Meraviglia
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Meraviglia

  1. 216 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Storia di un amore implacabile, di una ricerca intima a dispetto di tutto, Meraviglia ci accompagna negli anni difficili della formazione di un adolescente, che non eccelle, che non è ammirato, che fatica a individuare i propri contorni, ma che proprio nell'accettazione di sé e degli eventi riuscirà a trovare il senso di una vita che, seppur sghemba, gli appartiene profondamente.

Lorenzo è nato e cresciuto tra le Dolomiti, in un piccolo paese nel cuore dei Monti Pallidi.

Ama la propria vita immersa nella natura e mai la vorrebbe cambiare, senonché il lavoro del padre lo costringe a trasferirsi in città proprio quando è il momento di iniziare le scuole superiori.

Gli tocca frequentare un liceo di cemento grigio che quel suo piccolo paese avrebbe potuto contenerlo tutto quanto.

Ogni cosa cambia.

Lorenzo si sente fuori posto: straniero nella nuova vita ed estraneo a ciò che gli altri si aspettano da lui. I genitori insistono nel pretendere dei risultati scolastici che stentano ad arrivare, senza capire il suo disagio. Persino gli insegnanti lo abbandonano nell'indifferenza, al pari di un naufrago, e lui rimane in silenzio, al banco, in attesa che il tempo trascorra.

Poi un giorno arriva Lavinia: Lavinia che è bella e ha gli occhi talmente neri che è impossibile distinguerne le pupille; Lavinia che è forte e lo salva da un branco di bulli; Lavinia che gira per la città in bicicletta coi suoi maglioni extralarge e il cappellaccio nero; Lavinia che va sempre al cuore delle cose; Lavinia che gli insegna a percepire la musica delle parole, a vivere di storie.

L'amicizia che nasce tra loro è un sentimento forte e raro, capace di farli sentire completi.

Ma la vita di lei nasconde ombre che oscurano ogni luce, ombre che trascinano in abissi troppo profondi. Insieme ci provano a sopravvivere, ad aggrapparsi a questa amicizia che per Lorenzo è molto di più: è amore. Amore bruciante e assoluto.

Eppure nulla serve, e Lorenzo e Lavinia non potranno fare altro che perdersi di vista. Ma quello che Lavinia ha insegnato a Lorenzo è rimasto inciso in lui: le parole e la musica che riescono a comporre diventeranno un'ancora di salvezza, il centro pulsante della sua esistenza.

Finché, un giorno, un evento incredibile sconvolgerà l'equilibrio faticosamente conquistato.

Francesco Vidotto è nato nel 1976. Dopo una laurea in Economia e una lunga attività come manager d'azienda, ha scelto di dedicarsi alla scrittura ed è tornato a vivere a Tai di Cadore, tra le Dolomiti.

Ha pubblicato: Il selvaggio (Carabba, 2005), Signore delle cime (Carabba, 2007), Siro (Minerva, 2011, vincitore del premio Cortina d'Ampezzo per la letteratura di montagna 2011 e del premio eLEGGERE LIBeRI di Tione di Trento 2013), Zoe (Minerva, 2012), Oceano (Minerva, 2014, vincitore del premio Torre Petrosa 2015 e del premio Latisana per la letteratura del Nord-Est 2015). Nel 2016 è uscito per Mondadori Fabro. Melodia dei Monti Pallidi.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2017
Print ISBN
9788804675631
eBook ISBN
9788852082603
Argomento
Literature

1

Quando sei giovane ti senti talmente forte che addirittura potresti sfidare la morte.
Credi di riuscire a sconfiggerla, che non sia nemmeno affare tuo.
Poi invecchi e l’unica cosa che ti rimane da fare è scrivere.
Scrivi per lasciare traccia di te.
Scrivi per mettere le cose in fila, una dietro l’altra, per raccontare a te stesso chi sei.
Scrivi per non smarrirti, nella speranza che le pagine ti sopravvivano e che qualcuno, un bel giorno, ti legga.
Oggi, per me, è arrivato il momento buono. Ho deciso di annotare alcuni fatti su questo diario nuovo di zecca.
Mi sono fermato in cartoleria e ne ho acquistati un paio con la copertina morbida e i fogli a righe, sono salito in camera, mi sono seduto sul letto e ho iniziato a buttare giù qualche parola.
Non sono pratico di queste faccende ma l’istinto mi ha guidato qui, in questa stanza, dove abitano le cose che mi amano.
Ho la sensazione che per scrivere ci sia bisogno del posto giusto.
Non voglio raccontare di me. O meglio, non solamente di me.
Alcune vite sono fuochi d’artificio che non scoppiano e io, in una di queste, ci sono inciampato quasi per caso.
È un peccato non vederle brillare. Un vero peccato.
Per questa ragione c’è bisogno di non lasciarle scappare, di fissarle sulla carta; così che lo spettacolo possa essere ammirato in ogni tempo.
La prima volta che ho visto Lavinia ero fermo in piedi sul piazzale del liceo scientifico Marconi di Conegliano.
La scuola era cominciata da un paio di settimane e io me ne stavo tranquillo e curvo sotto il peso della cartella.
Pareva che la cultura, prima di entrarmi in testa, dovesse poggiarmisi sulla schiena.
Non conoscevo anima viva perché ero nuovo di quella cittadina: venivo dalla montagna.
Lassù i miei genitori non ce la facevano proprio a sbarcare il lunario, nemmeno lavorando in due, assediati come erano dalle spese di tutti i giorni e dalle rate del finanziamento per la Opel Ascona acquistata di seconda mano.
Da poco dunque ci eravamo trasferiti dal paese di Tai di Cadore: a mio padre era capitata la fortuna di un lavoro buono e a me era toccato di seguirlo.
Avevo lasciato gli amici, i prati, le cime, ma soprattutto la casa dei nonni.
Era una casa vecchia di più di duecento anni con i muri in sasso e una soffitta da perderci la testa.
Ci passavo le serate lassù, sotto le scandole del tetto a rovistare il passato e sognare un futuro che non riuscivo a mettere a fuoco.
C’erano bauli zeppi di tessuti, gabbie per i richiami che il nonno usava per la caccia, sedie a dondolo, arcolai, antiche slitte per la legna.
Ogni cosa odorava di legno e c’era un abbaino che si affacciava su Picco di Roda e quando pioveva pareva che il cielo ti raccontasse una storia.
Stare lassù a fare niente era curativo e spesso ci passavo interi pomeriggi insieme ai compagni di classe e giocavamo a stupirci di quel che trovavamo sotto la polvere e poi andavamo a rincorrerci nei prati con l’erba alta e grassa.
Quel sogno di vita si era sciolta come la neve nel mese di aprile e mi ero ritrovato in macchina, seduto dietro e stipato di bagagli, mentre lasciavo il vialetto di casa e i nonni che mi salutavano sventolando la mano nell’aria.
Avevo il cuore rotto. Per me, quel pugno di chilometri era l’eternità.
Così me ne stavo solo soletto aspettando l’inizio delle lezioni in mezzo a tutta quella gente nuova di zecca.
Non ero mai stato un asso nello studio.
Fin dalle elementari, quando mi capitava di sedermi di fronte a un libro, stentavo a farmi entrare in testa i concetti, anche i più semplici.
Leggevo piano, terminavo le frasi e non ricordavo il contenuto.
Studiare era come tentare di scrivere sull’acqua.
Questo fatto non era un segreto per nessuno tranne che per mamma.
Lei proprio non se ne capacitava: desiderava per me la miglior istruzione.
Aveva a cuore il mio avvenire e mi pensava all’altezza di ogni traguardo così, anziché arrendersi all’evidenza di un figliolo forse limitato nell’apprendere, preferì credere che potessi avere un problema agli occhi e mi portò da un bravo oculista.
Si era convinta del fatto che trascorressi così tante ore sui libri senza ottenere risultati a causa della mia vista imperfetta.
Il primario mi visitò approfonditamente e valutò che in effetti un problema c’era.
Detto fatto mi fornì di un paio di occhiali con lenti spaziose e spesse che mi facevano somigliare a un lemure dagli occhi celesti.
Così conciato mi toccò di andare al liceo scientifico.
Al mattino sollevavo la tapparella e, abituato com’ero al verde dei boschi, guardavo tutto quel grigio, poi alzavo gli occhi per controllare se almeno il cielo fosse ancora al proprio posto.
Mi lavavo i denti, mi vestivo con gli abiti che preparava mamma e mi avviavo di malavoglia alla scuola.
Ero vestito come un vecchio.
I miei genitori avevano un’idea di abbigliamento che faceva a pugni con la moda di quel tempo. Tanti anni in montagna li avevano abituati che la sostanza vince sulla forma e così, quella sostanza me la facevano indossare.
Portavo una camicia abbottonata fino in cima color azzurro pallido, un maglioncino tinta unita girocollo e un paio di pantaloni in velluto beige con la piega, lo ricorderò sempre.
I capelli erano corti e pettinati con la riga in parte e sul naso gli immancabili occhiali.
Mi guardavo attorno con aria spaesata in attesa del trillo della campana.
Al Marconi c’era una quantità spaventosa di ragazzi. Arrivavano in massa a piedi o in motorino ed erano di tutte le età.
Si andava dagli sbarbati come me, ai capelloni con baffi e basette che guidavano automobili e motorini.
Dentro a quell’edificio, circondato da un muro che non vedevo dall’altra parte, avrei potuto ficcarci tutto quanto il mio piccolo paese di montagna.
Quella mattina aspettavo come ogni giorno l’inizio delle lezioni quando una ragazza arrivò a cavallo di una mountain bike pittata di colori sgargianti.
Pedalava proprio verso di me. D’un tratto si sollevò dal sellino e, con la bicicletta ancora in movimento, lo scavalcò. Rimase in equilibrio su di un pedale finché accostò un palo della luce.
Strizzò i freni e la ruota posteriore grattò l’asfalto.
Mollò la bicicletta al suo destino senza legarla né niente.
Chinò la testa per controllare chissà cosa nella borsa di stracci che portava a tracolla mentre il fumo della sigaretta stretta tra le labbra le bruciava gli occhi; la rialzò e filò nel cortile.
La guardavo.
Vestiva pantaloni attillati neri. I piedi erano infilati in scarpe color camoscio, alte e slacciate, e sulle caviglie portava un paio di scaldamuscoli di lana, neri anche quelli, accartocciati alla meglio.
Un gilet di jeans smanicato copriva uno spesso maglione di lana con maniche troppo lunghe che lasciavano vedere solamente parte delle dita e le unghie smaltate.
Al collo una sciarpa rigirata mille volte e sulla testa un cappellaccio a cilindro di morbido panno, in pieno stile Linda Perry.
Sembrava essersi tuffata nell’armadio e uscita con addosso quel che era ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. MERAVIGLIA
  4. Prefazione
  5. 1
  6. 2
  7. 3
  8. 4
  9. 5
  10. 6
  11. 7
  12. 8
  13. 9
  14. 10
  15. 11
  16. 12
  17. 13
  18. 14
  19. 15
  20. 16
  21. 17
  22. 18
  23. 19
  24. 20
  25. 21
  26. 22
  27. 23
  28. 24
  29. 25
  30. 26
  31. 27
  32. 28
  33. 29
  34. 30
  35. 31
  36. 32
  37. 33
  38. Ringraziamenti
  39. Copyright