La storia
Qualche giorno prima di sposarsi, Edna si innamora di Luigi, il nuovo collaboratore di suo padre nello studio notarile. Un colpo di fulmine. Anche Luigi si innamora di lei ma non se la sente di dirle: “Resta qui!”. Non c’è tempo. Quindi lei si sposa e parte per il viaggio di nozze. Che dura due mesi, perché coincide con le vacanze estive. Quando Edna ritorna, è già incinta e già in crisi. A due mesi dalle nozze, infatti, il rapporto con Aldo, suo marito, medico chirurgo, è decisamente alle corde. I due, alla fine, si parlano con coraggio. Anche perché si conoscono da quando avevano 16 anni e frequentavano lo stesso liceo classico. E, per dodici anni, da allora, sono rimasti insieme. Così Aldo, di fronte all’evidente tristezza di lei, ai rapporti sessuali sempre più faticosi e rari – come già da un paio d’anni – e che poi, un mese dopo le nozze, quando lei si accorge di essere incinta, addirittura si esauriscono, trova il modo di confessare a Edna il suo bisogno d’avere accanto a sé una donna che lo desideri e che lui desideri soddisfare. Edna piange e si dispera, perché sa che quella donna non potrà mai più essere lei. E, alla fine, racconta ad Aldo di quel colpo di fulmine “a tradimento”, di quell’emozione travolgente che ha provato quindici giorni prima di sposarsi con lui, senza che ci sia stato altro contatto che la stretta di mano di un altro uomo. Aldo si mostra comprensivo. E anche lui confessa di non essere più innamorato, di aver avuto altre storie e di pensare ad altre storie. Dopo tre mesi, Edna e Aldo si separano di comune accordo. Intanto, la gravidanza di lei procede e quando, dopo sei mesi, nasce una bambina, Aldo e Edna si accordano per crescerla insieme e in armonia. Sentono di volersi bene e di rispettarsi anche se, tra loro, non c’è più quell’amore sentimentale e fisico che tiene – o dovrebbe tenere! – insieme le coppie. Nel loro rapporto, dunque, c’è ancora spazio per una relazione affettuosa, serena, equilibrata e per essere, nel tempo, genitori attenti e responsabili anche se non vivono e non vivranno più insieme, anche se attendono lo scioglimento del loro matrimonio dalla Sacra Rota. Così, dopo due anni da quel matrimonio senza storia, quando la piccola Lina ha un anno e tre mesi, Edna, che nel frattempo ha intrapreso una psicoterapia individuale, per la prima volta esce a cena con Luigi.
Edna
Quando ho incontrato per la prima volta Luigi, ho sentito che avrei voluto abbracciarlo. Ho avuto una reazione fisica incontrollata e incontrollabile. Mi sono perfino eccitata quando mi ha sorriso e mi ha stretto la mano. Anche lui mi ha guardata, da subito, con intensità e interesse. Ma io di più! Forse perché avevo bisogno di trovare una via di fuga; forse perché sapevo, già da tempo, che sposare Aldo non era cominciare una nuova vita, non era l’inizio ma la fine di una corsa. Io, però, ad Aldo, quel traguardo glielo dovevo! Ma, soprattutto, lo dovevo a mio padre e a mia madre. E anche alla sua famiglia!
Del resto, anche mia madre e mio padre, come noi, si sono messi insieme ai tempi del liceo. Si erano conosciuti a 14 anni e sposati a 24. Io sono nata dopo un anno e sei mesi e mio fratello due anni dopo di me. Mio padre non ha mai tradito mia madre e, il giorno del matrimonio, mia madre era ancora vergine. Quando ero un’adolescente, innamorata di Aldo, lei questo me lo ha fatto pesare, ricordandomelo continuamente. Anche se io, però, rapporti sessuali con Aldo ne ho avuti da subito. E a 17 anni già prendevo la pillola grazie a mia zia Giulia che mi aveva accompagnato dal ginecologo per farmela prescrivere.
Quando mia madre lo ha scoperto, ha fatto una grande scenata a me e alla zia, e mi ha dato perfino della “puttana”. Poi lo ha detto a mio padre che è andato a cercare Aldo per prenderlo a pugni. E, infine, hanno avvertito i genitori di Aldo che, tra l’altro, la pensavano esattamente come loro!
Così, ci hanno separati per un anno. Non potevo uscire senza essere accompagnata e mi controllavano a vista soltanto perché avevamo già fatto l’amore. Però, quando ho compiuto 18 anni, non hanno più potuto impedirmi di frequentare Aldo, ma hanno preteso che ci fidanzassimo in casa. E, da allora, tutto è andato bene. Erano così contenti di aver sistemato le cose in modo “tradizionale” che ci facilitavano in ogni modo. Però, da quel momento, mi sono sentita “fidanzata” e “affidata” alla responsabilità di Aldo. Del resto, bastava promettere loro che, alla fine, ci saremmo sposati; bastava che i nostri progetti somigliassero ai loro sogni – anzi, ai loro bisogni! – perché tutto procedesse per il meglio. A me, poi, sembrava di aver già vinto una grande battaglia perché, nonostante le pressioni di mia madre, non avevo rinunciato a fare sesso con Aldo prima del matrimonio.
Così sono passati dodici anni, ci siamo laureati e abbiamo cominciato a lavorare.
Del resto, dopo il fidanzamento, tutto si era acquietato. I miei genitori consideravano esaurito il loro compito e i genitori di Aldo facevano lo stesso, anche se avevano molta fretta che noi ci sposassimo perché lui era figlio unico e il loro grande desiderio era avere subito dei nipoti. Perciò, alla fine, abbiamo deciso di sposarci. Ma già facevamo poco e male l’amore. Poi, due settimane prima delle nozze, ho incontrato Luigi.
Per quindici giorni sono impazzita. Avevo voglia di essere toccata, baciata, di fare l’amore con lui. Sentivo di aver bisogno di ricominciare, perché qualcosa si era esaurito dentro di me. Quel qualcosa era il mio amore per Aldo.
Luigi, però, mi ha rifiutata. Anche lui era attratto da me, ma quasi non ci conoscevamo. Era un salto nel buio che io avrei fatto, ma che lui non voleva affrontare.
Quando mi sono sposata, ho pianto per tutta la cerimonia mentre Aldo, serissimo, mi guardava interrogativo. Poi, la notte, in viaggio di nozze per Parigi, nella cabina letto del treno, Aldo ha cercato di fare l’amore.
Ho provato a stare con lui ma non ci sono riuscita. Ho cominciato a piangere, disperatamente. Lui, sconvolto e infastidito, mi ha chiesto il perché. Io non gli ho risposto. Potevo forse dirgli, la prima notte di nozze: “Io non ti amo più”? No! Non potevo perché era una cosa vera ma disumana! Perciò mi sono calmata e sono anche riuscita a lasciarmi andare. Quella notte, nella carrozza letto, abbiamo fatto l’amore, a lungo. Ma era un addio. Io, infatti, pensavo a Luigi e a come sarebbe stato fare l’amore con un uomo che non fosse Aldo. Credo che Lina sia stata concepita proprio quella notte. Da un mese, ormai, non prendevo più la pillola. Quasi che, in coincidenza con il matrimonio, avessi smesso di preoccuparmi di quel che avrebbero detto i miei genitori se, prima di sposarmi, fossi rimasta incinta. O, forse, avere un figlio da Aldo era, inconsciamente, un modo per raccogliere il frutto del nostro lungo amore e dargli la concretezza di una creatura umana, di un bambino o una bambina che ne fosse la testimonianza vivente. Per questo, quando dopo un mese ho saputo di essere rimasta incinta, ho smesso di fare l’amore con Aldo. Anzi, non l’ho più considerato possibile. Come se avessi assolto a un “compito” e si fosse ormai chiuso un capitolo della mia vita con il quale davo l’addio alla mia adolescenza.
Così Aldo poteva essere il padre di mia figlia ma non il mio uomo “per sempre”. Questa convinzione è stata tanto netta dentro di me che, quando lui ha voluto parlarmi del suo bisogno d’amore, gliel’ho detto. E abbiamo pianto insieme.
Aldo
Edna è stata la mia prima ragazza, la prima con cui ho fatto l’amore. Per questo, con lei, il legame è stato fortissimo. Soprattutto dopo che i suoi genitori sono venuti a protestare dai miei per dire che l’avevo sverginata, che l’avevo rovinata. Mia madre ne ha fatto una malattia: si vergognava per me e per Edna, mi perseguitava con le sue parole di condanna, mi faceva sentire in colpa e spaventato. All’inizio, poi, Edna mi piaceva moltissimo anche perché era la prima ragazza della mia età con la quale avevo avuto un rapporto sessuale completo.
Ma già dopo diciotto mesi non ero più innamorato di lei. Nel frattempo, però, ci avevano fatto fidanzare in casa. Edna sembrava contenta, più tranquilla, e io, comunque, le volevo bene e non volevo perderla. Però mi piacevano anche altre ragazze e la tradivo. Per tornare, poi, sempre da lei. È andata avanti così per dodici anni, fino a quando non ho incontrato Dina, dieci mesi prima di sposarmi. A lei non avevo detto né che ero fidanzato né che dovevo sposarmi. L’ho corteggiata per alcuni mesi prima che accettasse di fare l’amore. Ed è stato bellissimo: un piacere completo e inaspettato. Mi ha preso, mi sono innamorato come non mi capitava più dai tempi del liceo, con Edna. Allora, le ho raccontato come stavano le cose. Forse per trovare in lei la forza di rompere con Edna. Ma Dina si è indignata: «Non avrei mai fatto l’amore con te se avessi saputo che eri l’uomo di un’altra!» mi ha detto. «Non voglio il dolore delle altre donne! Non voglio essere l’altra, la rivale, l’amante! Non lo sono mai stata e non inizierò adesso con te. Non mi cercare più! Non chiamarmi! E, piuttosto, pensa a risolvere i tuoi problemi dicendo la verità a te stesso e alla tua ragazza!» Poi se n’è andata e non ha più risposto né alle telefonate né ai messaggi di scuse né ai fiori che le ho inviato.
La perdita di Dina mi ha fatto riflettere. E, anzi, ci sono rimasto così male che avevo deciso di parlarne a Edna. Ma mia madre, proprio in quel periodo, ha scoperto di avere un cancro al seno. La notizia ha mandato in tilt tutta la famiglia. È stata subito operata, ha iniziato le cure e, melodrammaticamente, mi ha fatto intendere che desiderava che mi sposassi al più presto, per darle la gioia di avere dei nipoti “prima di morire”. Così ho rimosso Dina e ho sposato Edna. Ma sapevo che quello non era il mio progetto di vita. Era, semmai, il progetto di mia madre, dei miei genitori e dei genitori di Edna.
E, in seguito, ho capito che anche Edna la pensava come me. È stato durante il viaggio di nozze: lei era triste, infastidita, distaccata. Per fare l’amore, per eccitarmi, io ho dovuto pensare a Dina. E lei – ora lo so! – ha certamente pensato al suo “colpo di fulmine”! Infatti me l’ha confessato quando è rimasta incinta e abbiamo finalmente parlato, senza riserve, di noi, di come stavano veramente le cose nonostante ci fossimo appena sposati. Chiarirsi mi ha fatto bene, perché ho sentito che non eravamo “l’un contro l’altra armati”; che tra di noi c’era consuetudine, confidenza, comprensione; che eravamo alleati nel lasciarci. E che proprio separarci ci avrebbe permesso di diventare, nel tempo, genitori vicini e responsabili: parenti per sempre!
Perché io voglio molto bene a Edna e la sento parte della mia vita. Ma non la amo più e non la desidero come un uomo dovrebbe amare e desiderare la sua compagna. E, invece, le auguro di avere il compagno che desidera e di essere felice con lui. Proprio come vorrei che capitasse a me!
Luigi
La prima volta che ci siamo incontrati, solo guardarci è stata un’esplosione. Edna esprimeva con gli occhi una richiesta e un desiderio che mi sono perfino vergognato di quello che, immediatamente, ho pensato di fare con lei.
Insomma, era la figlia del mio capo e io ero stato anche invitato al suo matrimonio! Be’, chi non crede ai colpi di fulmine dovrà cambiare idea! Quando le ho stretto la mano l’ho riconosciuta. Ed era mia! Poi, però, ho rinunciato subito. È vero che ci siamo incontrati tre volte prima che si sposasse, ma abbiamo soltanto passeggiato e parlato. Era confusa, emozionata, pazza. La terza volta, non voleva più sposarsi e mi ha addirittura detto: «Se mi dici “rimani”, io mando tutto all’aria!». Mi sono spaventato. L’ho abbracciata ma le ho detto: «No! È una follia! Non ci conosciamo neppure. Il nostro desiderio è forte, anzi, fortissimo! Ma non basta!». A quel punto Edna è scappata e io, da quel momento, ho pensato, e intensamente, solo a lei. Al matrimonio non sono andato. E, poi, ho passato un’estate di m…
Una sera, a Ischia, al tramonto, sono perfino scoppiato a piangere, senza sapere il perché, ma sentendo che era per Edna. In barca, poi, ho anche provato a fare l’amore con Maria, la ragazza che frequentavo prima di conoscere lei. E non ci sono riuscito. Così, alla fine del mese di vacanze, le ho detto: «Scusa, non so cosa mi stia capitando…». Lei mi ha guardato male. Era arrabbiatissima. «C’è» mi ha accusato «che non mi ami più!» Forse si aspettava che io dicessi: “Non è vero!”. Io, invece, non ho replicato, ma la risposta me la si leggeva negli occhi. «Sei altrove!» ha gridato Maria. «Sei lontano da me!» E mi ha dato un gran calcio prima di andarsene. In quel momento ho provato un dolore fisico e psicologico intensissimo, perché ho sentito di aver perso qualcosa di unico dicendo “no” a Edna. “Un qualcosa di così intenso non lo proverò più!” ho pensato.
Però, in quel momento, non ero ancora pronto. “E non lo sono neanche adesso” pensai. Ma, senza di lei, provavo una nostalgia e un rimpianto quasi avessi perso una parte della mia vita. A settembre ho saputo dal padre di Edna che lei era tornata dal lungo viaggio di nozze già incinta. È stato un brutto colpo anche perché lui era al settimo cielo e già si sentiva nonno. Io, invece, provavo incredulità. Mi dicevo: “È troppo presto, troppo presto per fare un figlio! Doveva aspettare! Se Edna fa un figlio, cambia tutto! E non potremo incontrarci mai più!”.
Già a novembre, però, ho capito che qualcosa nel matrimonio di Edna non andava per il verso giusto.
Infine, un sabato sua madre è arrivata in studio come una furia. Stavamo facendo una riunione importante. Perciò, quando si è presentata la segretaria per dire a Edo che di là c’era sua moglie che lo reclamava per un’“emergenza”, io, con il cuore in gola, ho subito pensato che l’“emergenza” riguardasse Edna: “Forse ha perso il bambino!” mi sono detto. Invece ho poi scoperto che l’emergenza riguardava una lettera dell’avvocato che Edna e Aldo, di comune accordo, avevano assunto. E non certo per separarsi – perché quello avevano già deciso di farlo consensualmente e in armonia –, bensì per avvertire i reciproci genitori delle loro intenzioni. Quelle intenzioni, infatti, dovevano essere legalmente tutelate dall’invasivo attacco che, certamente, dopo averle conosciute, i loro genitori avrebbero sferrato per costringerli a cambiare idea. Attacco che, peraltro, la madre di Edna aveva deciso di portare subito alla figlia e al genero, coinvolgendo, dopo la lettura della lettera, il marito e i consuoceri.
Era lei la più accanita. E, forse, era furibonda con la figlia perché aveva osato sottrarsi a un rapporto che non l’avrebbe resa felice.
Ho spesso pensato che, quando questo avviene, sia la cartina di tornasole per capire come stanno le persone che si accaniscono nel voler imporre agli altri il loro stesso destino. Quasi a conferma di non aver commesso un errore o per scongiurare che altri realizzino quello che a loro non è riuscito nella loro esistenza. E, proprio in considerazione dell’accanimento con il quale, in seguito, ostacolò la nostra relazione, mi sono spesso chiesto se la madre di Edna fosse una persona veramente felice. Così, la prima volta che portai fuori a cena Edna, dopo ben due anni durante i quali non ci eravamo mai incontrati ma soltanto messaggiati e frequentati attraverso internet, suo padre mi prese da parte per dirmi che sua figlia li aveva informati che intendeva uscire con me. Lui non era contrario perché mi stimava molto come persona e sul lavoro. Ma sua moglie, se le cose in seguito si fossero complicate o fossero andate male con Edna, non avrebbe più voluto che io continuassi a lavorare nello studio con suo marito. Una minaccia velata, una messa alla prova alla quale io risposi, con garbo, che sarebbe stata mia premura, in quel caso, farmi da parte.
Quella sera uscii con Edna, pieno di dubbi, di paure e, perfino, di sensi di colpa.
Appena la vidi, però, nel moment...