainsley era diventata una mormone. Nella stanza faceva caldissimo e Suzanna, seduta di spalle davanti all’enorme fuoco a legna, era diventata paonazza ancor prima che fosse servita la portata principale, con gocce di sudore che le scendevano lungo la schiena sotto la maglia fin troppo alla moda.
Lo sapevano tutti, ne era sicura. Sentiva che malgrado i suoi sorrisi, malgrado continuasse a ripetere che sì, certo, era un piacere vivere ancora a Dere Hampton, che era bello avere un po’ più di tempo libero, che era un bene essere vicini alla propria famiglia, tutti erano in grado di capire che stava mentendo. Sentiva che la studiata insoddisfazione di suo marito, ora coinvolto in una coraggiosa conversazione con il supponente veterinario e la monosillabica moglie del guardiacaccia, si irradiava anche all’esterno, come un’insegna al neon accesa sopra di loro: SIAMO INFELICI. ED È COLPA MIA.
Nell’ultimo anno era diventata un’esperta nel valutare lo stato dei matrimoni altrui, riconosceva al volo i sorrisi tirati delle donne, le frecciate, le vacue espressioni di resa degli uomini. A volte era consolante vedere una coppia palesemente più infelice della sua; altre, invece, era deprimente, perché sembrava dimostrare che la rabbia e il disappunto erano qualcosa di inevitabile.
I peggiori, tuttavia, erano quelli ancora visibilmente innamorati. Non le coppie novelle – Suzanna sapeva che quella patina luccicante era destinata a logorarsi –, ma quelle su cui il tempo sembrava aver agito da collante, rendendo il loro legame ancora più profondo. Conosceva tutti i segnali: il “noi” convenzionale, la frequenza con cui si sfioravano la schiena, la mano, o addirittura la guancia, i quieti sorrisi di soddisfazione che comparivano sui loro volti mentre l’altro stava parlando; a volte anche un commento pungente, sottolineato da una risata, come se stessero ancora flirtando, o la stretta data di nascosto, allusiva. E Suzanna si ritrovava a fissarli, a domandarsi che cosa mancasse a lei e a Neil, se esistesse un collante in grado di tenere insieme anche loro.
«Non è andata male» azzardò Neil, mentre metteva in moto la macchina. Se ne erano andati per secondi, assolutamente accettabile. Si era offerto di guidare, concedendo a lei di bere liberamente: era un gesto conciliatorio, lo sapeva, ma in qualche modo non si sentiva abbastanza generosa per apprezzarlo.
«È gente a posto.»
«È un bene… conoscere i nostri vicini, intendo. E nessuno ha sacrificato un maiale. O gettato le chiavi dell’auto in mezzo alla stanza. Mi avevano messo in guardia su queste cene di campagna.» Si sforzava di apparire allegro, Suzanna lo percepiva.
Cercò di reprimere la consueta irritazione. «Non sono i nostri vicini. Vivono a quasi venti minuti da noi.»
«Tutti vivono a venti minuti da casa nostra.» Poi, dopo una pausa, aggiunse: «Mi fa piacere che stai cominciando a conoscere gente nei dintorni».
«Parli come se fosse il mio primo giorno di scuola.»
Neil le lanciò un’occhiata per valutare fino a che punto aveva deciso di intestardirsi. «Intendevo solo che è un bene che tu stia… mettendo radici.»
«Maledizione, Neil, io ho già le mie radici. Le ho sempre avute. Solo che non volevo essere trapiantata qui.»
Neil si passò una mano tra i capelli con un sospiro. «Niente discussioni stasera, Suzanna, per favore.»
Sapeva di essere odiosa e questo la faceva arrabbiare ancora di più, come se fosse lui a costringerla a comportarsi così. Guardò le siepi nere che passavano veloci fuori dal finestrino. Siepe, siepe, albero, siepe. L’infinita punteggiatura della campagna. Il loro consulente finanziario aveva consigliato a entrambi una terapia di coppia e Neil sembrava propenso a provarla. «Non ne abbiamo bisogno» aveva dichiarato lei coraggiosamente. «Stiamo insieme da dieci anni.» Come se ciò bastasse a renderli indivisibili.
«I bambini erano carini, vero?»
Oddio, era così prevedibile.
«Quella che offriva le patatine era adorabile. Mi ha raccontato tutto della sua recita scolastica. Ha detto che è ingiusto che abbia dovuto interpretare una pecora invece di una campanella. Io le ho risposto che chiaramente qualcuno doveva aver imbrogliato…»
«Non avevi detto niente discussioni?»
Seguì un breve silenzio. Neil strinse più forte il volante. «Ho solo detto che i bambini erano molto carini» rispose, guardandola con la coda dell’occhio. «Era un commento del tutto innocente. Volevo solo fare conversazione.»
«No, Neil, per te non esistono commenti innocenti quando si tratta di bambini.»
«Adesso sei ingiusta.»
«Ti conosco. Sei come un libro aperto.»
«Oh, e anche se fosse? Sarebbe un crimine così grande, Suzanna? Non siamo sposati da dieci minuti.»
«E questo che cosa c’entra? Per caso esiste un limite entro cui bisogna avere figli? Qualche regolamento che dice: “Siete sposati da tot anni, è ora di cominciare a procreare”?»
«Sai bene anche tu che le cose si complicano dai trentacinque anni in su.»
«Oh, non ricominciare. Non ho trentacinque anni.»
«Trentaquattro. Ne hai trentaquattro.»
«So benissimo quanti anni ho.»
All’interno dell’abitacolo regnava un’atmosfera adrenalinica, come se rimanere da soli li avesse sciolti dall’obbligo di apparire felici.
«La cosa ti spaventa, forse?»
«No! E non osare tirare in ballo mia madre.»
«Se non ne vuoi, dillo e basta. Almeno sapremo regolarci… saprò regolarmi.»
«Non ho detto di non volerne.»
«E che cos’hai detto, allora? Negli ultimi cinque anni, ogni volta che tocco l’argomento mi salti alla gola come se stessi suggerendo qualcosa di terrificante. È solo un bambino.»
«Per te. Per me sarebbe tutto quanto. Ho visto come i bambini monopolizzano la vita delle persone.»
«In senso positivo.»
«Se sei un uomo.» Fece un respiro profondo. «Senti, non sono pronta, okay? Non dico che non lo sarò mai, ma per adesso è così. Non ho combinato un bel niente, Neil. Non posso diventare madre senza avere combinato niente. Non sono quel genere di donna.» Accavallò le gambe. «È una prospettiva sconfortante, in tutta sincerità.»
Neil scosse il capo. «Mi arrendo, Suzanna. Non so che cosa fare per renderti felice. Mi dispiace che siamo dovuti tornare qui, okay? Mi dispiace che abbiamo dovuto lasciare Londra, che ti annoi, che questo posto non ti va a genio e nemmeno la gente. Mi dispiace per stasera. Mi dispiace di essere una delusione totale per te. Ma non so più che cosa dire. Perché tutto quello che dico è sempre schifosamente sbagliato.»
Seguì un lungo silenzio. Suzanna era inquieta: di solito suo marito non cedeva così in fretta.
Neil abbandonò la strada principale per imboccare un viottolo buio. Quando accese gli abbaglianti, i conigli corsero a nascondersi fra le siepi.
«Lascia che provi con il negozio» disse, guardando dritta davanti a sé per non dover vedere la sua reazione.
Udì un sospiro profondo. «Non abbiamo i soldi. Lo sai.»
«Sono sicura che avrebbe successo.» Poi aggiunse speranzosa: «Per la caparra potremmo vendere il mio quadro».
«Suze, abbiamo appena finito di pagare i debiti. Non possiamo permetterci di ricascarci.»
A quel punto si voltò verso di lui. «Lo so che non ti va, ma ne ho bisogno, Neil. Ho bisogno di qualcosa a cui dedicarmi. Qualcosa di mio. Qualcosa di diverso da quegli stupidi caffè di beneficenza, dalle chiacchiere di paese, dalla mia dannata famiglia.»
Neil non rispose.
«Mi sarebbe di grande aiuto.» Il suo tono era diventato supplichevole, conciliante, così fervido da stupire persino lei. «Sarebbe d’aiuto a entrambi.»
Fu proprio quel tono, forse, che indusse Neil ad accostare. Si voltò a guardarla. Stava calando la foschia e i fari illuminavano soltanto una cortina di umidità.
«Concedimi un anno» disse, prendendogli la mano. «Un anno e, se non funzionerà, avremo un bambino.»
Sembrava sbigottito. «E se invece funzionerà…»
«Lo faremo lo stesso. Ma almeno avrò anche qualcos’altro. Almeno non mi trasformerò in una di quelle.» Così dicendo fece un cenno dietro di sé, a indicare le donne presenti alla cena: per gran parte della serata non avevano fatto che descrivere raccapriccianti esperienze di parto e allattamento o ribadire con velato disprezzo quanto fossero orribili i figli altrui.
«Ah, le naziste dei pannolini.»
«Neil…»
«Dici sul serio?»
«Sì. Per favore, credo solo che sarei un po’ più felice. Tu vuoi che sia felice, vero?»
«Ma certo, lo sai. È quello che ho sempre voluto.»
A volte, quando la guardava in quel modo, riusciva ancora a cogliere un barlume dei suoi sentimenti di un tempo, un’eco di che cosa significava essere legati a qualcuno verso cui non si provava irritazione o risentimento, ma qualcosa di affine alla gratitudine, all’aspettativa e a una persistente attrazione sessuale. Neil era ancora affascinante. Dal punto di vista estetico, era un tipo destinato a invecchiare bene. Niente pancia o stempiatura. Sarebbe rimasto dritto e tonico e, come unica concessione agli anni, sfoggiava una spolverata di grigio tra i capelli e una pelle dalla gradevole aria vissuta.
In momenti simili riusciva solo a ricordare come ci si sentiva un tempo a essere uniti.
«Non devi vendere il tuo quadro. È troppo personale. E sarebbe meglio tenerselo stretto, come forma di investimento.»
«Non puoi lavorare ancora di più, non lo sopporterei.» Non era la sua assenza da casa a sp...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- La vita che hai sognato
- PARTE PRIMA
- PARTE SECONDA
- PARTE TERZA
- Ringraziamenti
- Copyright