La Bibbia non l'ha mai detto
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La Bibbia non l'ha mai detto

Perché la legge di Dio non deve diventare la legge degli uomini

  1. 288 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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La Bibbia non l'ha mai detto

Perché la legge di Dio non deve diventare la legge degli uomini

Informazioni su questo libro

"Le leggi italiane sono imbevute di cultura cattolica. Dall'interruzione volontaria di gravidanza alla fecondazione assistita, al fine-vita, i dogmi confessionali hanno influenzato e continuano a influenzare le norme che dovrebbero regolare in modo laico il patto sociale fra le persone. Ciò che rende tutto ancora più assurdo è che la Bibbia non dice in proposito quello che comunemente si pensa." In questo libro scritto a quattro mani, Mauro Biglino (studioso della Bibbia e autore bestseller) e Lorena Forni (docente di Filosofia del diritto all'Università Bicocca) elencano e analizzano alcune delle leggi italiane che contengono il "peccato originale" della confessionalità. Si tratta principalmente delle leggi che afferiscono alla sfera etica, condizionate dalla dottrina della Chiesa cattolica.

Anzitutto, sostengono gli autori, uno Stato laico dovrebbe promulgare leggi laiche, evitando di imporre dogmi confessionali a chi non è interessato o respinge una dimensione di fede nella propria esistenza di libero cittadino, o a chi professa una diversa confessione religiosa.

Ma ciò che gli autori rivelano e mettono in evidenza per la prima volta è che a leggere i testi sacri alla luce di una traduzione rigorosa e letterale, quegli stessi passaggi che sono stati usati dai legislatori per scrivere leggi sotto l'egida della morale cristiana, non ci si trova nulla di quelle prescrizioni e quegli indirizzi morali, che risultano piuttosto il frutto di personali interpretazioni.

In La Bibbia non l'ha mai detto, il complesso lavoro di scrittura dei due autori è ben sincronizzato: mentre la professoressa Lorena Forni passa al setaccio le leggi maggiormente influenzate dal cattolicesimo, Mauro Biglino propone la traduzione dei passi biblici "normativi" dimostrando, come è sua abitudine di profondo studioso, che le traduzioni diffuse nel mondo contemporaneo sono lontanissime dal vero senso letterale e sono, al contrario, una palese interpretazione dei teologi.

Un libro coinvolgente e molto scomodo, che riscrive le fonti da cui discendono molti degli assunti morali che guidano la nostra società attraverso le leggi in vigore, e che si candida a diventare un autorevole e dirompente manifesto della laicità.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2017
Print ISBN
9788804684282
eBook ISBN
9788852083396
I

Diritto, bioetica, laicità

I teorici del diritto a confronto con testi sacri e fede
Il momento storico, politico e sociale in cui viviamo è caratterizzato da alcuni elementi di fatto che difficilmente possono essere negati, indipendentemente da quale sia la valutazione che se ne può dare. Siamo immersi in un contesto segnato non solo da una pluralità multietnica ma anche da un pluralismo delle visioni morali e religiose, largamente secolarizzato e, contemporaneamente, caratterizzato da un avanzamento tecnologico e scientifico repentino e sorprendente.
Quando si parla di “pluralismo” ci si riferisce alla presenza, specie nei Paesi occidentali, di individui e comunità che provengono da nazioni differenti, con fedi diverse, in una situazione – lo possiamo dire, almeno in linea di principio – orientata alla pacifica convivenza di credenti nelle principali religioni monoteistiche e in altri culti non riconosciuti dallo Stato, di appartenenti a sette o movimenti spirituali di vario genere e di non credenti (usiamo quest’espressione in un’accezione ampia, per farvi rientrare atei e agnostici).
Per quanto concerne lo sviluppo scientifico e tecnologico, abbiamo notizia o esperienza, in modo diretto o indiretto, di apparati che consentono interazioni col mondo sconosciute solo qualche decennio fa: si pensi, a titolo di esempio, a Internet e ai dispositivi per le comunicazioni in costante evoluzione, o alle tecnologie che hanno permesso di studiare l’infinitamente piccolo o l’infinitamente grande; assistiamo, altresì, a continue scoperte scientifiche che, per esempio in ambito biomedico, curano, guariscono o consentono di tenere sotto controllo stati patologici fino a qualche tempo fa non trattabili (si pensi ai reparti di rianimazione, alla ventilazione cardio-polmonare, alla chirurgia robotica, alla terapia genica, ma anche più semplicemente ai trapianti, alle terapie innovative contro disfunzioni cardiache, o per la cura del diabete o per il trattamento di malattie oncologiche…).
Le riflessioni e le valutazioni che chiunque di noi può fare al riguardo, tanto nel sentire comune quanto attraverso elaborazioni più articolate, danno conto, in molti ambiti della nostra vita, del rapporto che ciascuno di noi ha – o non ha – con l’influenza religiosa nella società e rispetto al suo progresso.
Le visioni del mondo e della vita improntate a valori religiosi o, meglio, a concezioni teisticamente orientate, vengono spesso richiamate a proposito delle scelte personali e familiari. Chi crede in un insieme di principi di fede ispirati a verità rivelate orienta la propria vita alla luce dei precetti e delle ritualità previste dal suo credo: uno o più giorni alla settimana si reca in un luogo di culto per le preghiere e i riti collettivi, educa i figli conformemente al proprio credo e condivide il fatto che i principali momenti di passaggio dell’esperienza umana, come la nascita, la morte, ma anche l’ingresso nella società adulta, o i rapporti affettivi, debbano essere segnati dalle prescrizioni della propria fede. Viceversa, chi crede in valori diversi, non necessariamente derivati da fonti di verità trascendenti, o chi non crede in alcuna dimensione ultraterrena, impronta le proprie scelte di vita, personali e familiari, alla luce di criteri o principi parimenti capaci di guidare i comportamenti nel contesto sociale. Ci si sposerà o si contrarrà un’unione civile secondo le regole dello Stato, si educheranno i figli secondo una morale non connotata in senso religioso, si riterranno prioritari i principi di libertà e rispetto reciproco, si darà preferenza a scelte profonde improntate alla tolleranza e al non cagionare danni ad altri.
In ogni caso, sia che ci si conformi a precetti religiosi sia che ci si ispiri a principi o a valori non riconducibili a una precisa confessione, si dovrebbe condividere l’impegno morale a tenere unito il tessuto sociale, a limitare i motivi di conflitto, a rispettare gli spazi di libertà reciproci, ma allo stesso tempo anche i limiti e gli obblighi derivanti dalle regole civili, poste al fine di mantenere la società ordinata o quantomeno il più possibile capace di dare spazio a tutti gli orientamenti, senza che mettano in pericolo o vadano a minare la pace sociale.
All’interno di questo quadro complesso, sarebbe tuttavia ingenuo ritenere che non esistano spinte o tendenze a modificare gli equilibri faticosamente raggiunti. Al tempo stesso è giusto e opportuno ricordare che le regole giuridiche, le libertà, i diritti, le facoltà o spettanze, così come i doveri, i limiti e i vincoli posti nelle nostre società, sono frutto di elaborazioni teoriche molto diverse e contrastate, che hanno dovuto trovare soluzioni e cercare mediazioni per la disciplina di moltissimi ambiti della nostra vita.
Non si darà qui conto delle varie teorie sul diritto,1 del suo ruolo nelle società contemporanee e delle implicazioni che tali concezioni hanno avuto nell’esperienza giuridica.
È importante, però, per il percorso che ci accingiamo a compiere, fornire preliminarmente alcune definizioni che possano orientare il lettore e fare qualche breve osservazione su alcuni aspetti che oggi, più di altri, sono oggetto di accesi dibattiti a proposito di quale diritto sia quello più adeguato per uno Stato “laico”, osservazioni che possiamo sinteticamente far rientrare nella categoria dei rapporti tra “diritto e orientamenti morali religiosamente connotati”.
Intendiamo precisare che le definizioni proposte sono di carattere convenzionale, poste cioè all’interno di una comunità di consociati con l’obiettivo di conferire un significato – frutto di scelta, di convenzione, appunto – ai termini usati, per consentire la comprensione e il confronto sui temi trattati. Si parte dal presupposto che i ragionamenti che si faranno sul diritto e sui suoi rapporti con la religione usano il linguaggio quale strumento frutto di accordo tra individui, impiegato per rispondere ai bisogni (informativi, comunicativi, di conoscenza, ma anche di messa in discussione e di critica delle affermazioni proposte ecc.) degli utenti. Non si considerano le parole come gocce d’ambra, che cristallizzano da sempre, e lo faranno per sempre, significati essenziali, o i “veri significati” dei termini.2 Si parte, cioè, dal presupposto che non esistono le essenze dei significati dei termini, ma che esistono utenti e contesti nei quali si elaborano parole, espressioni, locuzioni, frasi ecc. che possono cambiare nel tempo o a seconda degli ambiti in cui sono usati, adattandosi ai bisogni della comunità dei parlanti.

Definizione convenzionale – e semplificata – di diritto

Pertanto, si può definire convenzionalmente “diritto” un ambito di discorso in cui il linguaggio usato è frutto della commistione tra elementi propri del linguaggio che usiamo tutti i giorni (il linguaggio ordinario) e termini tecnici, elaborati dalla cultura e dall’esperienza dei professionisti del settore (i giuristi, latamente intesi). “Abitazione”, “contratto”, “norma”, ma anche “persona”, “diritti”, “illecito”, sono termini che utilizziamo spesso in senso non tecnico, nel nostro quotidiano; quando però vengono usati nel contesto specifico del diritto assumono significati particolari, differenti da quelli di senso comune. Se dico: “Mamma, ho il diritto di vestirmi come voglio”, uso la parola “diritto” in senso non tecnico, come mera aspettativa di rivendicare una certa libertà nell’abbigliamento. Ci saranno conseguenze ben diverse se lo stesso termine, invece che in un confronto tra una madre e una figlia, viene citato nella sentenza di un giudice che, per esempio, scrive: “Secondo quanto disposto dagli articoli 2 e 3 della Costituzione, e dall’articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, la richiesta dell’attore è respinta e la signora Mevia Tizia ha diritto di vestirsi come vuole”.3
Il linguaggio giuridico ha infatti una funzione prevalente,4 vale a dire la funzione prescrittiva: ha la prerogativa di orientare, condizionare, guidare, modificare il comportamento umano. Questa peculiarità – la prescrittività – non è però esclusiva del diritto: anche le morali, la buona educazione, le deontologie professionali, il galateo hanno questa funzione. Se tuttavia pensiamo, specificamente, alla prescrittività delle regole morali (di qualunque morale, religiosamente connotata o meno), o alla prescrittività delle norme sociali, dobbiamo precisare alcuni aspetti. Per quanto riguarda le prime, quando violiamo una norma morale, non esiste, di principio, un’autorità esterna agli individui preposta a infliggere una punizione. La “sanzione morale”, infatti, agisce in foro interno, vale a dire agisce con i cosiddetti “morsi della coscienza”, facendoci provare sensi di colpa, sentimenti di frustrazione, di mortificazione e, appunto, di rimorso.
La violazione delle norme sociali condivide con quella delle regole morali l’assenza di un ente o organo formale competente a rilevare la difformità dei comportamenti dal contenuto delle regole, ma ha la caratteristica di produrre i propri effetti non più e non solo in foro interno al soggetto. Una norma sociale violata produce spesso, anche se non sempre, un effetto sovraindividuale, cioè un disappunto tra i consociati che può assumere gradazioni diverse, dalla semplice disapprovazione al vero e proprio “stigma” sociale.
Pensiamo, per esempio, a un nostro vicino di casa che si professa pubblicamente come uomo probo, onesto e di specchiata virtù, ma che in realtà sappiamo essere, nel privato, un bugiardo incallito, un soggetto che impronta le relazioni interpersonali in modo per nulla rispettoso dei suoi o delle sue partner, inaffidabile e scortese; molto probabilmente sarà colpito da sanzioni sociali. Si potrà iniziare dal rimprovero, per passare poi al biasimo che possiamo esprimere nei suoi confronti, anche in pubblico, fino alla censura vera e propria (gli togliamo il saluto) e allo stigma sociale dell’esclusione (viene additato come ipocrita e menzognero dal vicinato ed escluso dai momenti conviviali del quartiere).
A differenza degli ambiti morali o sociali, il diritto è il solo ambito in cui la violazione di quelle prescrizioni, che chiamiamo “norme giuridiche”, comporta conseguenze istituzionalizzate, predeterminate, oggettive, proceduralizzate: le sanzioni giuridiche. Quando violiamo una norma di diritto, il nostro sistema prevede chi...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. La Bibbia non l’ha mai detto
  4. Introduzione
  5. Premessa metodologica di Lorena Forni
  6. Finalità di Mauro Biglino
  7. Avvertenza
  8. I. Diritto, bioetica, laicità
  9. II. In principio…
  10. III. Natura e naturalità
  11. IV. Aborto
  12. V. Sul “fine-vita”
  13. Considerazioni “non” conclusive
  14. Note
  15. Bibliografia
  16. Elenco delle abbreviazioni
  17. Ringraziamenti
  18. Copyright