Lettere a Bruna
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Lettere a Bruna

  1. 708 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Estate 1966. Per una serie di conferenze Giuseppe Ungaretti è in Brasile, una terra in cui ha abitato a lungo e a cui è particolarmente legato. Vestita di rosso, alla fine di un incontro pubblico gli si avvicina la giovane Bruna Bianco, che gli consegna alcune sue poesie: prende avvio così una relazione che - data la distanza - si esprimerà attraverso un fittissimo scambio epistolare. Le quasi 400 lettere che qui si presentano, gelosamente custodite per cinquant'anni dalla destinataria, raccontano la cronaca quotidiana di un amore impetuoso e travolgente, che riaccende nel poeta il desiderio di cantare e dà inizio a una nuova stagione creativa. Nella plaquette del 1968 dal titolo Dialogo, alla voce del poeta, che si firma Ungà come nelle lettere, seguono infatti le Repliche di Bruna. Donna reale, quindi, Bruna, ma al contempo figura poetica, musa, incarnazione della giovinezza al cospetto del «poeta antico». «Felice, e disperato d'esserlo», consapevole che il suo amare è una «smisurata demenza», Ungaretti racconta i pensieri, gli incontri, le delusioni, commenta quadri, mostre e letture, allega prove poetiche e di traduzione, guida la giovane sul sentiero della poesia. Ma affronta anche temi universali: il rapporto tra amore e morte, giovinezza e vecchiaia, e la forza sempre viva del sentimento e della poesia eternatrice.

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Informazioni

SETTEMBRE 1966-APRILE 1967

1

[bordo italiano Giulio Cesare]
Italcable – telegramma
14 set. 66
Grazie alla ragazza che serive [sic] poesie semplici et belle et in tutto est poesia semplice et bella il nonno Ungaretti1

2

A Genova potrei ricevere una lettera, se mi si usa la grazia di scrivermi subito. Sarebbe anche esprimere troppo desiderio, sperare di ricevere subito quello scritto udito durante la passeggiata?2
Auguri di felicità a Bruna. Ti augura felicità, Bruna,
Giuseppe Ungaretti
nave Giulio Cesare-1a Classe
Compagnia Italia
Genova
il 14.9.1966

3

Italcable – telegramma
19 set. 66
Buenogirono [sic] passato Equatore epedisco [sic] lunga lettera da Barcellona spero notizie a Genova e Roma bevuto Bosca riserve del nonno e ringiovanito – Ungaretti3
(De bordo italiano Giulio Cesare Rio)

4

[carta intestata Giulio Cesare
“Italia” Società di Navigazione
Genova]
Bruna cara,
manderò la lunga lettera, per sicurezza postale, da Roma dove arriverò il 28, e anche libri. La distanza va crescendo ed ho potuto contare i minuti, e ancora li conto e mi sembrano eterni. Non per desiderio o per fretta di ritrovarmi a casa. Sai bene perché tempo e spazio mi siano tanto ostili. Lo sai bene, cara.
Non ho più messo altre cravatte che le tue, e rileggo di continuo le tue poesie, e mi sembrano sempre più belle.4 Anche la Tua scrittura lieve nella quale sono vergate, l’osservo con superstiziosa speranza.
Ti saluto. Sii felice per moltissimi anni, sempre.
Ungaretti
il 22.8.19665
Roma (Eur) Via della Sierra Nevada, 1
Italia

5

[carta intestata m/n “Giulio Cesare”
Italia Navigazione – Italian Line]
Bruna cara, sono precisamente le sette secondo l’ora italiana, ma a San Paolo devono essere le sei e trenta appena.6 Devi dormire ancora, e Ti ha disturbato il sonno il mio pensare a Te così mattutino? Se il mio pensare a Te dovesse disturbarTi, non avresti un minuto di pace.
Sento sempre la Tua voce, quella Tua di quella mattina al telefono, mentre stavo per partire. E cerco con gli occhi il Tuo viso, e a volte non riescono a rivederlo com’è, e allora mi stringo con le due mani il viso, e l’accarezzo, e nel mio viso mi rinasce il Tuo nelle mie mani, la più cara cosa, la sola che amo su tutte, l’anima della mia anima, sei l’anima della mia anima, l’ultima forza che mi resta, l’ultima mia poesia, la vera, l’unica vera.
Sono qui al mio scrittoio, in una cabina grande come una piazza. Era per due persone, ma pensano che sono un personaggio tale da meritare d’occupare da solo due letti. Tutto invece, credo, per ricordarmi piuttosto che alla mia età ho il dovere d’essere solo, e anche per rinfacciarmi, forse, con la necessaria ironia, questo mio assurdo atto di scriverTi.
/ Come hai fatto a entrare così a fondo nella mia vita? Sei d’una sicurezza in quello che fai incredibile, e sei venuta con quella poesia. A dirti la verità, quando sei andata via e l’ho letta, m’è parsa inutile. C’era un’enfasi, c’era un metro in disuso, non so cosa c’era che mi urtava. L’ho ripresa poi a leggere, e vi ho scoperto una grazia, un’onestà, il modo raro d’indovinare il peso, la qualità, la novità, qui e là dei vocaboli, e mi ha toccato, d’improvviso mi ha toccato il sentimento, il dono vero che offre solo la buona poesia, quel dono che illuminava l’ingenuità di quelle strofe un po’ antiquate, che illumina tutto quello che fai.
Ripensandoci capivo d’essermi lasciato subito attrarre da Te, anche prima di disapprovare e poi scoprire e amare i Tuoi primi scritti letti. Mi aveva attratto il tuo pudore, grande, come scabroso eccessivo pudore nonostante l’ostentata sicurezza, quando sei scappata dopo alcuni minuti di visita, il primo giorno, come mossa dal disagio di doverti forse vergognare d’avermi messo tra le mani quelle carte.
Non sono che un piccolo poeta di questo secolo, nel quale anche i maggiori non possono essere che piccoli poeti;7 ma / anche oggi, nel trambusto, nell’inferno d’oggi, – anche oggi la poesia ha bisogno di essere una persona che si scopre tra la gente – che infonde tanta carità, tanta fede, tanta speranza che d’un tratto uno le può dire, uno che è tanto vecchio ed ha percorso tanti labirinti, e non sapeva più come uscirne: “grazie, Edipo dice grazie alla sua occulta luce che si fa palese”. (Che nome buffo, impiegato oggi, Edipo, e ancora più buffo impiegato in questo momento.) Dico Edipo quando invece non sono nulla, e meno che mai posso essere un personaggio dei secoli, e quando è peggio che ridicolo usare un nome mitico, oggi che la sofferenza e il presentimento, Dio voglia assurdo, di sofferenza più grave, non risparmiano nessuno e non hanno concedono nemmeno un minimo d’agio agli eventi per uscire dallo stato di cruda realtà e salire sino a impersonare simboli miti, sino alla a dare aspetto di serenità poetica alla figura serena dell’orrore.
Poi sei tornata e ritornata, e il tuo scrivere si faceva più semplice e più bello, e ora sei quasi sul punto d’arrivare a una scrittura d’una semplicità bellissima.8 Grazie.
Quel giorno, scattando con quella sicurezza singolare che è soltanto tua e una, non l’ultima, delle tue grazie, avevi afferravi in / ciascuna tua mano una bottiglia di sciampagna ch’era stato preparato nelle vostre officine brasiliane9 e che avremmo dovuto bere per un augurio di bene. Era purtroppo di lunedì, e non c’era un ristorante degno di accoglierti e del brindisi, e quel Fasano ha ormai dimenticato come si accoglie bene.10 Ma il vino tuo era buono, e so che l’averlo bevuto insieme a me, produrrà a Te lunghi anni felici. Non è possibile che l’augurio, che il desiderio che con tutte le forze che gli rimangono di poeta – e il poeta ha forze incredibili, immense nell’anima – non è possibile che l’augurio mio non s’avveri. Sii felice, sii felice a lungo, a lungo, a lungo!
Io sono ormai troppo vecchio, oltre misura vecchio, quasi un antenato, e non occorre che io sia ancora felice, e non mi pare che sia successo un giorno ch’io fossi felice. Ma l’augurio che Tu abbia lunghi anni felici si avvererà. Nessuno ha mai desiderato con più violenza, con più disperazione che sia felice una persona, e non è mai accaduto, se il desiderio era fortissimo, che non fosse esaudito. Brindo
/ Sai? È una coincidenza strana e credo che anch’essa sia avvenuta per portarti l’augurio di felicità. Sfogliavo a tavola la lista dei vini. Ho il palato fatto per il vino. Da bimbo, arrivavano a casa, in Egitto, i Barolo, erano i Barolo di quel tempo, mandati a rendere memorabile la Pasqua o il Natale. Non più ritrovati quei Barolo, e tutto sparirà ciò ch’era buono? No! A Groninga c’era un amico che mi ha insegnato a bere i vini del Reno, come andavano bevuti, nel verde di rari cristalli di Boemia. Oggi sono vini imbevibili, i Reno, una schifezza. L’abbiamo bevuto lungo settimane, giorno e notte, quando il Reno possedeva era ancora il bouquet più inebriante squisito del mondo, il vino del Reno. Sono un parigino ostinato, e un viaggiatore ostinato. Sono stato a Digione11 e Bordeaux non solo conosco la scultura borgognona, ma anche quel Nuits di cui canta in un sonetto Baudelaire.12 L’indecifrabile nuits che rese oscuro per anni uno dei sonetti di Baudelaire, non era notti, ma il nome d’un vino che è facile trovare e bere a Digione. Vino da non dimenticarsi più, come avveniva a Baudelaire, che non lo dimenticava.
/ Questo volevo dire: sfogliando la lista dei vini ho trovato un “Bosca 1955 – riserva del nonno”.13 Come fare a non metterci sopra le mani? Era “lu vinu per me!”. “No è?” diresti nella parlata italiana paolista, mentre scrivi un italiano degno d’un padre Segneri o di chi sa chi sappia scriverlo con purezza.14
Ora bevo la ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. «… il nostro ardente segreto» di Silvio Ramat
  4. Criteri dell’edizione
  5. Inserto fotografico
  6. LETTERE A BRUNA
  7. settembre 1966-aprile 1967
  8. giugno-ottobre 1967
  9. dicembre 1967-gennaio 1968
  10. marzo-agosto 1968
  11. ottobre 1968-aprile 1969
  12. Copyright